La catanese Elena Cifali della ASD Movimento é Vita Gela (in Facebook conosciuta ormai come SuperElena Cifali) ha partecipato alla 12 ore su pista, in occasione della 24 ore del Sole che si è celebrata tra il 24 e il 25 novembre 2012, a Palermo all'interno dello Stadio di Atletica "Vito Schifani" e ce l'ha fatta: ha condotto bene la sua prima esperienza di ultramaratona, testando se stessa, in vista di più ambiziosi impegni e scoprendo così di poter stare sulle gambe per 12 ore di seguito, avvicinandosi di molto al fatidico traguardo dei 100 km.
Non male come prima esperienza: nelle 12 ore di gara ha percorso quasi la distanza di due maratone (82,428 km), tra l'altro laureandosi campionessa italiana IUTA 2012 di specialità (12 ore su pista), vista che la gara era valecvole come Campionato italiano IUTA 12 ore su pista!
Si merita un sentito in "In Bocca al Lupo" in vista di future imprese da parte di "Ultramaratone, maratone e dintorni"]
(Elena Cifali) 12 ore per correre senza infortunarsi;
12 ore per sudare senza sauna;
12 ore per stancarsi senza farsi venire il fiatone;
12 ore per pensare senza trovare la soluzione;
12 ore per riflettere, senza inabissarsi in discussioni sterili;
12 ore per rivivere un’intera vita;
Quando un amico scherzando mi propose la 12 ore su pista lo guardai con sorpresa: una simile gara non l’avevo messa in calendario, non era tra le mie priorità, non mi ero allenata per sopportare uno stress psico-fisico così impegnativo. Quando se ne parlò la prima volta, avevo nella testa la maratona dell’Etna. “Finisco la maratona e poi ci penso", risposi. Finita l'Ecomaratona dell’Etna iniziai a pensarci seriamente. Mancavano solo 3 settimane, nessun allenamento su pista e tanta stanchezza ereditata dalle gare precedenti.
Ma chi mi conosce sa perfettamente che raramente mi tiro indietro. Quindi decisi: partecipo!
Sono arrivata allo Stadio Vito Schifani di Palermo durante la mattina del sabato, quando i partecipanti della 24 ore già correvano. La prima cosa che mi ha colpito è stata la serenità che la pista mi trasmetteva. E’ un pista “serena ed allegra” colorata come piace a me di un bel colore arancio. Sembra un’enorme biscotto che non chiede altro di essere mangiato. Tutto intorno volti che riconosco, amici che mi salutano, atleti con i visi imperlati di sudore che cercano di mantenere la concentrazione.
Mi assegnano il numero del pettorale: 96, un bel numero tutto tondo, che non potrà che portarmi fortuna!
Sbrigate tutte le formalità, ho abbandonato lo stadio per tornarci in tarda serata.
Le ore che mi separano dalla partenza sembrano interminabili, ho lo stomaco in subuglio, l’ansia mi attanaglia e non riesco a fare il riposino pomeridiano che mi ero programmata.
Ritornando in pista, mi accorgo che tutto intorno è pieno di lucciole e che la luna quasi piena è alta in cielo. Da questo momento, l'astro pallido sarà la mia compagna fedele per tante ore. Sarà lei a guardarmi, ad illuminare il mio cammino, sarà lei che come un faro nella notte guiderà i miei pensieri.
Siamo pronti, in 7 dietro la linea di partenza, ridiamo ed applaudiamo noi stessi.
Dieci secondi, sette, cinque, tre, due, uno, via!
Io e gli altri compagni iniziamo a correre chi sul primo e chi sul secondo anello,ed è un’emozione che mi “strizza il cuore”, che mi fa diventare “grande”: da ora in poi sarò proiettata in un’altra dimensione.
Tutto il mondo - tutto il “mio” mondo - è qui.
La pista diventa il mio “pianeta ovale”
Qui sono al sicuro, corro, ascolto la musica dalle mie cuffiette e penso.
Inizio a pensare che questo mio Pianeta ha tutto quello di cui ho bisogno: c’è IL Re Luigi Stella (patron della manifestazione), c’è il Contastorie Aldo Siracusa, c’è il Condottiero Maurizio Crispi, ci sono tutti gli Assistenti di Corte (addetti alle attrezzature informatiche), ci sono i Domestici (addetti ai ristori, all’ambulanza, ed ai bagni) e poi c’è Il popolo (che corre, quindi produce). Ognuno col suo ruolo preciso, ognuno porta a termine il lavoro che gli è stato affidato con onore e rispetto per quel che fa.
Proprio la gioia e la volontà di fare bene quello che compete fa in modo che tutto funzioni alla perfezione. Si potrebbe vivere un’intera vita su quella pista, ma ahimè il gioco durerà solo 24 ore !
I primi chilometri scorrono molto velocemente, le mie gambe funzionano benissimo, nessun dolore, nessun fastidio, sono felice come una bimba sulla sua giostra e lasciandomi prendere dall’entusiasmo e dal ritmo della musica azzardo qualche giro più veloce. Ci penserà il saggio Salvo Piccione, più esperto di me in simili gare, a frenare la corsa di questa cavalla pazza. Mi acchiappa, mi mette una mano in testa e mi consiglia di moderare il passo: “La notte è lunga, se continui così alle 6 del mattino sei KO”.
Gli do retta, rallento di molto e cerco di mantenere un’andatura costante, anche se ogni tanto mi sorprendo un pelino più veloce di quello che dovrei essere.
I volti del popolo della 24 ore iniziano ad essermi familiari, vedo lo psicologo, il carabiniere, la casalinga, l’autotrasportatore, la segretaria, il poliziotto, l’impiegato di banca, il medico, il postino, il pensionato, insomma nel nostro piccolo mondo ci siamo tutti, ma proprio tutti.
La voce di Aldo scandisce il trascorrere delle ore e dei km percorsi da ognuno, la stessa voce si fa ovattata nel cuore della notte, assume un tono più pacato, più lento, la stanchezza ed il sonno coglie di sorpresa tutto il Regno.
Di tanto in tanto cerco con lo sguardo il mio compagno di viaggio e di avventura Salvo Crudo, trovo confortante il fatto che ovunque io sia, ovunque lui sia, siamo sempre a portata di vista. Perdersi qui non è possibile.
A perdersi invece è la mia mente che viaggia ripercorrendo l’intera mia vita, a farmi viaggiare è la musica che ho caricato, musica che mi fa ripercorrere 39 anni col sorriso sulle labbra.
Ed intanto che i km passano ho l’impressione di fare un viaggio su una strada con un’infinità di curve:
21 km: mi sento una leonessa.
42 km: sto bene, ho solo freddo alle gambe e decido di mettermi addosso una felpa per proteggere il torace.
50 km: aspetto l’alba, aspetto che cambi il giorno e mi chiedo da che parte sorgerà il sole, infatti ignoro l’esposizione della pista.
Le miei pause si fanno più frequenti, i biscotti, che mi hanno alimentata durante la notte (restandomi appiccicati alle dita per causa dell’umidità), rimangono ancora il mio cibo preferito. Bevo the caldo nel vano tentativo di far passare un brutto dolore allo stomaco sicuramente causato dalla bassa temperatura.
Ma l’alba non tarda ad arrivare, le prime luci schiariscono il cielo, l’umidità che l’ha fatta da padrona per tutta la notte lascia il posto al tepore del sole che lentamente sorge.
Sono quasi le 8.00 del mattino, ho concluso i miei 60 km ed il primo a saperlo è l’amico Pietro Bernardo che ha saputo cogliere l’attimo con una breve, confortante ed incoraggiante telefonata.
La pista torna a vivere di una nuova vita, le luci dei riflettori si spengono, la musica si alza, il freddo pungente lascia posto al calore, la notte al giorno, il riposo alla stanchezza.
Già, la stanchezza!
Inizio a sentirla, anzi, la sento. I piedi mi fanno male, anche se è un dolore sopportabile, li sento gonfi. Vorrei levarmi le scarpe ma non lo faccio perché tempo che i piedi una volta fuori dal loro “involucro” non ne vogliano più sapere di tornarci dentro. Sopporto e vado avanti.
I volti dei miei compagni si sono trasformati, sono invecchiati in una sola notte. Smorfie di dolore si dipingono, in molti camminano o meglio: in pochi corrono ancora. Tra coloro che ancora corrono Salvo Piccione che gira e gira senza fermarsi quasi mai, lo vedo passarmi giro dopo giro, mi incoraggia, lo incoraggio. Io, Salvo Crudo, Guido Pittaresi e “Leone” alterniamo corsa e cammino cercando di risparmiare le ultime energie rimaste. Ognuno di noi ha avuto come unico compagno se stesso, ognuno di noi ha avuto un’occasione unica: trascorrere 12 lunghe ore senza essere “disturbato” dai problemi quotidiani.
Vivo intensamente questa gara facendo il “punto” della situazione, sperando in un buon risultato.
Un’emozione fortissima mi coglie quasi impreparata quando Luigi Stella, a bordo pista, mi applaude chiamandomi Campionessa: essendo l’unica donna in gara, sapevo già che sarebbe successo, ma sentirselo dire è tutt’altra cosa. Sono la prima donna, sono prima davanti a tutte coloro che non hanno voluto o potuto partecipare. Ma non le biasimo, la pista può spaventare, gestirla non è semplice ed oltre a buone gambe serve anche una buona testa. Non prendiamoci in giro, girare in ovale per così tante ore non è certamente un gioco da ragazzi e per farlo - e per saperlo fare - ci vuole una grande dose di coraggio ed incoscienza.
Per tutta la notte non ho chiuso occhi, non mi sono mai sdraiata ripetendomi che non sono arrivata fin qui per dormire, ma per correre, ma ora la mente inizia a perdere un po’ di lucidità, non riesco più a seguire bene sul monitor del PC [ubicato vicino al punto di rilevamento dei passaggi - ndr] a che punto sono nella mia progressione; sono stanca e dolorante, decido di sdraiarmi in una branda per qualche minuto. Chiudo gli occhi cercando di riposare senza sprofondare in un sonno pesante, altrimenti riprendermi sarebbe impossibile. Mi rialzo dopo appena 7 minuti, tanti mi sono stati necessari a ricaricare parzialmente le batterie.
70 km: sono stanchissima, prima di partire avevo scommesso con mio marito che ne avrei fatti almeno 80, ma questi ultimi 10, ancora da percorrere, sembrano un miraggio. Mi arrabbio con me stessa e mi ripeto che 10 chilometri sono una sciocchezza, che in allenamento li faccio in un batter d’occhio.
Devo solo ingannare la mente e fare finta di essere a casa, stare per uscire per fare una semplice sgambettata. Ma la mente non si lascia raggirare, anzi, sentendo odore di inganno mi tira un brutto scherzo. Inizio a perdere di vista le mie motivazioni e comincio a piangere mio malgrado. Lacrime su lacrime che scendono copiose su un viso che rimane inespressivo (almeno credo). Invio un sms all’amica Tiziana (che da casa aspetta mie notizie) per trovare conforto nella sua risposta, ma la risposta arriverà solo dopo il mio arrivo!
Devo ritrovare la forza per affrontare l’ultima ora di gara, mi distraggo chiacchierando per qualche breve istante con l’amico Franco Mura che spudoratamente mi da della “pazza”!
Ormai manca poco meno di mezz’ora e mentre tutti gli altri affrettano il passo per terminare in bellezza io decido di sedermi su una poltroncina che avevo “corteggiato” durante la notte, poggio i piedi su una panca e a braccia conserte mi godo la gara dei miei amici. Mi alzerò solo a 5 minuti dalla fine, mi consegnano la bandierina ed inizio a correre per l’ultimo giro di pista.
Sono stanca, dolorante e molto commossa, ma a questo punto avviene una cosa che non mi sarei mai aspettata. D’incanto dimentico tutta la fatica e mi rendo conto d’essere dispiaciuta che la mia favola in questo bellissimo Pianeta stia per finire. Vorrei rimanere qui ancora per tanto tempo, vorrei avere il tempo di ripensare a tutto, vorrei avere il tempo per rivivere tutto, ma - ahimè - il tempo non ritorna indietro.
Ecco, ci siamo è mezzogiorno in punto, ho percorso 82.428 metri, la gara è finita!
Poggio la mia bandierina per terra e mi sdraio sfinita, piango in silenzio lacrime di gioia e commozione, l’emozione si è impadronita di me ed è la prima volta che mi succede da quando corro.
Sono io la protagonista oggi e lo sono perché ho vinto contro la notte, contro il freddo, contro il caldo, contro la stanchezza, contro la noia, contro la solitudine, contro quelle gambe pesanti e quei piedi doloranti. Ho vinto contro tutti coloro che mi dicevano “E' una follia”. Ho vinto perchè nemmeno io osavo pensare che che avrei mai potuto superare una sfida così ardua.
Guardo i volti di chi ha trascorso 24 ore su quella pista: tutti eroi. Ognuno soddisfatto a suo modo, negli occhi di questi grandissimi atleti splende la luce della conquista.
Quel che è fatto è fatto, quello che non sono stata capace di fare lo rifarò il prossimo anno.
Si, perché ho una sfida aperta con questo Pianeta e con la sua gente.
Arrivederci al prossimo anno mio dolce pista.
Post Scriptum (che in realtà è stato un prae scriptum) - E' giunto il momento di scrivere qualcosina riguardo la mia impresa di ieri. Trascorrere 12 ore su pista è stata un'esperienza bellissima, non ho subito la noia della pista, anzi la sentivo "amica" e mi divertiva pensare che solo dopo 400 metri sarei "arrivata".
Ringrazio Aldo Siragusa, Luigi Stella, gli assistenti ai ristori, i medici e il massaggiatore che con gesti sapienti ha ridato vita alle mie gambe doloranti.
Ringrazio Salvatore Crudo che mi ha incoraggiata fin dal primo istante, Salvo Piccione che ha saputo frenare l'entusiasmo di questa cavalla pazza, Guido Pitarresi che, più di una volta, guardandolo negli occhi azzurri come i miei mi ha fatto rivivere il mio entusiasmo.
Non posso e non voglio dimenticare gli amici che mi sono stati vicini col pensiero: Inge Poidomani, Pietro Bernardo e coloro i quali mi hanno sostenuta durante la crisi Tiziana Calabrese e Franco Mura.
Un ringraziamento particolare va al mio dottore Maurizio Crispi che ha saputo darmi consigli e suggerimenti impareggiabili.
A parte mio marito Ezio Sanfilippo e mio figlio Luca che da casa tifano e scommettevano sui chilometri che avrei percorso, chiedendosi cosa avevano fatto di male per meritarsi una pazza simile in casa credo di non dimenticare nessuno.
E qualora lo avessi fatto sono pronta a correre 1 metro per ognuno di loro come penitenza!
Brava Elena! Sei riuscita a fare una cosa grande!
Foto di Maurizio Crispi