Alla 12 ore del Sole che si è svolta a Palermo - abbinata alla 9^ della 24 ore del Sole - il 1° dicembre 2013 - e valevole come Campionato italiano IUTA 12 ore su pista ha partecipato anche Eleonora Suizzo.
Ecco il suo racconto, nel quale c'è l'essenza della crisi con cui ci si confronta in una gara di endurance, il suo separamento e il recupero di un significato possibile.
(Eleonora Suizzo) Con un magone parto per questa nuova avventura. Incomprensibile una tale impresa a chi mi vuole bene e non concepisce la mia forma estrema di passione/ossessione per la corsa.
Meditavo da tempo, ma non ne facevo parola con nessuno, immaginando i commenti profani.
Poi il giorno è arrivato con delle previsioni meteo drammatiche: allerta meteo a Palermo, proprio dalle 22.00 del sabato e fino al mattino inoltrato della domenica. Che fare? Sperare in un errore dei sistemi di rilevazione, non sono infallibili loro; in una grazia divina momentanea. Ma poi ho detto: "Non voglio pensare alle condizioni meteorologiche!".
I miei compagni di viaggio sono degli eroi, Salvo, Vincenzo,Giuseppe ed Elena, anzi Rita! Partiamo nel primo pomeriggio: già piove, ma a Palermo troveremo un tempo apocalittico. Un'allegra compagnia, ignara della notte che trascorrerà in campo, fiduciosa, timorosa. Ci tiriamo su l'uno con l'altro, Enzo ed Elena ridono spesso, Giuseppe parla tutto il tempo e ci distrae con i suoi aneddoti, Salvo il nostro timoniere, sornione, sempre composto nella sua armatura di gigante buono. Io, dentro il mio involucro di contraddizioni e pensieri martellanti, mi rifugio nel buio della notte, nel silenzio delle parole, nel ticchettio della pioggia, nello scricchiolio dei tergicristalli.
Arriviamo allo stadio. Il campo è ben illuminato, ci sono tutti i colori. Verde, arancione, rosso, grigio, bianco, ci sono i ragazzi della 24 ore, partiti alle 10.00 del mattino, corrono già da 8 ore, alcuni di loro camminano, altri sono allegri, altri sono già sfiancati.
Decidiamo di andare a mangiare e riposare, anzi a tentare di riposare, per poi tornare al campo di atletica, poco prima della partenza, a mezzanotte.
La temperatura è mite, 14 gradi, ma già piove e il vento si presenta anche lui alla partenza. Non era stato invitato però. Penso che ho portato un solo k-way anti pioggia che rimarrà asciutto per poco. E' l'ora della Spunta dei presenti alla partenza sotto la tenda dei direttori di gara: siamo in 16, due hanno rinunciato. Ancora increduli e avvolti dalla notte, scattiamo dopo lo sparo improvviso del giudice di gara.
I primi giri di rodaggio sono facili, la poggia è debole, sembra nevischio alla luce dei fari del campo. Le mie gambe sono leggere e girano con ritmo, costante e cadenzato. Comincia ad intensificarsi la pioggia e i miei abiti a bagnarsi, sarà una danza costante segnata dall'intensità delle raffiche di vento contro i nostri corpi e delle gocce violente, ininterrotte sopra di noi. Basta poco e la pista si riempie di pozze d'acqua e le mie scarpe pure, fin dentro le calze e i piedi si fanno umidi.
Alle 3.00 mi sono già cambiata e mi rattristo perché ho rischiato l'intera mia esistenza per una gara che si presenta un paradosso, una beffa, uno scherzo della natura che ci rende il giro del mondo più ostico di quello già è.
Mi perdo d'animo pensando che ho buttato all'aria la mia vita per il nulla.
Siamo anime in pena, in bilico, movimenti lenti di un circuito umano fatto di sguardi sconsolati, membra fradicie, speranze disattese, espianti colpe non commesse o, forse, si.
Che ci faccio qui! Voglio abbracciare mio figlio, voglio stare accanto a lui adesso. Sono le 4.00 e mi sono rassegnata, dopo avere tentato invano un contatto mi rendo conto che ho già scelto e riprendo i fili di me stessa. Guardo le brande e, riversate sopra di esse, scorgo corpi
Inermi che riposano dopo gran parte di fatica fatta, sommersi da coltri di lana grezza. Il mio orgoglio e il mio istinto combattivo riaffiorano. Ricomincio e mi cambio nuovamente: pantaloncini questa volta perché non sopporto più i pantaloni bagnati e freddi incollati alle mie gambe.
Ma l'intensità della pioggia torna a crescere e allora con stizza e rabbia ricomincio a correre, dopo svariate soste, più veloce di prima. Sono le 5.00 o forse le 6.00, non ho cognizione del tempo che scorre, scorrono i giri fluidi, ma mi rendo conto di aver fatto troppe pause e non otterrò un grande risultato in questo modo. Che posso fare. In tenda ritrovo ad ogni mia sosta i ragazzi della 24 ore che riposano.
Qualcuno dorme seduto, stremato, qualche altro mangia la pasta appena cucinata o sorseggia un brodo caldo. I loro sguardi mi parlano e mi raccontano ed io li ascolto silenziosamente raccolta nei miei pensieri, imprecando contro l'inclemenza meteorologica, supplicando una tregua al diluvio.
Continuo a girare nel frattempo. Poi, poco prima delle 7.00, quando ormai il buio della notte ha ceduto il posto ad un cupo e plumbeo cielo colmo di nuvole, decido di cambiarmi per l'ultima volta. Non ho altri cambi del resto, per cui rimane la speranza di mantenermi asciutta il più possibile.
Andrea, un ragazzo conosciuto durante la notte, mi buca un sacco della spazzatura, approntando un giubbotto anti pioggia.
Ricomincio a correre con ritmo regolare , ho anche dormito 15 minuti circa, non mi ricordo, avevo l'iPhone acceso ed ascoltavo le mie canzoni, mi ha risvegliata la telefonata di Carmelo, fortunatamente.... Mi sono ricaricata. Nel frattempo hanno ricominciato a correre anche i ragazzi della 24 ore, loro in un moto di orgoglio concluderanno entro mezz'ora, io ne ho ancora per altre quattro ore, ma ora mi sento più serena, anche se piove ancora, la luce del giorno mi rende ottimista e la presenza di alcuni spettatori é confortante. Le ultime tre ore trascorreranno in un'alternanza tra camminata e corsa.
Dopo nove ore le mie ginocchia cedono e i dolori si fanno sentire.
Cammino con Salvo, un po', poi con Salvo Piccione, poi con Enzo e Giuseppe mi tirano per un po' di giri. L'ultima ora è con Elena e parliamo tanto, abbiamo parlato in queste folli 24 ore.
Ultimi 10 minuti: è finita quasi, ci scattano anche delle foto, ma non sono io, sono l'ombra di me stessa, sono arrabbiata.
Ho percorso in totale 82,660 km. Impensabile un tempo. Ho capito che correre in pista non è un problema per me: l'importante è correre. Ho capito che le persone che ti stanno accanto sono importanti e fanno la differenza. Ho capito che i valori della vita hanno una scala di priorità ma che i pioli che la compongono sono sempre diversi. Una nuova esperienza nello zaino della mia vita.
Le foto sono di Vincenzo Altamura (in alto) e di Adriana (in basso)
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