Per alcuni, il diario di corsa non è altro che una sequenza di numeri, di dati, di chilometri percorsi, di tempi fatti nelle ripetute, di annotazioni su macro- e micro-periodi, di crono realizzati in gara, di analisi delle proprie gare atteaverso una sequenza dei parziali.
Chi vuole ampliare il proprio diario di corsa, potrà aggiungere - a volte - una serie di informazioni sul proprio stato mentale durante allenamenti e gare. Lo stato dei propri intestini o, più in generale, della propria fisiologia, doloretti e fastidi vari.
Questo può essere il "diario di bordo" degli atleti che sono molto polarizzati sulla performance e che si pongono l'obiettivo di "migliorare" le proprie prestazioni, talvolta con una determinazione che rasenta l'ossessione (anche se non si può negare - e ciò va indubbiamente rispettato - che alcuni traggono piacere dal soffermarsi sul dettaglio e sulla rifinitura, e si trovano a proprio agio se parlano di "fatti" misurabili, più che di "sogni")..
Poi ci sono quelli che vivono la corsa come una stato mentale che genera benessere e meraviglia e che, piuttosto che essere polarizzati sulla dimensione "performativa" (o "iper-performativa"), sono attratti dall'esperienza del correre in sé e dagli stati mentali che si generano quando si corre, sia in allenamento sia in gara: stati mentali che ci portano ad esplorare scenari ogni volta del tutto diversi, inediti e memorabili.
Ci sono altri che invece non vogliono dimenticare ed è così che, subito dopo aver fatto una corsa (un allenamento o una gara, non importa quale), mettono mano alla penna e trascrivono le proprie sensazioni, raccontano la propria esperienza che, proprio come un arazzo, può essere intessuta di elementi diversi: fili preziosi che derivano dall'osservazione del presente, framenti di emozioni, e improvvisi flashback su ricordi e momenti di un passato che credevamo dimenticato e che riemerge prepotentemente.
Alcuni dicono: "Correre è come volare".
Ma io aggiungo: "Correre è come sognare...", quando si segue questa disposizione interiore a cogliere la meraviglia intimamente connessa alle cose e a vedere dietro alla banalità del quotidiano. Ma ciò è vero soprattutto, quando si utilizza la corsa come interfaccia tra la realtà esterna e il nostro mondo interno, fatto di sogni, ricordi, emozioni.
Solo in questo modo il nostro correre diventa uno strumento di liberazione dalle catene del quotidiano e dall'etica del lavoro, così come il nostro secolo prosaicamente la intende, senza più valori estetici e senza più il piacere che se ne possa trarre.
E, se vogliamo, la corsa può divenire altrettanto bene anche un potente strumento di meditazione che ci aiuta a trascendere dalle ristrettezze quotidiane e che ci conduce a conneterci con una realtà superiore .

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