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21 settembre 2017 4 21 /09 /settembre /2017 19:39

(...) Oggi ho visto un ragazzo che saliva svelto, concentrato, a piedi nudi e occhi a terra, sulle pietre. Uno sguardo alle pietre e uno ai piedi nudi, pensavo. O forse i suoi erano occhi che non vedevano nulla, guardavano dentro di sé, in profondità. Palpebre e cuore sincronici, sembrava pensare seriamente alla sua promessa, alla grazia ricevuta, a una grazia da chiedere lungo il suo pellegrinaggio. Quelli della prima fuga di Monte Pellegrino sono pavimenti del pensiero a cui rimangono attaccate tutte le figurine delle storie personali, pensavo. Quelle fughe così magnificamente silvestri, lineari e contorte allo stesso tempo, contengono, pensavo, i pensieri di tutti i palermitani; se potessero staccarsi, quei pensieri, una folla immensa di immagini avvolgerebbe come una nube la città.
(...)

Cettina Vivirito

(MC) Questo l'incipit dell'articolo di Cettina Vivirito sul camminare contemporaneo, dai pellegrinaggi alle erranze suburbane. Per pura coincidenza, anche io l'altro giorno, percorrendo la strada che solitamente mi riporta indietro dalla casa di campagna vicino a Palermo e che è quella stessa che conduce dalla SS113 a Ventimiglia di Sicilia, ho visto due camminare lungo la strada in direzione di Altavilla. Una signora avanti con gli anni e senza scarpe (solo i calzini a piedi), capello di paglia ad ampia tesa ad ombreggiarle il volto, incedeva a passo cadenzato, aiutandosi con un grosso bastone. Dietro di lei, a distanza di rispetto, procedeva un uomo, forse il marito, anche lui anziano, lui però con le scarpe ai piedi Ho pensato che la donna, partita da Ventimiglia di Sicilia o forse da più lontano, stesse facendo il pellegrinaggio verso la Madonna Nera di Altavilla Milicia (la cui festa cade appunto ai primi di Settembre), molto venerata in un'ampia area della Sicilia e meta di cammini devozionali, sia per chiedere una grazia sia per sciogliere un voto (adiacente alla chiesa, nella canonica, è  conservata una vastissima collezione di ex voto per grazia ricevuta che, anni addietro, fu oggetto di un prezioso volume edito da Sellerio).
La donna avanzava da sola, penitente a piedi scalzi, per avere il giusto assetto interiore. L'uomo era soltanto il suo accompagnatore sollecito e protettivo - ho pensato -, ma a distanza, per non rompere con chiacchiere vane la temperatura interiore e la continuità di un muto pregare di lei.
E' stata per me un'immagine icastica e mi è rimasta impressa a lungo nei giorni successivi.
Il camminare porta a se stessi e ci aiuta a ricomporci. E ciò avviene anche laddove non vi sia nel nostro muoverci a piedi un'esplicito assetto devozionale (o penitenziale) e vi si si ravvisi piuttosto il carattere di un'erranza che ci riporta indietro alla nostra origine nomadica, e - attraverso essa - al divino immanente in tutte le cose.
Il camminare con la sua "lentezza" (circa 5 km/h, mediamente, o qualcosa di meno se non si è molto allenati) e attraverso il lento mutare di prospettiva in ciò che ci circonda, con la sua ripetitività sempre cangiante (sono i panorami mentali quelli ad essere sempre cangianti come le nuvole che trascorrono in cielo) ci riporta a ciò che è essenziale, sfrondando via un neo-bisogno appresso all'altro, rendendo superflui tutti gli oggetti che appesantiscono il cammino, e riducendoci - una volta gettate tutte le zavorre che ci appesantiscono - sempre di più all'osso della nostra essenza. E camminare è anche un atto fondante del mondo.
Queste riflessioni, puramente associative, mi sono sembrate la degna premessa all'articolo di Cettina Vivirito.
La lettura dell'articolo può essere accompagnata dalla musica della composizione di Kai Engel, The Run.

Pellegrino nel Cammino di Santiago

(Cettina Vivirito) Come tutte le mattine, scendo con il cane per la solita passeggiata. Salire per la vecchia strada di Monte Pellegrino fatta di pietre lisce lucide e smozzicate è per me come ciabattare per casa da vecchia perpetua: conosco i particolari delle curve, le nuvole che scendono basse e quelle che si nascondono dietro la montagna per poi comparire in volo veloci come aquiloni e sempre diverse.

Oggi ho visto un ragazzo che saliva svelto, concentrato, a piedi nudi e occhi a terra, sulle pietre. Uno sguardo alle pietre e uno ai piedi nudi, pensavo. O forse i suoi erano occhi che non vedevano nulla, guardavano dentro di sé, in profondità. Palpebre e cuore sincronici, sembrava pensare seriamente alla sua promessa, alla grazia ricevuta, a una grazia da chiedere lungo il suo pellegrinaggio. Quelli della prima fuga di Monte Pellegrino sono pavimenti del pensiero a cui rimangono attaccate tutte le figurine delle storie personali, pensavo. Quelle fughe così magnificamente silvestri, lineari e contorte allo stesso tempo, contengono, pensavo, i pensieri di tutti i palermitani; se potessero staccarsi, quei pensieri, una folla immensa di immagini avvolgerebbe come una nube la città.

Questo accade in una città come la nostra, Palermo; ma lungo la storia delle erranze, in altri luoghi e in altre città, dal paleolitico al nomadismo neolitico passando per il Dada al Surrealismo, dal Lettrismo all'Internazionale Situazionista, fino al Minimalismo e alla Land art, cambia la percezione del paesaggio. Così ci racconta uno speciale architetto, Francesco Careri, che non costruisce, non progetta ma pone una sfida che porta avanti con il collettivo Stalker/Osservatorio Nomade, che da diversi anni opera a Roma e non solo. Il gruppo nasce ispirandosi al movimento studentesco della Pantera che continua in qualche modo ad ispirarsi all'Osservatorio Nomade. Gli Stalker camminano, ma non si limitano a passeggiare per la città dei monumenti, delle piazze, dei grandi viali, dei parchi. La loro pratica è "estrema", è un tentativo di "mappare" la città dal di dentro, di scoprire com'è possibile vivere la città – in particolare le sue periferie – al di fuori degli spazi progettati dagli architetti, che troppo spesso sono diventati i simboli di un'invivibilità delle grandi metropoli. È possibile raggiungere Roma da Tivoli a piedi, passando per dei percorsi alternativi alla strada asfaltata? Per gli Stalker è possibile, è anzi scoperta di spazi sconosciuti: il nomadismo diventa perciò un'istanza di re-visione dello spazio urbano che non passi attraverso l'aggiunta di nuove costruzioni.

L'idea di fondo di Breton, che guida il gruppo, è quella di dar voce alla "città inconscia". Saranno i lettristi negli anni '50 a dare per la prima volta importanza all'aspetto di una pratica artistica che non lascia tracce visibili, mentre i situazionisti si allontaneranno dai lettristi, dando vita di nuovo a delle "psicogeografie". Fino ad arrivare alla Land Art, in particolare americana, che fa assurgere il passaggio in un luogo ad opera d'arte. Nella sua forma più avanzata questa pratica non lascia più nemmeno una traccia effimera sul terreno e tutto viene affidato ad una documentazione, perlopiù fotografica, che già non è più l'opera d'arte. I walkscapes sono perciò landscapes, paesaggi, letteralmente "pezzi di terra" non posseduta, ma vista, attraversata: sono pezzi di cammino che ci servono a ricostruire la geografia di un luogo, la metropoli, altrimenti inimmaginabile.

In ogni tempo il camminare ha prodotto architettura e paesaggio, e questa pratica quasi del tutto dimenticata dagli stessi architetti è stata ripristinata dai poeti, dai filosofi e dagli artisti, la cui massima espressione si trova in un libro di Bruce Chatwin, Le vie dei canti, una sorta di inno al pensiero nomade più che al nomadismo. Il camminare in effetti permette di vedere dinamizzando delle linee, linee di canti che disegnano il territorio aborigeno, linee di fuga che bucano lo schermo del paesaggio nella sua rappresentazione più tradizionale, linee di streghe, come direbbe Deleuze, che trascinano il pensiero dietro il movimento delle cose, lungo vene che disegnano nelle profondità delle acque quei tragitti delle balene che Melville descrive così bene in Moby Dick. Le strade non conducono più soltanto a luoghi, sono esse stesse dei luoghi. Jackson ha introdotto un nuovo termine nel lessico del paesaggio, "odologia" che deriva dal hodos, parola greca che significa strada, cammino, viaggio. Lo prende a prestito da uno psicologo sperimentale, Kurt Lewin, che se ne è servito negli anni '30 per caratterizzare "lo spazio vissuto" in cui si situa un individuo nel suo ambiente. Ecco perché l'approccio artistico è così importante per comprendere il nostro modo di percepire il mondo attraverso le vie che lo percorrono, nella misura in cui pone l'accento sulla dimensione dell'esperienza sensibile e affettiva del camminare. Di fatto, gli uomini oscillano sempre tra queste due dimensioni, quali che siano le loro pratiche; in quanto abitante della terra ama stabilirsi, fondare, mettere radici, imprimere il proprio segno; in quanto animale politico, invece, guidato da Ermes, dio dei viaggiatori e dei banditi, delle pietre miliari e dei passaggi, tende a lasciare la propria famiglia e la propria casa per volgersi a luoghi più stimolanti per cimentarsi e agire. Siamo stretti tra due desideri: stabilirci da qualche parte, appartenere a un luogo e trovare altrove un nuovo campo di azione.

Pellegrini in cammino

Camminare non è uno sport”, precisa poi Frédéric Gros. Più ci immergiamo nel mondo digitale, più cresce l’impulso di riscoprire con il corpo il mondo fisico attraverso un’azione, un’attività, che si tratti di alpinismo, free climbing, andare bicicletta o a piedi. I camminatori, e chi ha scritto sul camminare, hanno la tendenza a dividersi in due categorie: i flâneur urbani, discendenti di una lunga tradizione che va da Charles Baudelaire, ai Situazionisti, e quelli che sulle orme di Rousseau, Thoreau e Edward Thomas sono rimasti folgorati dalla natura. Che camminare significhi aprirsi al mondo, lo aveva già scritto David Le Breton, antropologo del corpo: “L’atto del camminare immerge in una forma attiva di meditazione che sollecita la partecipazione di tutti i sensi, si cammina per nessun motivo, per il piacere di gustare il tempo che passa, per scoprire luoghi e volti sconosciuti, o anche, semplicemente, per rispondere al richiamo della strada. Camminare è un modo tranquillo per reinventare il tempo e lo spazio. Prevede una lieta umiltà davanti al mondo”.

Ma già Aristotele insegnava camminando sotto i portici del Liceo e i suoi allievi si chiamavano peripatetici, dal greco peripatein (passeggiare), proprio per questo. Socrate amava camminare e dialogare e gli stoici discutevano di filosofia passeggiando sotto la Stoa, i portici di Atene. Nella Grecia classica il luogo di pellegrinaggio più famoso era Delfi dove si andava per ricevere i responsi della Pizia. Da allora camminare è diventato un atto rivoluzionario, quasi eversivo. Lao Tse ha scritto che un viaggio di mille chilometri comincia sempre con un passo. Il primo passo. Che è l’unico che conta perché senza il primo, come per il respiro, non ce ne saranno altri, perché segna un distacco. Dalla vita di tutti i giorni, dagli affetti, dalle comodità, dalla propria casa, dal lavoro.

Camminare definisce una soglia tra un prima e un dopo, oltrepassata la quale si entra in una vita dove non si è nessuno, dove si cammina nel regno dell’incognito.

Camminare a volte coincide con la protesta: marce di protesta (come la Marcia di Gandhi, nel 1930, contro la tassa britannica sul sale), marce della pace (la Pellegrina della Pace americana che nel 1953 fece voto di continuare a camminare finché il genere umano non avesse imparato la via della pace e che camminò per 28 anni e morì in uno scontro frontale), le marce contro la Guerra in Corea o in Vietnam, le marce per i diritti civili (le marce delle suffragette e quella di Martin Luther King a Birmingham nel 1963), le marce delle Madri intorno all'obelisco della Plaza de Mayo, che, per non incorrere nell'accusa di occupazione abusiva di suolo pubblico dovettero alzarsi e camminare in circolo, e ancora scioperi e cortei e processioni. Tutte queste manifestazioni si svolgono per la strada che è, per eccellenza, il luogo che appartiene a tutti e sono perciò strettamente connesse con il concetto di democrazia, come spiega Rebecca Solnit che scrive nel suo bellissimo Wanderlust. A History of Walking: “camminare non ha classi” raccontando come la questione dell’accesso ai terreni in Inghilterra sia stata nei secoli invece proprio una specie di guerra di classe (come del resto lo sono tutte le questioni di accesso a un bene comune). Il conflitto verteva su due diverse immagini del paesaggio, la prima che vedeva la campagna come un grande corpo suddiviso in parti ben distinte, la seconda come un organismo collegato da un sistema circolatorio costituito dai sentieri. Le servitù di passaggio affermavano, in accordo a questa seconda visione, che la proprietà non comportava necessariamente diritti assoluti e che i sentieri erano principi altrettanto significativi dei confini.

Ma il rapporto tra letteratura, religione, filosofia, antropologia, sociologia, politica e il camminare è sterminato: si potrebbe ancora aggiungere l’analisi dei vecchi e nuovi atteggiamenti sul rapporto tra viaggiare a piedi e natura: per un europeo, probabilmente, un viaggio nel deserto sarà un ritorno ad un antica casa ancestrale, mentre per un nordamericano come Thoreau, rappresenterà il futuro. Il camminatore campestre rivendica che camminare in città equivale a soffrire per chi ama le lunghe passeggiate nella natura, perché implica un ritmo a scatti irregolare. Scrive Gros: “Il flâneur è sovversivo. Sovverte la folla, la merce e la città, come pure i loro valori. Il camminatore dei grandi spazi, l’escursionista con lo zaino sulle spalle oppone alla civiltà l’esplosione di una rottura, la perentorietà di una negazione (ricordiamo Jack Kerouac, e il suo On the road). Il flâneur sovverte la solitudine, la velocità, l’affarismo e il consumo. In poche parole, mentre i giardini sono luoghi dove: “d’estate ci si attarda fino a sera inoltrata nella luce arancione e nei riflessi viola, nella dolcezza del buio che scende pian piano, e nella polvere di quelle migliaia di passi (…) Per chi abita in città, l’esterno è solo un luogo di transizione, un intermezzo (...) La vita reale continua in ufficio o a casa, prevalentemente all'interno di spazi chiusi”. Prevale il dentro, rispetto al fuori".

Il modo in cui viviamo, peraltro, non riguarda soltanto noi, nell'affettività non siamo mai soli: un’affettività più intensa porta con sé una forte sensazione d’inserimento – un grado più elevato di appartenenza. In questo potenziale c’è sempre un atto etico dal momento che condiziona il “dove” vogliamo andare; ci dice in che modo riusciamo ad abitare l’insicurezza. Esprime la nostra capacità di transitare, avanzare nella vita affrontando le costrizioni. Ci dice che camminare è sempre una caduta controllata. Il camminare è una metafora dell'inquietudine umana ma anche esperienza di stupore quotidiano: la mente ha bisogno, camminando, di sostare su ciò che vede, rimanendone stupita. Questo percorso è disarmonico, niente affatto lineare, e assomiglia al procedere per tentativi della ricerca filosofica e scientifica: un camminare per tentativi che esplora quindi disequilibrio più che armonia.

Pellegrini

Camminare è inutile come tutte le attività essenziali. Atto superfluo e gratuito, non porta a niente se non a sé stessi, dopo innumerevoli deviazioni” scrive Le Breton. Forse, dovremmo tutti trovare del tempo per farlo, forse dovremmo renderci conto che la vita – come ricorda una vignetta che circola in rete – è quella cosa che ci accade mentre siamo intenti a guardare sullo smartphone. E se camminando teniamo lo sguardo fisso sullo schermo, inciampiamo: è molto probabile. Distratti, inciampiamo e cadiamo. Camminare, invece, è ritagliare un momento di attenzione, è – appunto – deviare, ma per arrivare, in fondo, sempre allo stesso punto, al punto di partenza, e quel punto siamo noi.

Se è vero che camminare è meravigliarsi, respirare a pieni polmoni e attivare al massimo grado i nostri sensi e la nostra sensibilità, la sensibilità porta con sé anche una dose consistente di nostalgia, e muoversi è sempre stato una questione di scelte e di rinunce. Ecco che allora la nostalgia più potente del camminatore sarà quella per  “...la strada abbandonata: non è dato sapere se questa portasse a una verità personale che avrebbe potuto modificare il corso della vita indirizzandola su una via propizia, o alla meraviglia di un paesaggio, di un incontro”.

Come scrive Stevenson “sapere che qualcun altro ha provato e visto le nostre stesse cose, anche se si tratta di cose poco importanti, in un modo che non è molto diverso dal nostro, resterà sempre uno dei piaceri più preziosi”. 

Camminare è un’arte, è – scrive ancora Le Breton – “il privilegio di esistere, semplicemente, e sentirlo”, una magnifica riscoperta di umanità. È un’arte lenta, particolarmente preziosa oggi, in un mondo in cui il corpo risulta essere una parentesi, un ingombro. Scrisse Nietzsche: “...le nostre preoccupazioni nascono proprio dalla sedentarietà, da quella pigrizia fisica e morale, da quell’incapacità di muoversi, di cominciare”. (…) “Star seduti il meno possibile; non fidarsi dei pensieri che non sono nati all'aria aperta e in movimento – che non sono una festa anche per i muscoli. Tutti i pregiudizi vengono dagli intestini. Il sedere di pietra è il vero peccato contro lo spirito santo”. Oggi, in un’epoca di sederi di pietra, camminare è un anacronismo da salvare, nelle nostre giornate veloci, istantanee, efficienti; camminare è salvare noi stessi  perché ogni cammino è custodito innanzitutto dentro di noi, prima che si declini sotto i passi.

"Non invidiava le automobili, sapeva che in automobile si attraversa ma non si conosce una terra. A piedi vai veramente in campagna, prendi sentieri e costeggi le vigne, vedi tutto. C'è la stessa differenza che guardare un'acqua e saltarci dentro", è una delle metafore più vicine alla verità di Cesare Pavese.

La Marcia del sale di Gandhi. Un forte esempio del potere sovversivo e di protesta del camminare

Per accompagnare il nostro camminare e le corse in natura, con un tema musicale profondo e non chiassoso... Quando la musica è silenzio che porta a se stessi e che crea ponti... Oppure quando è catalizzatrice del senso di meraviglia per ciò che ci circonda...

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Presentazione

  • : Ultramaratone, maratone e dintorni
  • : Una pagina web per parlare di podismo agonistico - di lunga durata e non - ma anche di pratica dello sport sostenibile e non competitivo
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  • Ultramaratone, maratone e dintorni
  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.
  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.



Etnatrail 2013 - si svolgerà il 4 agosto 2013


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Il perchè di questo titolo

DSC04695.jpegPerchè ho dato alla mia pagina questo titolo?

Volevo mettere assieme deio temi diversi eppure affini: prioritariamente le ultramaratone (l'interesse per le quali porta con sè ad un interesse altrettanto grande per imprese di endurance di altro tipo, riguardanti per esempio il nuoto o le camminate prolungate), in secondo luogo le maratone.

Ma poi ho pensato che non si poteva prescindere dal dare altri riferimenti come il podismo su altre distanze, il trail e l'ultratrail, ma anche a tutto ciò che fa da "alone" allo sport agonistico e che lo sostanzia: cioè, ho sentito l'esigenza di dare spazio a tutto ciò che fa parte di un approccio soft alle pratiche sportive di lunga durata, facendoci rientrare anche il camminare lento e la pratica della bici sostenibile. Secondo me, non c'è possibilità di uno sport agonistico che esprima grandi campioni, se non c'è a fare da contorno una pratica delle sue diverse forme diffusa e sostenibile. 

Nei "dintorni" della mia testata c'è dunque un po' di tutto questo: insomma, tutto il resto.

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Come nasce questa pagina?

DSC04709.jpeg_R.jpegL'idea motrice di questo nuovo web site è scaturita da una pagina Facebook che ho creato, con titolo simile ("Ultramaratone, maratone e dintorni"), avviata dall'ottobre 2010, con il proposito di dare spazio e visibilità  ad una serie di materiali sul podismo agonistico e non, ma anche su altri sport, che mi pervenivano dalle fonti più disparate e nello stesso tempo per avere un "contenitore" per i numerosi servizi fotografici che mi capitava di realizzare.

La pagina ha avuto un notevole successo, essendo di accesso libero per tutti: dalla data di creazione ad oggi, sono stati più di 64.000 i contatti e le visite.

L'unico limite di quella pagina era nel fatto che i suoi contenuti non vengono indicizzati su Google e in altri motori di ricerca e che, di conseguenza, non risultava agevole la ricerca degli articoli sinora pubblicati (circa 340 alla data - metà aprile 2011 circa - in cui ho dato vita a Ultrasport Maratone e dintorni).

Ho tuttavia lasciato attiva la pagina FB come contenitore dei link degli articoli pubblicati su questa pagina web e come luogo in cui continuerò ad aprire le gallerie fotografiche relative agli eventi sportivi - non solo podistici - che mi trovo a seguire.

L'idea, in ogni caso, è quella di dare massimo spazio e visibilità non solo ad eventi di sport agonistico ma anche a quelli di sport "sostenibile" e non competitivo...

Il mio curriculum: sport e non solo

 

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