(Aldo Siragusa) Probabilmente non conoscete Bartolo Vultaggio. Ve lo voglio presentare tramite questo articolo in cui si evidenziano le radici d'un movimento sportivo che nasce a Palermo con la Polisportiva Europa (probabilmente non conoscete neanche quella) negli anni Novanta e ha trova la sua evoluzione nell'associazione ASD SportAction.
Con lui abbiamo lavorato per anni fianco a fianco per diffondere quell'idea di sport di cui talvolta mi sentite parlare. Da lui ho imparato tanto e con lui ho condiviso alcuni tra i momenti più belli della mia vita da operatore sportivo impegnato nel sociale.
Vi chiedo di leggere tutto l'articolo e di serbarlo come manifesto della nostra associazione.
Prima o poi vi presenterò Bartolo di persona.
(Bartolo Vultaggio) Propongo di seguito un mio vecchio articolo pubblicato nel 2009. sperando che qualche illustre rappresentante delle Istituzioni in collegamento possa battersi per promuovere lo Sport, quello vero fatto da professionisti veri, nel quartiere dello Zen, dopo i gravissimi fatti di questi giorni [il riferimento è all'episodio - gravissimo - di un giovane di 21 anni morto nella discoteca Goa, al termine di una rissa scoppiata per futili motivi - ndr]. Con i relativi investimenti che servono, per impianti e personale qualificato.
Non passerelle per favore, ma Sport, preferibilmente agonistico, con programmi pluriennali affidati a persone preparate.Il titolo dell'articolo a suo tempo pubblicato è Prevenire é meglio di reprimere.
Prevenire è meglio di reprimere. Di tanto in tanto ci si interroga su quale possa essere il linguaggio più diffuso al mondo nel terzo millennio? Sarà l’Inglese, per la leadership mondiale esercitata dagli Stati Uniti, sarà il Cinese, che parte già avvantaggiato da una popolazione di un miliardo e trecentomila persone, oppure ancora l’arabo che può contare su un maggior numero di nazioni accomunate dallo stesso credo religioso?
Niente di tutto questo. E’ sorprendente scoprire che il linguaggio più diffuso sia un altro, ancora lo stesso di migliaia di anni fa: la corsa.
A riprova di ciò sarà sufficiente comparare il numero degli Stati delle Nazioni Unite rispetto a quello dei Paesi inscritti alla IAAF, federazione internazionale di atletica leggera: 192 per l’Onu, 213 per la IAAF.
Qualcuno potrebbe ancora chiedersi: ma la corsa è un linguaggio? La corsa è il primo dei linguaggi, la modalità primordiale per raggiungere gli altri, per comunicare, il facebook ante-litteram, per esprimere sé stessi.
Infatti lo stile di corsa è come il DNA: potete mettere a confronto 2 persone qualsiasi che corrono, non troverete mai lo stesso tipo di corsa. Ci sarà sempre qualche differenza, che fa della corsa un codice strettamente personale.
Possiamo citare due esempi clamorosi di comunicazione attraverso la corsa: il primo nell’antichità, il 490 a.c. quando Fidippide corse la distanza da Maratona ad Atene per portare la notizia della vittoria sui persiani, per dopo crollare a terra morto.
Ed in era moderna, nel 1968, il pugno alzato ai Giochi Olimpici di Città del Messico di Tommie Smith e John Carlos: un gesto che rappresentava l’accento sul significato della corsa vittoriosa, del podio olimpico, del record del mondo sui 200 mt.: una tappa decisiva di quel cammino di emancipazione e di liberazione che oggi ha consentito di veder varcata la soglia della Casa Bianca da un uomo di colore.
Acquisire il dato della corsa come linguaggio universale è assolutamente importante nello sviluppo di strategie efficaci per la prevenzione e la cura delle patologie sociali. Strategie che nell’attività sportiva possono trovare un’arma insperatamente efficace.
L’esperienza sviluppata a Palermo per diversi anni in quartieri e situazioni difficili è una straordinaria conferma, come può dimostrare il seguente aneddoto.Un insegnante di educazione fisica, nostro collaboratore, effettuava nei pomeriggi attività di gruppo sportivo all’interno di una struttura scolastica del quartiere “Medaglie d’Oro”.
A questa attività, talvolta venivano affidati dall’Autorità Giudiziaria, nel percorso di recupero, ragazzi già con precedenti penali. Un giorno uno di questi sorprese l’insegnante con un’insolita richiesta (i dialoghi originali sarebbero stati in dialetto stretto, ndr):“Professore, La prego di farmi una cortesia, se mi può concedere un permesso perché avrei bisogno di allontanarmi dieci minuti”.L’insegnante, di immediato rimando, rispose picche, in quanto, per la durata della lezione, aveva la responsabilità su tutti i soggetti affidati. Il ragazzo continuò la supplica, chiedendo un’eccezione perché doveva semplicemente andare a fare bancomat ed assicurando che in 10 minuti sarebbe stato di ritorno.A questo punto l’educatore, uno dei più validi e preparati alla gestione dei casi più difficili, investendo nello strumento pedagogico della fiducia, acconsentì alla richiesta. Mentre il ragazzo era via, ripensando all’accaduto, lo stesso insegnante quasi si rallegrava, tra sé e sé, del fatto che il ragazzo potesse avere il bancomat, forse perché avendo iniziato a lavorare era riuscito ad avere un conto in banca. Dopo dieci minuti esatti il ragazzo era già di ritorno. Il professore chiese: “Ma quindi adesso hai il bancomat?”. La risposta fu certo che no. Allora l’insegnante chiese ancora: “Ma allora il bancomat è forse di tuo padre che l’ha dato a te?”. Altra risposta: “Mio padre non si è mai interessato a me!”.L’educatore, ormai investito da un certo presagio, domandò ancora: “Ma che bancomat hai fatto allora?”. La replica non fu per niente reticente: “Semplice, sono andato al bancomat, ho aspettato che una signora facesse il prelievo, le ho puntato il coltello e mi sono fatto dare i soldi”.
L’episodio, per quanto negativo, dimostra tuttavia che proprio e, possiamo dire unicamente, l’attività sportiva consentiva a questi ragazzi di aprirsi, di aprire nuovi canali di comunicazione di loro fiducia, a tal punto dall'arrivare a confessare un reato, quando l’omologazione alle attività criminose diffuse nel quartiere imponeva invece il più assoluto silenzio.
Un primo successo nella competizione contro le organizzazioni criminali per il consenso dei giovani. E diceva Paolo Borsellino: “Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo”.
Purtroppo, spesso si ha però la sensazione che, soprattutto in Italia, prevalga l’abitudine a subire i problemi piuttosto che a gestirli e, talvolta, ci si accorge di un determinato problema quando ormai esso é irrisolvibile.
Nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata la strategia di prevenzione è indispensabile anche per valorizzare gli eccezionali risultati ottenuti dalle Forze dell’Ordine nell’azione repressiva.Diceva ancora Paolo Borsellino: “Non illudiamoci che le azioni giudiziarie, per quanto penetranti possano essere, possano fare piazza pulita della mafia. Se son si incide a fondo sulle cause che generano la mafia, è chiaro che ce la ritroveremo sempre davanti. La verità è che c’è stata una delega inammissibile a magistrati e polizia di occuparsi da soli della mafia, poi per il resto lo Stato non ha fatto nulla”.
Forse anche per questa sua stessa convinzione, Paolo Borsellino era capace di gesti come quello di regalare il motorino di suo figlio, oggi funzionario di Polizia, ad un ragazzo pregiudicato proveniente da una famiglia tutta coinvolta nella manovalanza criminale di cosa nostra.
Quanto l’azione preventiva sia importante ha dimostrato di saperlo proprio la mafia, uccidendo il 15 settembre 1993 Padre Pino Puglisi, parroco della Chiesa di San Gaetano nel quartiere Brancaccio di Palermo. Un sacerdote intellettuale, che personalmente ho avuto la fortuna di avere come insegnante al Liceo Classico V.E. II di Palermo, che ha pagato con la vita l’impegno per il riscatto civile e culturale della propria terra, che si rivolse al killer dicendo: “Me lo aspettavo”.
La sua esperienza rappresenta un esempio fulgido di genitorialità allargata ed anche Padre Puglisi aveva dimostrato di credere nell’attività sportiva, fondando la Polisportiva San Gaetano.
Un caso particolare fu quello del piccolo Giovanni, figlio di uno degli uomini uccisi nella faida mafiosa. La madre lavorava a Palermo come cameriera e il ragazzo, lasciato solo, cominciò a rubacchiare: una volta pure in Chiesa il cestino delle offerte. I carabinieri lo sorpresero e volevano portarlo al riformatorio. Padre Pino intervenne e disse: “Mandarlo dietro le sbarre adesso sarebbe come iscriverlo all’università del crimine. Qui, invece, io e i parenti possiamo aiutarlo”. Poi, ottenuta la “libertà provvisoria”, disse al ragazzo: “Se hai bisogno di soldi chiedimeli. Te li darò”.
Giovanni divenne l’allievo preferito e lasciò perdere i furti. Una vicenda che, oltre a rappresentare esatta applicazione dei principi del Vangelo, costituisce anche una preziosa chiave di lettura in tema di sicurezza. Oltre alla certezza della pena, bisognerebbe ricercare la “certezza della conversione sociale e civile”, unica in grado di ridurre il rischio di recidive.
Padre Puglisi aveva una mentalità sportiva autentica, con una fede incrollabile nel raggiungimento dei risultati. Pur consapevole delle mancanze dello Stato, faceva in modo che non diventassero mai un alibi ed infatti diceva: qualcuno potrebbe dire “Non dovrebbe pensarci lo Stato? Intanto cominciamo a pensarci noi, perché se ognuno fa qualche cosa...”.
Non vi è dubbio che l’attività sportiva possa costituire uno dei più efficaci strumenti di formazione ed informazione, di opportunità di crescita individuale e collettiva, soprattutto di vera e propria emancipazione da modelli di consumo e comportamento viziati dalla dipendenza da dispositivi elettronici e dalla incessante pressione della società dei consumi.
Insomma lo Sport come un autentico cammino di libertà.
Purtroppo va detto che il Paese non naviga in acque molto buone, sportivamente parlando, con un’altissima diffusione di analfabetismo motorio tra le giovani generazioni, causa principale della altissima percentuale di ragazzi italiani, di età compresa tra i 6 e i 18 anni, in sovrappeso. Percentuale che ormai supera il 50%. Cifra da emergenza nazionale.
La via maestra sarebbe lo sviluppo dell’educazione fisica nella scuola, a cominciare dalle elementari, con l’assunzione di insegnanti qualificati, cosa che significherebbe investire e non spendere.
Ma sappiamo che non tira aria: purtroppo, l’argomento non viene alla ribalta e lo Stato continua a disertare il tema.
Quindi risulta ancora più importante il ruolo delle Associazioni sportive, l’iniziativa dei singoli per sopperire alle gravi lacune.
Affinché un numero sempre crescente di giovani possa avere la fortuna di sottoporsi al vaccino obbligatorio dell’attività sportiva, per una moderna attuazione del “Mens sana in corpore sano”.
(Redazione) Condivido pienamente il pensiero articolato di Bartolo Vultaggio Ma aggiungerei anche che, negli ultimi decenni, dopo un promettente inizio, si è registrato il crollo più radicale della promozione di qualsiasi forma di sport (quelli più tradizionali) nelle scuole medie inferiori e superiori.
E questo è un fatto gravissimo. Nel senso che la Scuola ha rinunciato da tempo ad essere maestra nel campo della iniziazione alla pratica dell'attività motoria (che è sempre tenderei a sottolineare "psico-motoria") e all'insegnamento degli elementi basilari delle discipline sportive. Laddove, negli altri paesi europei "moderni", si investe molto nell'educazione motoria e sportiva durante gli anni della scolarizzazione, sia in termini di abitudine allo svolgimento delle più disparate attività motorie ludiche sia all'infarinatura delle tecnince e delle regole delle più semplici attività sportive.
Insegnare ai ragazzi in età scolare ad amare il movimento, insegnando loro a praticare in modo corretto le diverse discipline sportive, ha un valore fondamentale, perchè lo sport attraverso l'insegnamento del rispetto delle regole proprie di ogni singola disciplina forgia il senso etico individuale, oltre a fornire altri insegnamenti, quali i valori della solidarietà e dell'importanza di essere corretto con i propri avversari.
E, proprio per questa enfasi che si dà alle attività motorie e sportive, gli orari scolastici sono prolungati, dal momento che l'attività motoria viene praticata ogni giorno,non per quelle due striminzite ore settimanali di "educazione fisica" delle scuole italiane.
Ed è così che, in Italia, all'eduxazione sportiva dei porpri figli, in genere, provvedono le famiglie, naturalmente se possono farlo.
Nei quartieri deprivati e tra le famiglie a basso reddito succede che, con la rinuncia della scuola ad esercitare questa funzione, per i giovani non ci sono alternative possibili: sono abbandonati a se stessi e finiscono con l'essere attratti da altri tipi di "scuole".
E si creano inevitabilmete le premesse per una più marcata deviazione sociale e per lo sviluppo di fome di comportamento anomico che portano alla dissocialità e al crimine.
Solo l'azione combinata delle Associazioni sportive, delle Scuole (Istituzioni) e del volontariato possono contrastatare questo tipo di derive, ma soltanto se si pianificano nel tempo interventi ben orchestrati che badino alla sostanza,più che alle esigenze della vetrina , come giustiamente si augura Bartolo Vultaggio a conclusione della sua riflessione.
La sede originaria dell'articolo riproposto da Bartolo Vultaggio.
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