Il 30° km è considerato il "muro" della maratona, cioè il punto in cui scatta qualcosa che può fare crollare di colpo l'atleta che, sino a poco prima, aveva proceduto baldanzoso e fiducioso.
Si dice, proprio per questo motivo che la maratona vera comincia soltanto dopo il 32° km: è proprio il clinamen, il punto oltre il quale si gioca tutta la gara e la possibilità di raggiungere il traguardo. E questo è vero non solo per gli atleti di punta, ma anche per tuti i podisti amatoriali che si cimentano nella distanza di Fidippide.
Quando si verifica la crisi, non c'è niente più da fare.
La si può solamente subire.
C'è chi si ritira, sconfortato.
C'è chi invece rimane eroicamente in gara, sperimentando che quegli ultimi chilometri vengono a costare uno sforzo inaudito e che l'andatura subisce una perdita secca, con un rallentamento di molti decine di secondi al km, se non addirittura di minuti. Ci sono quelli che sono alle prime armi o che non erano sufficientemente allenati, finiscono la loro maratona camminando.
Molti, nel tentativo di metabolizzare questa loro esperienza, si chiedono dopo: "Ma perché sono crollato?"
Nel crollo (o crisi) ci sono in opera due ordini di fattori quelli psicologici (su cui si fonda la cosiddetta "resistenza mentale") e quelli prettamente fisici.
E, per imparare a gestirsi occorre avere ben chiari entrambi gli aspetti e i meccanismi in opera.
Il muro è lo spauracchio di tutti i maratoneti, il crollo improvviso che si manifesta dal trentesimo al trentacinquesimo chilometro; attribuito all'esaurimento delle scorte organiche di carboidrati, esso è dovuto sostanzialmente a due fattori: eccessiva velocità di gara nella prima parte oppure scarso allenamento.
Il libro di Stefano Redaelli, "Chilometrotrenta" (Edizioni San Paolo, 2011) parla proprio di tutto questo, traghettandolo però con maestria sul versante dell'esperienza interiore e della propria formazione.
Radek, un giovane medico polacco disoccupato di 38 anni, viene lasciato da un momento all'altro dalla sua fidanzata Ania. Non riuscendo a capacitarsi di quanto è accaduto, cade in una profonda depressione, dalla quale non si riesce a sollevarsi, sino a che il suo caro amico Robert, vedendolo in questo stato, e prendendo spunto dalla pratica di corsa svogliata che Radek - nella sua depressione e nel disfacimento esistenziale in cui versa - ha mantenuto, gli propone - per rivitalizzarlo - di finalizzare gli allenamenti di corsa alla partecipazione di Cracovia di lì a pochi mesi.
Gli dice che, per riuscire in questo obiettivo, dovrà affidarsi ciecamente in lui e seguire i suoi consigli, indiscriminatamente tutti, abbandonandocisi con fiducia.
Radek accetta: e parte il progetto.
Questo è un dato di fatto, estremamente verosimile: spesso il progetto di partecipare ad una maratona o ad un'ultramaratona scatta per rivitalizzare esistenze sbiadite, per ridarsi tono interiore oppure per trovare un progetto da seguire che aiuti a mettere "in forma" e a ricompattare il proprio Sè acciaccato da esperienze di vita fallimentari o poco soddisfacenti.
Il progetto inizia ed è parte di esso che Radek accetti di rivolgersi ad uno psicoterapeuta e che accetti le indicazioni dietetiche e nutrizionali che l'amico gli fornisce, con il supporto di un medico dello sport.
L'allenamento è regola e disciplina. Anche per questo motivo la maratona serve a rimettersi in linea: non è solo e semplicemente mettersi a fare dell'attività fisica e muscolare, ma a dare un senso compiuto al proprio esistere e, per questo occorre che ci sia qualcuno che faccia se non maestro e guida quantomeno da mentore.
Per farla breve, Radek - con il supporto dell'amico, affronta se stesso in maniera decisiva.
Arriva con tutte le ritualità di una una vera e propria iniziazione al giorno della maratona; la corre, affronta il muro di maratona al 30° km, taglia il traguardo, non con la previsione cronometrica fatta con l'amico a tavolino, ma con un crono più lungo.
La cosa importante è che si sia dovuto confrontare con la crisi e che abbia retto, arrivando comunque, come poteva al traguardo.
E' questo l'insegnamento della maratona che la fa diventare una metafora della vita ed esercizio di crescita interiore.
"Radek non lo sa , o si rifiuta di ammetterlo, ma si è messo su una pista che lo porterà molto lontano. Gli richiederà medie e prestazioni più difficili di quelle standard. e anche di quelle sfidanti, per un atleta. Sono medie per le quali nessuno può allenarsi. Appartengono alla maratona che si corre una sola volta e dura tutta una vita (dalla prefazione di Giovanni D'Alessandro, p. 8)
Il punto focale della narrazione di Redaelli rimane la corsa di maratona e la crisi che Radek deve affrontare al 30° km, ma il romanzo continua ancora per parecchio.
Perchè? Perchè l'autore, con maestria, desidera mostrare l'onda lunga dell'effetto del traguardo ragggiunto e superato dentro Radek nel modulare le sue prossime scelte esistenziali, scelte con le quali dovrà confrontarsi.
L'avere raggiunto il traguardo di maratona, vivendo per questo traguardo una "crisi" è, a tutti gli effetti, un "life event", dopo il quale tutto cambia, in modi sottili; tutto diviene possibile.
E radek, tornando ad esplorare il suo passato prossimo e remoto, si fa una ragione degli eventi che ha subito, recupera dei ricordi fondamentali e cruciali (come ad esempio l'esperienza del Cammino di Santiago, quando doveva decidere quale percorso professionale seguire, una volta finito il liceo e trova la forza di prendere delle decisioni importanti per il suo futuro.
In questo sta la bellezza del romanzo di Redaelli, indubbiamente.
Non nel fatto chje ci sia un lieto fine ordinario, come avrebbe potuto essere per il protagonista il taglio del traguardo della maratona di Cracovia o l'intrapresa da parte sua di una carriera di maratoneta domenicale, portatato a reiterare le sue imprese podistiche, ma senza dargli un senso interiore. Nonnel mettere la parola fine in una ripresa della relazione con Ania. Ma, invece, nel prospettare una scelta, a cui fanno seguito altre scelte che di continuo moduleranno l'esistenza di Radek.
Quando non si tagliano più i traguardi delle gare di atletica - dice il grande campione Pietro Mennea - nella vita ci attendono molti altri traguardi da raggiungere e da superare.
Chilometrotrenta. Correre la maratona è una metafora della vita
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