Elena "SuperElena" Cifali (ASD Movimento é Vita Gela) ha partecipato lo scorso 1° luglio 2012 all'Ecotrail della Valle dell'Imera, prova valevole per il Circuito Ecotrail Sicilia 2012. La gara è andata bene, malgrado le temperature infuocate e ha regalato a tutti (e a SuperElena che scrive il suo racconto) delle intense e fervide emozioni.
Nel dopo-gara nel corso di un simpatico picnic in una assolata area attrezzata nei pressi di Borgo Turolifi si discuteva del perchè si corre trail e ciascuno raccontava dei suoi aneddoti di corsa e di corsa trail.
Il racconto di SuperElena, che si muove simpaticamente tra rimembranze ed emozioni attuali, fornisce delle risposte a tutti i praticanti di questa disciplina del running che non è solo corsa, ma molto altro.
C'è, infatti, il contatto diretto con la Natura che riporta alla nostra essenza ancestrale di popolo nomadico che praticava essenzialmente un'attività di caccia-raccolta, percorrendo sentieri e seguendo tracce, e che per fare ciò era continuamente costretto all'osservazione di ciò che lo circondava, teso all'esplorazione e alla decodifica dei segni.
E c'è dunque la scarica di adrelina che si riversa nel nostro sangue, perchè si risvegliano quelle tracce, intimamente depositate nel nostro patrimonio genetico, con la stimolazione soprattutto della sensorialità olfattiva che è quella più antica nello sviluppo filogenetico e che è allocata nella parte più primitiva del nostro cervello.
Ma c'è anche il piacere puro derivante dalla percezione dell'autoefficacia nel portare avanti un'impresa difficoltosa che nulla ha a che vedere con la prosaica corsa sull'asfalto. Ci sono la solidarietà e la consapevolezza di far parte di un gruppo ardimentosi che travalicano l'individualità solitaria della performance sportiva.C'è, infine, proprio a partire dalle stimolazioni olfattive ed acustiche della Natura vivente, c'é il risvegliarsi di memorie sopite e il riemergere di antichi ricordi: il grande libro della natura è aperto per ciascuno di noi e ci consente di iscrivervi le nostre personali emozioni. Si comprende perchè ad un certo punto Elena scriva: "...qui tutto è ordinato, pulito, la campagna è curata, il paesaggio mi sembra un quadro dipinto da una mano divina che mi vuole ricordare che la vita non è solo doveri, non è solo città, non è solo lavoro, famiglia, bollette, problemi, ma è anche natura, è anche gioia e spensieratezza".
Parole migliori non potevano essere scritte per spiegare il potere attrattivo del correre trail.
Ma ecco di seguito, il racconto di SuperElena Cifali che dedica il suo scritto all'amico runner Salvo Campanella con l'augurio di una pronta guarigione.
(Elena Cifali) Ridono tutti, belli, sudati, sporchi, impolverati, esausti.
Tagliato il traguardo ridono tutti anche quelli che non hanno fatto il loro personale, quelli che si aspettavano di più, quelli che “la prossima volta farò di meglio” e perfino quelli che arrivano per ultimi.
Si passa dal gonfiabile per due volte, alla partenza ed all’arrivo e, ogni volta, le emozioni sono diverse.
“Scrivi Elena, che noi aspettiamo il tuo racconto!” queste le parole esortative di tanti che mi conoscono, ed io che, da principio, scrivevo solo per me oggi non voglio deludere nessuno.
Ognuno dei miei amici rivive la gara attraverso queste righe ed ad ognuno di loro regalo il racconto delle mie emozioni.
Sulla strada per Caltanissetta fa caldo, Borgo Turolifi è un miraggio che tarda ad arrivare.
La strada tutta in salita degli ultimi km mi fa crescere l’ansia, finché curva dopo curva non si spalanca davanti ai nostri occhi il bel Borgo con i suoi colori ed i suoi odori che sanno di “c’era una volta”.
Scendiamo dall’automobile e comincia il solito ed irrinunciabile rituale dei saluti ai tanti amici.
Ci sono tutti: Aldo, Maurizio, Tatiana, Orazio, Melchiorre, Graziella, Gioacchino, Carmelo, Nino, Francesco, Enzo, Salvo, Tiziana e Rino (la coppia “più trail” del mondo) e, poi, tutti gli altri fantastici e coraggiosi uomini e donne che oggi affronteranno insieme a me questa sfida e questa avventura.
Indosso il mio pettorale trail n° 35, lavato in lavatrice (per sbaglio) dopo l’ultima gara.
Pronti, partenza e VIA!
La voce di Aldo Siragusa ci accompagna per i primi metri, quelli che ci introducono alla prima salita.
L’aspetto che, per primo, mi colpisce è che tutto qui intorno è caratterizzato dalla predominanza del colore giallo.
Gialla la terra che calpestiamo,
gialle le foglie secche degli alberi cadute in terra,
giallo il colore dei campi di grano ormai raccolto.
Circondata da persone che conosco, mi tengo vicina ad Orazio, Salvo ed Enzo.
Di Francesco che avrebbe dovuto correre insieme a noi il suo primo Trail, neppure l’ombra – immagino che sia avanti insieme al gruppo di testa (forse si è lasciato travolgere da un eccessivo e poco prudente entusiasmo…).
La gara si dimostra dura sin dai primi chilometri a causa del forte caldo secco.
L’aria è asciutta, caldissima, il sole brucia – più che sull’Etna – e, inoltrandoci all’interno del boschetto di Eucalipti, non ho quella sensazione di fresco e benessere che mi sarei aspettata.
Le zone d’ombra sono rarissime e comunque calde: sudo copiosamente ed il desiderio di bere è sempre presente.
Tutta questa fatica non ci leva il gusto di ridere e scherzare.
Solari come sempre io ed Orazio ci abbandoniamo a battute ed ilarità che ci fanno sembrare meno pesanti i chilometri che intanto trascorrono.
Incitiamo Salvo a farsi valere: “Fai vedere di che pasta sono fatti gli atleti di Movimento é Vita di Gela!” e, così, lui a passo svelto si allontana correndo anche in quelle salite che ci costringono a camminare.
Il primo rifornimento arriva graditissimo, troviamo acqua e della deliziosa frutta fresca.
Ripartiamo immediatamente: la strada da fare è ancora tanta e non mi va di perdere posizioni ai ristori.
Ci avevano avvisati che avremo attraversato il letto del fiume, ma non avrei mai immaginato che sarebbe stata un’esperienza così bella: si corre sulle pietre bianche che riverberano su di noi il raggi del sole e, nel frattempo, faccio molta attenzione a non cadere dentro la ristagnante acqua che ha assunto una colorazione verdastra per mancanza di un regime abbondante di piogge.
Ovviamente, come spesso capita in simili circostanze, i miei ricordi riemergono prepotenti e ridivento bambina. Ho più o meno l’età che ha oggi mio figlio, nove anni e tanta voglia di crescere.
Ricordo, come fosse ieri, le domeniche trascorse coi nonni sulle rive del Lago Biviere a Gela.
Il nonno caricava sulla sua “mitica” FIAT 127 le bici mia e di mio fratello, mentre la nonna preparava il pranzo (che tutto era tranne che “al sacco”), ricco di ogni ben di Dio e si andava in gita sul lago.
Conservo ancora la vecchia bici nel garage e, mese dopo mese, mi riprometto di rimetterla a nuovo e di esporla nel salone di casa – tanto per ricordare agli amici che forse qualche rotella mi manca.
E’ in quei posti che è iniziato il mio amore per la natura.
Con il cestino in vimini sotto braccio si attraversavano le campagne in lungo ed in largo alla ricerca di tutto ciò che si poteva raccogliere: lumachine, finocchietto selvatico, capperi, verdura.
Insomma quella era un’epoca in cui si riciclava qualsiasi cosa e in cui la parola “spreco” non era nemmeno conosciuta.
Nel pomeriggio, poi, si andava a caccia di ranocchi.
La sera, tornando a casa, ci si addormentava come sassi rivivendo la splendida giornata.
Ma ora basta sognare! La salita che mi si para davanti mi fa ricordare di botto che di anni ne ho 39 e che magari questa china, da bimba, l’avrei scalata in un baleno, ma oggi faccio molta fatica.
E’ una salita dove vedo la predominanza di pietre, massi e e pietroni: sembra quasi di scalare una parete rocciosa.
Già, una scala un po’ accidentata e piena di insidie.
La fatica ci leva il fiato, ma io devo fare del mio meglio, voglio distrarmi da questa sofferenza ed allora inizio a cantare.
Canto proprio nel momento in cui dovrei tacere e risparmiare tutto il fiato che ho per la mia fatica!
Intono la solita canzone “La canzone del trail” – come la chiamo io- quella degli Stadio…
Un podista mi viene dietro e storpia un pochino le mie rime, ma niente di meglio per dimenticare quello che stiamo facendo, perché - sforzandoci di trovare la rima giusta - ci dimentichiamo del caldo, della sete, del sudore, della fatica e della stanchezza.
E’ fatta anche questa, si va avanti di buon passo!
Sento il canto dei grilli e e il frinire delle cicale che ci accompagna da diversi chilometri, costante, penetrante, a tratti prepotente, come prepotenti sono le tafanesche mosche che ci ronzano attorno e si appoggiano sulla nostra pelle sudata.
Continua a fare molto caldo: accolgo come una benedizione l’acqua che ci viene spruzzata addosso dai numerosi volontari, mi attacco alla bottiglia che mi viene offerta noncurante di chi possa averci bevuto prima di me.
Ho troppa sete.
Mi verso addosso il contenuto delle altre bottiglie che trovo a disposizione e riparto rigenerata dopo il secondo rifornimento. Un vero toccasana, perché adesso con la maglia e i calzoncini bagnati soffro meno ed affronto meglio l’impegnativa salita, corredata da scalini ai quali mi sono abituata durante gli allenamenti in Pineta a Nicolosi.
Arriviamo in cima molto più freschi di tanti altri passati prima di noi (almeno a quanto riferito da alcune persone che abbiamo trovato sul posto), ma semplicemente perché noi andiamo a passo di lumaca, senza sforzarci troppo.
Abbiamo superato il 13° km, Orazio è andato avanti ed io sono sicura che anche Enzo – rimasto indietro- ormai se la saprà cavare senza di me.
La guardo da lontano e senza averla mai vista la riconosco: è “la salita del calvario”.
Eccoci mia bella salita, faccia a faccia, muso duro a muso duro, tu mi sfidi e io accetto la sfida.
Faccio rapidamente due calcoli: sono quasi alla fine, non ho dolori, mi sento in forma, alla fine ci sarà il ristoro…
Va bene! Ti affronto, come ho affrontato gli ultimi 10 km alla Supermaratona dell’Etna.
Guardo i corridori avanti a me ed uno dopo l’altro li vedo come possibili obiettivi ed infatti ne passo parecchi, un passo dopo l’altro; a volte sprofondo, le miei scarpe vengono risucchiate dalla morbida sabbia, alzo le braccia sulla testa per far circolare meglio il sangue alle mani che nel frattempo si sono gonfiate a tal punto da non permettermi di chiuderle completamente.
La grinta non mi manca e inizio a parlare con tutti, passo dopo passo, parola dopo parola “Sono in cima”!
Benedico i volontari che si premurano di darmi dell’acqua, afferro un paio di succose e fresche albicocche e proseguo cosciente del fatto che ormai il grosso è fatto.
Ricomincio a correre, qui tutto è ordinato, pulito, la campagna è curata, il paesaggio mi sembra un quadro dipinto da una mano divina che mi vuole ricordare che la vita non è solo doveri, non è solo città, non è solo lavoro, famiglia, bollette, problemi, ma è anche natura, è anche gioia e spensieratezza.
La vita è anche questo trail che mi ha riportata a 30 anni fa, tra le braccia della nonna, quella stessa nonna che sera dopo sera conforto e sollevo – solo a parole purtroppo – dai suoi dolori della vecchiaia.
Ancora persa nei miei pensieri, giungo al punto della partenza: riconosco il Borgo, rivedo Ezio, ascolto Salvo che m’incita ad alzare le gambe e sotto il portico trovo ancora una volta mio figlio Luca che, a sorpresa, mi prende la mano al volo e taglia il traguardo insieme a me.
Sarebbe troppo semplice vivere senza correre, ma sarebbe molto più difficile vivere senza poterlo fare.
Voglio dedicare questa mia gara, i miei ricordi e il mio racconto all’amico Salvo Campanella, con l’augurio che molto presto io e lui possiamo tagliare ancora una volta il traguardo di una maratona mano nella mano come abbiamo fatto a Siracusa nel mese di gennaio scorso.
Riprenditi in fretta Salvo, perché qui c’è bisogno anche di te!
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