Tra gli oltre 950 esordienti alla 42^ edizione della 100 km del Passatore che si è svolta tra il 24 e il 25 maggio 2014, molti erano "matricole" in assoluto della specialità 100 km, mentre altri avevano già corso altre 100 km, ma non questa ancora. Tra questi anche la siracusa Eleonora Suizzo che è entrata abbastanza di recente nelll'universo Ultra, attraverso le 6 ore e le 12 ore, ultra a tempo, ma che ancora non aveva portato l'impresa dei 100 km. Eleonora è stata finisher al traguardo di Piazza del Popolo di Faenza, con un bel crono, anche se il tempo cronometrico non è ciò che conta alla prima volta. Ciò che conta è aver compiuto l'impresa, il viaggio, il pellegrinaggio... comunque lo si voglia chiamare "viaggio dell'anima", alla fine.
Ecco il suo racconto.
( Eleonora Suizzo) E' adesso. É arrivato il momento di riscattarsi, di asciugarsi quelle maledette lacrime, versate nell'ombra, inghiottite e amare. Oggi è il mio giorno, il mio nuovo inizio, il sole risplende sulla mia pelle e dentro il mio cuore. Inizia da qui un viaggio alla riscoperta di me stessa, dei miei limiti, delle mie potenzialità, del mio orgoglio, delle mie emozioni più recondite.
La goliardia della vigilia è ormai passata e adesso sono un po' corrucciata non perché abbia paura di correre; piuttosto il contrario, sto fremendo. Devo correre al più presto perché quest'attesa è diventata estenuante.
Firenze questa mattina è lo scenario ideale per incorniciare la mia storia in Corsa. Le strade brulicano di turisti, la temperatura è elevata, i podisti si muovono tutti verso un'unica direzione: il ritiro pettorale. Scattano fotografie, si ungono, mangiano i loro intrugli magici seduti su un marciapiede di fronte la vetrina di "Prada". Immagine stonata questa, ma rappresentazione della contraddizione umana.
Il gruppo siciliano si riunisce a pochi isolati da Via de' Calzaiuoli, la partenza; nessuno si è dato appuntamento preciso, si fiuta l'odore della propria terra, semplicemente. Si preparano le ultime cose, gli zaini sono stati consegnati, i chip ben allacciati alle scarpe e i pensieri escono fuori urlanti o silenti attraverso gli sguardi di ognuno.
Sembro sognante, apatica, in apnea, e mentre luci ed ombre combattono nella mia mente, all'improvviso è arrivato il momento. Si parte. Ma si parte davvero? Oltrepasso il tappeto sotto il gonfiabile e vengo travolta da una calca di podisti che si fanno spazio tra gli stretti vicoli del centro fiorentino.
Ricordo bene ogni chilometro percorso fino al ristoro del settantesimo. Ricordo panorami mozzafiato, distese di verde incontaminato, ruscelli e cascate, tornanti in salita, caratteristici e minuscoli borghi montani, e una bambina che mi regala una fragola.
Ricordo gli applausi della gente intorno, le risate con il mio compagno di avventura, il sapore e il refrigerio dell'acqua sorgiva, i tornanti in discesa, il cielo all'imbrunire, il colore del buio della notte. E quanto era buono quel pane con la mortadella!
D'un tratto, nell'oscurità dei miei pensieri vedo l'immagine di mio figlio che mi sorride: mi manca ADESSO terribilmente. Mi manca il respiro, l'aria, ho bisogno di abbracciarlo ora, ma lui non c'è e ho un nodo in gola, vorrei piangere ma mi trattengo e allora non respiro più.
É uno sconforto che non comprendo perché non sono ancora stanca, è uno sconforto che mi attanaglia l'anima. Non sento le gambe, vedo il ciglio della strada ai margini grazie alla mia lampada frontale, c'è solo natura intorno ma sono pervasa dalle sue ombre.
Il cielo è carico di stelle dalla maestosità imbarazzante.
Ma sarà la seconda parte di questa impresa a rappresentare il mio viaggio dell'anima. Le articolazioni sono doloranti e la schiena pure, ho già percorso quasi 70 chilometri e sembra che il mio sogno inconsapevolmente stia prendendo forma, senza troppa fatica, senza grandi sofferenze, ma così naturalmente, immagine che la mia mente e il mio corpo le danno. I tratti bui diventano sempre maggiori e la temperatura si abbassa, ma non è fredda, è ancora fresca. Sento intorno il rumore dell'acqua che scorre, ma non vedo torrenti. Sento una civetta emettere un suono, ma non vedo i suoi occhi. Sento il verso di un rospo ma non lo vedo saltare davanti ai miei piedi.
La mia schiena comincia a urlare e si fa forte del suo disaccordo alle mie imposizioni, infliggendomi un primo dolore al ginocchio sinistro. È ancora presto per sentire dolore. Devo percorrere altri 30 chilometri, oltrepassare 5 ristori e leggere il cartello del 99° chilometro. Vado avanti, soffro, mi arrabbio, urlo e impreco, sono costretta ad alternare la mia corsa con la camminata per dare tregua ai dolori. "Ecco, altri dieci chilometri sono passati, se modifico il mio assetto di corsa e piego il ginocchio il meno possibile, forse andrà meglio", penso.
Non faccio in tempo a riflettere sulla nuova strategia che comincia il dolore medesimo al ginocchio destro. È incessante. È incalzante. È mutilante. Chilometro dopo chilometro, canalizzo le mie energie sulla strada, sulla striscia bianca disegnata sull'asfalto. Comincio a sudare, sudare tanto, ho freddo adesso e devo correre per altri 15 chilometri.
Non so quale sia la motivazione che dal profondo riesce alla fine a farmi raggiungere l'obiettivo che mi prefiggo, combatto con gli artigli per realizzare i miei desideri, mi metto in gioco, rischio, per rendermi consapevole della mia forza e della mia debolezza ed ogni volta mi riscopro temprata, appagata da una battaglia che è metafora di vita ma anche felicità, onestà, genuinità, adrenalina, emozione, animo, volontà, amore.
Questa la mia prima 100 km del Passatore.
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