Alex Schwazer, "uomo solo in marcia": nessuna definizione è più appropriata, perché Schwazer è stato lasciato da solo a fronteggiare l'evento, è stato lasciato da solo nell'esposizione mediatica che ha dovuto subire, in qualche misura è stato "scaricato". Eppure, sono troppe le zone d'ombra in questa vicenda di doping presuntivamente assunta come "auto-gestita", troppi i punti oscuri, come illustra il bell'articolo di Boris Sollazzo del 10 agosto 2012, da cui emerge una figura di Alex Schwazer, fragile, problematico e certamente non soggetto capace da solo di architettare le complesse azioni finalizzate ad un'attività di doping costosa e complessa, richiedente competenze specialistiche e controlli.
(Fonte: Pubblicogiornale.it; autore: Boris Sollazzo) Apri i giornali e non riesci a non leggere di Alex Schwazer, neanche fosse la Merkel. Il mondo va a rotoli, ma sembra necessario, imprescindibile sapere come e perché si è dopato l’oro olimpico dei 50 km di marcia di Pechino 2008. Dove ha comprato l’Epo? Dove la teneva? Cosa pensava quando la prendeva? Chi l’ha aiutato? Tante domande. Tutte abbastanza inutili, tranne l’ultima, che però ha nel dottor Ferrari il babau perfetto che ci consente di non cercarne altri.
Eppure ci sono altre domande interessanti da fare. Per esempio, come hanno fatto- tutti- a non notare che qualcosa era cambiato in questo ragazzo, fuori e dentro il frigorifero? Come mai pochi raccontano dei valori dell’emoglobina da anemico di Alex, un handicap non indifferente per un marciatore? Perché, soprattutto, nessuno fa domande a chi si tira fuori dalla storia con fretta e decisione troppo sospette?
Non so, ma più tempo passa, più è difficile non stare dalla parte di chi ha sbagliato. Perché sembra davvero la vittima troppo debole di un Sistema: quello che vuole solo vincenti, non importa se meritevoli, ma anche quello che i vincitori li fabbrica o li “ingabbia”. Schwazer, almeno, è un uomo: lo vedi nel fatto che ha confessato subito, senza invocare shampoo potenziati, beveroni corretti da parenti improbabili, addirittura creme vaginali assunte involontariamente durante pratiche sessuali particolarmente piacevoli.
Si è assunto la responsabilità, si è addirittura esposto a una gogna volontaria raccontando tra le lacrime la sua verità, mentre i flash dei fotografi impietosi non si fermavano mai, cercando inutilmente, con le sue enormi mani, di difendersi da quei clic. Accanto a lui, però, troviamo solo robot. Partiamo dall’intervista a un grande giornale dell’illustre fidanzata, Carolina Kostner. Dovrebbe conoscere le sensazioni di pressione e oppressione del compagno: non solo perché stanno insieme, ma anche perché anch’ella ragazza prodigio attaccata nelle sconfitte e definita “mezza atleta” quando mancò delle medaglie cadendo o finendo fuori dal podio.
Tanto che solo due anni fa pensava al ritiro, per poi rimandare la decisione alle Olimpiadi di Sochi 2014. Il padre di Alex, splendida figura, si martella con il senso di colpa di non aver aiutato quel figlio in difficoltà, si autoaccusa e lei che fa? A Repubblica dice che gli vuole bene, che non lo lascia (ancora) e poi trova il modo di dire che lei piace alle bambine e coglie l’occasione per far pubblicità al balletto che farà a Verona.
C’è da augurarsi che quella chiacchierata l’abbia scritta il suo ufficio stampa, perché altrimenti tra Alex l’imbroglione che la protegge a spada tratta e Carolina il robot che ne parla con quel distacco, è facile capire da che parte stare. Ovviamente nessuno chiede a lei di come, da atleta, si sia bevuta la scusa delle vitamine in frigo e men che mai come non abbia intuito il disagio oceanico e di lungo corso che il marciatore viveva da anni.
“Mi avrebbero dato del coglione se mi fossi ritirato a 23 anni”, ha detto Alex. Alzi la mano chi non l’avrebbe coperto di critiche, sospetti, prese in giro. Il dramma di praticare uno sport che odi, peraltro, per chi non lo conoscesse, è ben raccontato in quel capolavoro di letteratura sportiva che è Open, di André Agassi. E Carolina Kostner, che ha accarezzato lo stesso desiderio e forse vissuto le stesse paure, trova comunque il modo di stigmatizzarlo come fosse un’estranea per indorare la pillola con un “però gli voglio bene”. Brrr, più fredda del ghiaccio su cui pattina.
Alex ha sbagliato, ma tutti tengono a sottolineare che in fondo è un Superman anche nel doping: ha fatto tutto da solo. Prendete il Coni: dopo due ore in cui dice d’aver cercato l’atleta (ai tempi dei cellulari!?!), ha assunto una linea chiarissima: Schwazer chi? Non si allenava con noi, si era estraniato, aveva cambiato allenatore, non c’entriamo nulla. Meravigliosi. Soprattutto perché ci hanno detto, fino al giorno prima, “le nostre speranze sono tutte nel salto triplo e nella marcia”.
Mica male come speranza, con uno che ormai neanche conosci. Mistero, forse avevano una buona veggente. Ora gli parlano come se fosse uno dei tanti. Arese gli dice che potrebbe tornare, come il ciclista Basso, se dice tutta la verità, Petrucci e soci vogliono i nomi dei complici. Giornali e affini, nel frattempo, ritirano fuori il nome del dottor Michele Ferrari.
Uno che è buono per ogni occasione: dall’autoemotrasfusione di Moser- per il record dell’ora- all’Epo, da dichiarazioni del tipo “è doping solo quello che non passa ai controlli” a risultati straordinari e sospetti, è il “cattivo” giusto (pure troppo). E lo è, per carità, ma pochi ricordano che è cresciuto proprio in seno al Coni tanto indignato ora, come assistente di Conconi negli anni ’80, punta di un team di prof universitari che proposero e attuarono nuovi metodi per far correre e vincere di più gli atleti.
Quella stessa istituzione sportiva che dal periodo in cui era sugli scudi per la battaglia al doping- solo pochi anni fa-, forse stufa del lassismo che va dalla Spagna alla Cina (dove si parla di alterazioni genetiche, neanche la DDR interveniva nel DNA!), ha ormai “dimenticato” i controlli a sorpresa e altre misure per arginare il fenomeno. E se non ci credete, chiedete a Sandro Donati (che Ferrari lo conobbe nel 1981 e con cui lavorò), uno dei pochi che dice e ha detto le cose come stanno: e infatti, pur essendo ora consulente WADA, in Italia è stato emarginato “alla Zeman” appena ha iniziato a svelare pratiche e abitudini sleali nel mondo dello sport.
Ma tanto possiamo stare tranquilli. E’ tutta colpa di Alex.
Nel video: intevista a Schwazer
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