La catanese Elena Cifali ha concluso il suo anno podistico con due gare trail: l'Ecotrail della cava di croce santa a Rosolini (SR) e l'Ecotrail della Ficuzza (Palermo), rispettivamente il 9 e il 23 dicembre. Contrariamente alle sue abitudini ha tergiversato un po' prima di scrivere il resoconto della gara di Rosolini e, alla fine, invece di un due racconti ne ha confezionato uno solo per raccontare in un modo un tantino diverso le sue due ultime corse dell'anno.
Da qui il titolo "Due in uno. Tra Rosolini e Ficuzza" di un racconto che dice anche dell'amore per la corsa della nostra Elena.
(SuperElena Cifali) Lo confesso: mi sono innamorata.
Il mio è un amore vero, sincero, un amore con la A maiuscola.
Ricordate ancora quando vi è successo la prima volta?
Si dice spesso che il primo amore non si scorda mai, neppure quando si è vecchi e smemorati.
Vi ricordate il cuore che batte forte forte e sembra voglia uscire dal petto? E la sensazione di avere delle farfalle nello stomaco? La testa che pensa solo ed esclusivamente all’amato, un solo pensiero dalla sera alla mattina, il volto intrappolato in un perenne sorriso?
Per il nostro primo amore abbiamo fatto ogni sorta di follia, con l’assoluta convinzione che quello che stavamo facendo fosse l’unica cosa giusta da fare, con la convinzione che il nostro amore meritasse ogni genere di sacrificio ed una dedizione assoluta.
Io sono una di quelle donne che si innamora di continuo: della vita, della natura, delle persone, degli animali e perfino, adesso, della corsa!
E’ inutile negarlo, ne sono profondamente innamorata e per questo mio amore sono disposta a svegliarmi nel cuore della notte, a percorrere oltre 500 km in automobile, a correre 23 km tra fango e bosco, a subire il freddo ed il caldo.
Sono ancora le 4.00 quando suona la mia sveglia in una fredda notte della pre-vigilia di Natale.
Mi alzo dal letto, faccio forzatamente colazione e mi preparo a raggiungere gli amici con i quali mi recherò nel Palermitano per partecipare ad una gara che si rivelerà tra le più belle ed entusiasmanti del Circuito Ecotrail.
Arriviamo a destinazione dopo alcune ore, con un notevole ritardo, sul posto ci sono già tutti i nostri amici pronti per la partenza.
In molti chiacchierano, altri si scaldano, alcuni fanno l’ultima fila al bagno. L’aria di festa che si respira è meravigliosa.
Il via non tarda ad arrivare. Sono quasi 200 gli amici che si svincolano in un lungo serpentone. Tutti felici e sorridenti e adesso che siamo partiti nessuno batte più i denti a causa del freddo o i piedi a terra per scaldarsi; adesso ognuno di noi deve fare la sua gara, deve correre per 23 km cercando di non farsi male e di divertirsi il più possibile.
Inizio a correre a fianco dell’amico fraterno Carmelo Santoro.
Da subito capiamo che questa sarà la nostra gara. I primi chilometri scorrono veloci, siamo circondati da altri corridori e, finchè rimaniamo in gruppo, le possibilità di perdersi nel bosco sono sempre molto basse.
Le mie gambe ed il mio fiato per una volta vanno molto d’accordo: mi sento in ottima forma, procedo bene e sono felice.
Ma la “bella vita” dura per poco, presto ci rendiamo conto che le piogge dei giorni precedenti hanno lasciato il segno, e che segno!
A dire il vero i segni più evidenti sono quelli dele scarpe da trail su fiumi di fango.
Lunghe scie ci fanno capire che chi è passato da qui prima di noi ha subito la stessa sorte: quella di scivolare a destra e a sinistra.
Finiamo con le mani nel fango spesso impastato di letame e, una volta tanto, non abbiamo paura di sporcarle, come quando eravamo bambini ed impastavamo la terra per giocare a fare i grandi.
Mi sembra di essere su un tappeto volante, faccio un passo in avanti e torno indietro di due. Camminare agevolmente su questo fiume melmoso non è cosa semplice.
Sembra di calpestare del sapone liquido.
Iniziamo a ridere a crepapelle, quando a superarci è Davide Sabatino che urla di gioia e ride come un matto. Le sue risa sono contagiose. Come un bimbo sulla giostra che chiede ai genitori il permesso di fare un altro giro, anche lui, finita la discesa fangosa si ferma, si volta e mi dice: “Voglio farlo un’altra volta, starei tutto il giorno qui a fare e rifare questi 100 metri”.
Io, Carmelo e Davide procediamo insieme per alcuni chilometri, ci fermiamo a scattare alcune foto e ci mettiamo in posa appena dietro il teschio di vacca che troviamo poggiato sul terreno.
Continuiamo a ridere con l’assoluta consapevolezza che ciò che ci sta capitando, ciò che stiamo facendo sia un privilegio.
E già, per molti dei miei amici i sacrifici e le rinunce che faccio per correre sono impensabili.
In realtà io credo di essere una privilegiata: infatti ho il privilegio di essere in mezzo ad uno dei boschi più belli del Palermitano, in un dedalo di sentieri fangosi che mi divertono, sento l’odore del bosco, l’odore di terra bagnata (l’occasione mi fa ricordare di quella bellissima frase che dice che noi veniamo dalla terra ed alla terra torneremo). Ed allora amiamola questa nostra meravigliosa terra, smettiamo di mortificarla con ogni ignobile mezzo.
Questo è un miracolo, la vita stessa è il nostro miracolo e chi come me è capace di goderla oggi corre sfidando se stesso ancora una volta.
Ho saltato il primo ristoro, preferendo nutrirmi con ciò che ho portato con me, ma al secondo mi fermo a succhiare un generoso spicchio d’arancia ed addentare un biscotto secco che gradisco sempre.
Già che sono ferma ne approfitto per affondare il dito dentro la scarpa destra e tirare fuori un cumulo di fango e pietre che si è insinuato in profondità nonostante le ghette.
Riparto subito con Carmelo, ma stavolta Davide decide di rallentare la sua corsa.
Una ripida discesa suscita altra ilarità: ci ritroviamo in un sentiero stretto delimitato ai bordi da arbusti spinosi che strappano la pelle delle mie gambe facendola bruciare, successivamente un po' di sottobosco ci permette di alleggerire le scarpe che nel frattempo hanno fatto il carico di fango.
Siamo giunti velocemente al 17° km e ormai manca poco all’arrivo: inizio a fare il conto alla rovescia, il grosso è stato fatto e gli ultimi chilometri me li aspetto tutti in discesa.
Un lungo vialone di strada bianca ci permette di velocizzare il passo, ormai scambio solo poche parole, un piede avanti all’altro, lunghe falcate, il battere delle scarpe sulle pietre, il silenzio tutto intorno spezzato solo dal rombo dei motori di alcuni motociclisti.
Manca davvero poco, quando - davanti a me - vedo Carmelo scivolare lungo un fianco, un sussulto, il cuore si ferma, per fortuna nulla di grave, si rialza e zompetta più allegro di prima.
La stanchezza si fa strada più velocemente dei chilometri trascorsi, abbiamo superato un bel gruppo di runner, sono contenta perché una circostanza del genere non mi capita molto spesso.
Manca solo l’ultimo chilometro: chiedo a Carmelo di infilare la mano nel mio zaino e tirare fuori il cappellino e la barba di Babbo Natale che ho portato per ricordare a me stessa che l’unico desiderio che avevo espresso si stava realizzando.
Li indossiamo (a Carmelo tocca la barba bianca, a me la berretta rossa) e siamo pronti per uscire dal bosco attraverso un cancelletto di legno, quasi a significare che da quel cancello si entra e si esce da una meravigliosa fiaba, una fiaba tutta natalizia che porta gioia e serenità nei cuori di chi la vive.
Purtroppo Carmelo viene afflitto dai crampi proprio negli ultimi 300 metri, mi urla di andare, di tagliare il traguardo, di arrivare. “Ma tu sei pazzo! Ho corso insieme a te 23 km e con te arriverò fino alla fine”.
Gli afferro la mano e lo trascino tra le urla di dolore su per gli ultimi gradini che portano dritti dritti all’arrivo.
La sua smorfia si mischia alla mia gioia, alla mia felicità, tagliamo il traguardo mano nella mano e siamo fieri l’uno dell’altra.
Anche oggi ho visto cose che voi podisti di strada non immaginereste neppure, anche oggi sono ridiventata bambina, anche oggi ho goduto del mio amore, tornate ad amare ciò che fate e scoprirete il piacere del primo amore.