(Maurizio Crispi) Forse, la differenza fondamentale tra il podismo su strada e il trail é che, in quest'ultima disciplina della corsa di lunga lena, ciascun runner coltiva dentro di sé dei valori diversi da quelli del podista su strada.
Qui, anche nell'ambito amatoriale (e forse a maggior ragione) domina un atteggiamento di grande competitività, di antagonismo portato avanti all'estremo, spesso una scarsa disponibilità a guardarsi attorno e a vedere gli altri runner come dei propri "simili", oltre che nel ruolo di "antagonisti". Manca spesso la capacità di divertirisi e la corsa viene declinata come un lavoro.
Nel trail anche quando la fatica è grande, ciò che domina è la voglia di divertirsi, la consapevolezza che si sta facendo una cosa bella, con il pieno godimento d'essere al centro della natura e quello - altrettanto grande - legato al fatto che, correndo, si "conquistano" dei posti e delle vedute di cui difficilmente si potrebbe usufruire altrimenti
In occasione dell'Etnatrail sulla distanza di 30 km, con oltre 1700 etri di dislivello positivo, i runner siciliani si sono trovati - per la prima volta a confrontarsi con un trail di impegno severo, con una distanza ed un dislivello altimetrico positivo vicino agli standard italiani ed internazionali delle gare trail di alto livello, eppure in corso di gara, mentre ero lì a fotografare la lunga teoria dei runner che si inerpicavano sul "Mongibeddu" (a 2200 metri di quota sul crinale Serrecozzo, versante Etna Nord), ho visto nei loro volti gioia e felicità - ed anche meraviglia - malgrado la fatica e il caldo.
Parole di ebbrezza, di felicità, di piacere sublimato, quando al volo chiedevo un'impressione a caldo ai runner in transito.
Grandissima la fatica, ma "ne vale la pena", "...pienamente ripagati nelle attese...", "...correre presi dalla meraviglia".
E ciò, le parole di apprezzamento e di meraviglia venivano egualmente pronunciate, quasi sgorgassero dal cuore, malgrado il fatto che molti di loro si sentissero spiazzati dalle difficoltà con cui cimentarsi (terreno, dislivello altimetrico da superare, caldo), assolutamente inedite rispetto a precedenti esperienze di trail siciliano.
Il crinale Serrecozzo offre una vista spettacolare poichè separa il versante sud dell'Etna con la valle del Bove e quella del Leone, oltre le quali si ergono imponenti le bocche sommitali dell'Etna, dal versante nord verdeggiante di boschi d conifere e decidueche sorgono da un fitto sottobosco di felci ed altre essenze specifiche dell'areale, un bosco che persiste pervicacemente e di continuo si forma con la prepotente assertività della vita, malgrado gli squassi delle eruzioni passate (quella del 1865, per esempio, che ha portato alla nascita dei Monti Sartorius oppure quella del 2002 che, oltre all'immensa colata lavica che ha distrutto gli impianti di Piano Provenzana, ha portato alla nascita di 19 bocche vulcaniche disposte a bottoniera).
Guardando verso Sud, il paesaggio appare veramente lunare: si può immaginare di avere una veduta insieme magnifica e orrida su di un altro pianeta, arido e riarso, ostico per la vita.
Lontano, si intravede - pur nella foschia - il mare e, oltre, si indovinano le coste della Calabria.
Uno spettacolo davvero mozzafiato.
Ci si sente vicini al cielo e, nello stesso testimoni di rivolgimenti di lontane ere geologiche e si può immaginare come era il mondo, quando era giovane.
Gli atleti salgono lungo il crinale e noi (io e Giocchino, assieme a Luca la nostra guida) andiamo loro incontro: il fatto di vederli - avvistandoli quando sono ancora lontani e più in basso - è uno spettacolo nello spettacolo.
Appaiono come piccole figurine all'assalto della montagna immensa: al confronto sembrano formichine, piccole pulci sul mantello di un animale preistorico immenso, dormiente.
Vanno: ed è un'emozione guardarli nel loro andare laborioso ed un po' incespicato, eppure alacre.
Quando si avvicinano, è anche una grande emozione vedere che, malgrado la fatica, tutti hanno il sorriso sul volto.
Non è un sorriso di circostanza, perchè c'è la macchina fotografica puntata su di loro, ma un sorriso che esprime quanto essi siano intimamente felici, per quello che stanno facendo, per questa comunione tra il proprio Sè e il Monte, di cui in qualche modo, conquistandolo pezzetto dopo pezzetto, riescono ad assaporare l'essenza primordiale, la forza e l'energia di cui sono permeate i luoghi, le singole rocce, la sabbia, i lapilli, le piante che con forza e determinazione conquistano il deserto formato dal fuoco uscito dal ventre della terra.
Mai una frase, guardando le foto che ho fatto in questa circostanza, potrebbe essere più pertinente: "Correre è un un po' come volare, quando si va su verso il cielo e poi di nuovo giù verso la pianura".
Guardandoli (e osservando dopo le foto fatte) si comprende con immediatezza che questi runner stanno compiendo un'impresa forte ed intensa: sono felici ed io sono felice di averli fotografati, cogliendo l'attimo della loro gioia.
E non parliamo poi della gioia dell'arrivo...
C'è tanta energia in questi momenti.
Un'energia positiva, traboccante.
Nei pochi istantanei metri da percorrere prima del traguardo ci sono il condensato di tutta la gara e la gioia infinita di avercela fatta, di essere riusciti a non mollare, malgrado le difficoltà e le crisi.
E quest'energia è tale - talmente intensa - che si riversa benefica su tutti i presenti, su quelli che hanno corso senza farcela, su quelli che non hanno corso e sono là solo per assistere.
Foto di Maurizio Crispi