Elena Cifali - anzi, perdonatemi volevo dire "SuperElena Cifali" usando il nome che si è conquistato sul campo (un vero e proprio nome di battaglia), completando entro il tempo massimo la micidiale Supermaratona dell'Etna 0-3000 a metà giugno 2012 - non contenta della sua impresa podistica, ha voluto partecipare all'Etnatrail sulla distanza di 30 km per mietere nuove soddisfazioni personali.
In verità, SuperElena (appartenente alla "rinomata" compagine ASD "Movimento é Vita Gela") i trail del Circuito Ecotrail Sicilia se li farebbe tutti senza sconti.
Ma benché donna "super", lei stessa è la prima a convenire che bisogna stare con i piedi ben pianti per terra e che "non tutto ciò che si vuole, si può fare": con suo rammarico non può applicare ai suoi desiderata la formula dantesca "Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole...".
Per ogni gara archiviata, ce n'è sempre qualcuna che rimane semplicemente "vagheggiata", ma che non può essere "partecipata".
Eppure, la nostra Elena avrebbe potuto mettere in cantiere nuovi trail, perchè subito dopo l'Etnatrail si schiudeva davanti a lei un megnifico periodo di ferie: ...ma saggiamente ha preferito rinunciare, mettendo da parte le attitudini da wonderwoman per dedicarsi alle gioie della famiglia e al piccolo Luca che, per quanto ammirato delle imprese della mamma, la vuole in vacanza tutta per sé.
Be', magari durante i giorni di vacanza e di meritato riposo, la nostra Elena sarà tornata sull'Etna ancora una volta per strappare a "Sua Maestà un carico di more per confezionare la sua ottima marmellata.
Ma di sicuro non mancheranno per la nostra Elena altre occasioni: intanto il suo bel racconto la porta a rivivere e a rimemorare la straordinaria esperienza dell'Etnatrail.
E' un racconto che trasmette tutta la bellezza e la potenza di questo trail di 30 km nella natura forte e primordiale dell'Etna: un trail da scrivere a carattere cubitali negli archivi della memoria e che è l'upgrade di tutte le esperienze di trail siciliani sino ad ora fatte da SuperElena.
Il racconto che leggiamo, infatti, se da un lato trasmette la bellezza e la magnificenza della natura incontaminato e il fascino del vulcano, nello stesso tempo mostra la fatica e la sofferenza: "No pain, no gain" dice il vecchio adagio. Se si si vuole sperimentare la gioia sublime dell'arrivo, bisogna prima faticare duramente senza sconti, patire crisi e sentirsi vicino alla rinuncia, per sperimentare ogni volta il ritorno delle forze: e, a volte, per riprendersi è sufficiente un sorso d'acqua o a volte una parola d'incoraggiamento o una mano amica, o ancora il sentirsi chiamare per nome.
(Elena Cifali) Ho sempre sostenuto che correre una gara è un po' come partorire e sono certa che le donne runner mi daranno sicuramente conferma di ciò.
In pratica è successo questo. Spulciando su internet scopro che il 5 agosto 2012 si correrà un trail di 30 km sull’Etna: "E' a casa mia, non la posso di certo mancare” - mi son detta. Ho iniziato così una lunga e lenta preparazione all’evento, aiutandomi col partecipare a trail più brevi e ad alcune gare su strada, oltre ovviamente agli allenamenti più che certosini.
La mattina del 5 agosto sono sull’Etna insieme a Salvo ed Enzo. Siamo emozionati, contenti, felici, entusiasti, perché un altro sogno sta per avverarsi.
A Piano Provenzana, sul piazzale della partenza ricevo il mio pettorale ed allaccio scarpe e zaino mentre saluto una moltitudine di amici. Ad ogni gara gli amici si moltiplicano: vorrei riuscire a correre con ognuno di loro almeno per un metro [magari qualche decina di passi: che ne dite?], così da fissare nei ricordi un’immagine in compagnia di ognuno di loro.
Ci sono tutti: Maurizio Crispi [amico, fotografo, cronista], Aldo [patron], Orazio e Melchy coscritti della ASD Movimento é Vita], Tiziana e Rino, Tatiana [anche lei da poco della tribù Movimento é Vita], Graziella, Massimiliano, Luigi e anche il neofita Marco, che ha dimostrato di saper correre bene un trail impegnativo come questo sull’Etna, aiuto qualche runner a fissare il pettorale sulla maglietta e mi infilo il cappellino. Ecco, adesso siamo davvero tutti pronti.
Al via di Aldo urla di entusiasmo e applausi si susseguono, siamo tutti felici e le nostre gambe si alzano e battendo sulla nuda terra compongono un’allegra melodia.
Inizia subito la discesa, il percorso è semplice anche se accidentato come sempre. Corriamo con agilità per i primi km, si ride e si canta, lo zaino camelback che porto sulle spalle non sembra pesante come negli allenamenti, mi conforto.
Sua Maesta è bellissimo! Ci sta regalando una giornata indimenticabile, il sole è caldo, in cielo neppure una nuvola e l’assenza del vento ci fa sudare copiosamente. La mia maglietta è presto zuppa: così decido di attaccare all’estremità della cordicina dello zaino un fazzoletto di spugna che ho portato con me. Mi sarà di grandissimo aiuto per asciugarmi il viso e mi eviterà il bruciore agli occhi causato dalle goccioline di sudore che vi cascano dentro.
Tutto procede benissimo, cammino nelle salite e cerco di accelerare in discesa.
Dietro di me Tiziana mi chiama, ha qualche problema con l’altezza che le provoca vertigini e mi chiede di tenerla per mano. Non me lo faccio ripetere due volte, la tengo stretta mentre ci arrampichiamo e mentre scendiamo lungo i fianchi del vulcano attivo più alto del’Europa.
La prima parte del percorso è d'una bellezza straordinaria. Pensavo che la lava fosse solo ed esclusivamente nera ed invece mi sorprendo a calpestare lastroni di colore grigio chiaro, quasi bianchi - sembra granito - tutt’intorno la vegetazione è fatta di larghi cuscini di spine.
In salita mi supera l’ultrarunner Alfonso Sciarratta e, come sempre, passandomi mi bacia la mano con un gesto elegante e delicato.
Sono come una figlia per lui e il suo gesto mi lusinga e commuove di volta in volta. Ben presto inizio a cantare una vecchia canzoncina militare come spesso faccio quando mi trovo su un tratto particolarmente bello e faticoso suscitando l’ilarità di chi mi sta vicina. Io e Tiziana ci chiediamo cosa penserebbero le nostre mamme se ci vedessero cavalcare l’Etna tra mille difficoltà.Già, proprio noi che raccomandiamo continuamente ai nostri figli di stare attenti e di non farsi male ci siamo scaraventate a 2200 metri d’altezza su un territorio inospitale e nero come la pece: attorno a noi solo roccia, solo precipizi, solo spine.
Non riesco a decidere se siamo più pazzi o incoscienti o se semplicemente amiamo la vita in ogni sua sfaccettatura.
Sarebbe troppo semplice per me (e per tutti coloro che oggi mi accompagnano) essere la serissima signora Elena che lavora dietro una scrivania cinque giorni su sette, quella che con tono professionale risponde al telefono e compila fatture, quella che il sabato va a fare la spesa e fa i conti per fare quadrare il bilancio domestico.
Sarebbe troppo semplice alzarsi tardi al mattino, in tutta comodità preparare colazione e pranzo senza avere nella testa l’unica cosa che la riempie e l’ubriaca di felicità: la corsa! Sono un’aliena per moltissime delle mie amiche, con le quali ormai non parlo più di corse (anzi, molto spesso ometto di dire d’essere uscita prima dell’alba per allenarmi) perché non sopporto più le loro critiche, le loro paranoie le loro frasi piene di tanti “...ma chi te lo fa fare…”.
Siamo giunti all’11° km quando incontriamo Maurizio Crispi a quota 2200 metri, col suo sorriso nascosto dietro l’obiettivo della sua fedele Canon inizia a scattarci foto su foto, ci vede felici, i nostri volti sono carichi d’emozioni, le nostre gambe si alzano piano nel tentativo di non commettere passi falsi.
La sua presenza è un conforto per tutti noi e ci ricorda che, al di la di questa collina, c’è chi ci aspetta a braccia aperte, chi si sta preoccupando per noi e che tifa affinchè possa riabbracciarci il prima possibile.
Essere qui su ci trascina lontani nel tempo in luoghi inospitali, dove la vita è difficile o forse impossibile, se non per i pochi animali selvatici che vi vivono. Faccio il carico di emozioni e sentimenti positivi e respiro profondamente l’odore della natura che pendetra dentro e fornisce vitalità.
Di tanto in tanto, sento il bip del mio satellitare e capisco che i chilometri stanno trascorrendo.
Ho la percezione d’aver iniziato a correre da pochissimo.
Il tempo passa veloce e questo perché mi sto divertendo come una bimba sulle giostre. E, proprio come una bimba, spalanco gli occhi quando mi rendo conto che sto correndo su un ghiacciaio, più che altro una spessa lastra di ghiaccio alta fino a 3 metri, mimetizzata dalla sabbia vulcanica che è caduta a seguito dell’ultima eruzione: é uno spettacolo bello ed impressionante allo stesso tempo.
La mia meraviglia aumenta ancora di più quando noto un intero gregge di pecore che cerca riparo e refrigerio dietro le rocce vulcaniche.
Che spettacolo meraviglioso, che gioia, che nutrimento per l’anima!
Più d’una volta scivolo sul ghiaccio ed un runner vicino a me allunga la sua mano per fermare la mia discesa. In alcuni punti si è formato un rigoletto d’acqua che scende a valle, mi fermo a sorseggiare e ne approfitto per rinfrescare il viso.
Tiziana e Enzo sono poco dietro di me e, insieme a Salvo, decidiamo di andare avanti cercando di correre dove possibile, perché - anche se ci stiamo divertendo molto - il tempo passa e dobbiamo riuscire a passare del cancello orario (al 25° km) entro le 5 ore. Alziamo le gambe e procediamo svelti, aiutati dalla generosa discesa. Tutto quello che abbiamo visto fin’ora, tutto ciò che ci ha colpiti resterà impresso nelle nostre menti per sempre, non si dimentica facilmente un’esperienza simile.
Al 16° km usciamo dal bosco e iniziamo a calpestare il duro asfalto fino all’agognato ristoro (nei pressi di Piano Provenzana), dove mangio un po di frutta, bevo molto, mi faccio riempire il camelback d’acqua, svuoto le scarpe che si sono riempite di sabbia malgrado le ghette e saluto Ezio, Luca e tutti gli altri amici che stanno facendo il tifo per me Salvo ed Enzo.
Rientriamo nel bosco, ma qui procedo con molta difficoltà perché accuso un brutto dolore sotto il petto: forse, ho bevuto troppo velocemente o, forse, la discesa mi sta disturbando. Inizio a camminare, respirando profondamente e cercando di fare ritornare regolare il mio respiro. Ho il tempo di comunicare a Salvo che non mi sento bene, quando vediamo Enzo (che nel frattempo ci aveva superati e distanziati) fermo, seduto su una roccia, il viso che trasmetteva dolore.
Ha iniziato ad avere dolori ad una gamba, forse crampi, ci fermiamo, e solo dopo aver capito che la situazione è sotto controllo riprendiamo la nostra corsa.
Da questo momento in poi non avrò sue notizie sino all’arrivo.
Intanto il mio dolore persiste, pur facendosi più leggero ma non mi abbandona.
Salvo cerca di spronarmi, affinché io aumenti un po' il passo, ma io lo ammonisco chiedendogli di andare avanti da solo, non riesco a stargli dietro e voglio essere lasciata sola.
Lui mi asseconda e nel giro di pochissimo non lo vedo neppure più.
Adesso sono assolutamente sola, nel bel mezzo del bosco, attraverso il letto d'un ruscello completamente asciutto, le foglie secche rallentano il mio andare, i piedi si alzano a fatica, ho l’impressione di essere sempre ferma allo stesso punto, mentre il tempo –adesso - scorre molto - troppo - velocemente.
Devo fare molta attenzione a non perdere la strada: prima di allontanarmi da una fascetta che indica la direzione mi assicuro di vedere bene la successiva.
Ad un tratto, presa dallo sconforto chiamo Salvo, ma lui sarà ormai molto lontano.
Faccio di tutto per calmarmi, mi rassicuro e mi ricordo chi sono: “Tu sei SuperElena, quella che non molla mai, quella che va avanti sempre, quella che non ha paura di niente, quella che ride sempre mentre corre, quella che anche stavolta avrà di che raccontare”.
Immersa nei miei pensieri positivi mi dimentico della fatica e nel destarmi mi rendo conto che anche il dolore al petto è svanito.
In lontananza vedo tre uomini che camminano, si fermano e si buttano per terra a riposare: passandogli accanto mi chiedono se va tutto bene: “Benissimo!” - rispondo, proseguendo il mio cammino.
Continuo a bere e, ad un certo punto, sento forte il bisogno di urinare, e dopo la necessaria sosta proseguo il mio cammino.
Purtroppo, però, non vedo più le fettucce a strisce e, presa dall'incertezza, mi guardo alle spalle: vedo un runner avanza, mi fermo ad aspettarlo, pensando che forse lui saprà riconoscere la strada giusta.
Insieme saliamo su uno dei crateri a bottoniera che si susseguono in questo versante (i crateri del 2002): e da qui su la vista è bellissima, si vede il mare, lo sguardo si perde all’orizzonte, mi sento in paradiso!
Inizia la discesa, il runner ed io ci separiamo, lui ha i bastoncini che gli rendono meno faticosa la camminata (mi riprometto di acquistarli al più presto).
Al ristoro riconosco uno dei volontari che ci assisteva anche durante la supermaratona dell’Etna, che mi saluta cordialmente, informandomi che mancano ancora due chilometri alla discesa finale. Due chilometri di sola salita, ma questa è una salita amica, perché la conosco e so come affrontarla. Rincuorata, metto in moto le gambe e salgo speditamente, un passo dopo l’altro, spingo bene accompagnata e sostenuta da tutte le mie più grandi motivazioni.
Si affaccia anche lo spirito agonistico e quando in lontananza riconosco Giovanni ed Anna (entrambi molto più forti di me e con i quali di tanto in tanto ho condiviso qualche gara) scatta la molla che mi fa andare più veloce: “Devo raggiungerli” prendo a ripetere tra me e me questa frase come fosse un mantra. E ci riesco, non senza qualche difficoltà, ma nel superarli, li incoraggio: Adesso i miei obiettivi sono tutti gli altri runner che, metro dopo metro, raggiungo e supero, tra i tanti anche il buon amico Maurizio D’Ippolito, in preda a forti dolori.
Ognuno di noi indossa la maschera della fatica, della sofferenza, del disagio, ognuno di noi è la fotografia vivente di quello che sta compiendo: un’impresa estrema !
Sono rimasta senz’acqua da qualche chilometro e mi sento la bocca completamente asciutta, la gola secca, a complicare il tutto ci si mettono anche gli autobus fuoristrada che ci superano per arrivare a quota 3000, alzando una grande quantità di polvere e, ogni volta, sono costretta a voltarmi e coprirmi la bocca ed il naso col fazzoletto.
Ma ormai il grosso è fatto, poco distante da me vedo l’ultimo ristoro, vedo la mia salvezza: potrò rifocillarmi. Bevo una grande quantità d’acqua, di the e mangio mezza banana, ma nel giro di pochi metri ed inizio a stare malissimo, sono costretta a fermarmi, mi appoggio ad una roccia, mi chino in avanti ed inizio a vomitare tutto. “Mi sono fregata con le mie mani - penso - ho bevuto e mangiato con troppa avidità, troppo velocemente per un corpo che è stato e che continua ad essere sottoposto ad uno stress simile".
Mi raggiunge Maurizio e mi consiglia di rilassarmi. Perdo qualche minuto prezioso, sono passate già 5:45 da quando siamo partiti eppure ho l’impressione d’essere in cammino da meno.
Mi rimetto in marcia, qualche centinaio di metri in discesa e poi, alzando gli occhi, vedo davanti a me un muro di lava! “No Questo proprio non ci voleva!”, mi arrabbio ed aiutandomi con le mani, scivolo, inciampo, cado ma alla fine scavalco la montagnola facendomi scappare di bocca una quantità infinita di parolacce….
Sono di nuovo in cima, adesso devo solo scendere. Sento la voce di Aldo Siracusa che parla al microfono dell’arrivo, ormai ci sono.
Sono passate 6 ore esatte.
La discesa è terribile, forse più dura della salita, le scarpe si riempiono sempre di più di sabbia, non riesco a stare dritta a causa della forte pendenza, frenare è quasi impossibile. Scivolo rovinosamente su un lato e poi sull’altro, ho l’impressione di stare sciando e, se non fossi così stanca, mi divertirei moltissimo.
Dopo la discesa, é una pietraia che mette a dura prova le miei ginocchia e le mie caviglie ormai martoriate.
I piloni della funivia mi si parano di fronte uno dopo l’altro, mentre un runner mi sorpassa dicendomi “Ormai ci siamo, è finita, forza!” e arriverà solo 13 secondi prima di me.
Ci sono: ora sono sull’asfalto, alzo le gambe e, di nuovo, sono piena d’energia come prima di partire, incontro mio figlio Luca e prendendogli la mano tagliamo il traguardo tra applausi e grida di gioia. Sono emozionata, felice e soddisfatta: ce l’ho fatta ancora una volta! sono stata forte e coraggiosa! ho attraversato l’inferno ed il paradiso! sono fiera di me e di quello che faccio! sono la 100^ arrivata su 128 e su 169 partiti.
Un buon risultato per una che ha un solo scopo: correre per divertirsi...
“Arrivederci Sua Maesta, vengo a trovarti molto presto e stavolta armata del solo cestino per raccogliere le more!”
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