Reduce da un'ultramaratona di 250 km nel deserto della Giordania, la top runner Katia Figini racconta ad Action Magazine la sua avventura. Un cammino fisico e mentale. Katia Figini, trail runner, una delle atlete italiane di punta, è l'unica donna ad avere corso in meno di un anno in 5 continenti. Con un obiettivo ben preciso: dire basta alla violenza sulle donne con il progetto "Run for Women". È allenatrice (www.xcorsi.eu) e crea percorsi personalizzati sia per chi comincia a correre, sia per chi vuole affrontare imprese estreme.
(Katia Figini) Wadi Rum, una parola che riempie la bocca. Wadi Rum: il nome di uno dei deserti più belli del globo, 60 km a est di Aqaba. La vallata più vasta dellaGiordania, anche detta Valle della Luna, divenuta famosa per merito dell’ufficiale Lawrence d’Arabia, che la descrisse come un deserto “vasto, echeggiante e simile ad una divinità”. Come la parola magica di un mago, o un sussurro d’amore alla persona amata: Wadi Rum.
Mentre pronuncio e scrivo questo nome, ho ancora le immagini stampate nei miei ricordi come inchiostro indelebile. Sarà impossibile dimenticare i profondi canyon, le dune di sabbia rosse, bianche, gialle, gli archi rocciosi, le immense pietre in arenaria modellate a fungo, plasmate in una poesia di forme e colori che solo una divinità può aver generato. Correndo in quel deserto ho rivisto tutti i deserti percorsi in questi anni, come se un Dio avesse preso pezzi di puzzle da diverse scatole e li avesse fusi insieme.
Nel Wadi Rum si ritrovano la fine sabbia del Sahara, le vaste distese della Namibia, alcune rocce del deserto dell’Atacama (Cile), i canyon e le montagne dell’Oman… Una delle gare più belle in assoluto.
Racing The Planet (organizzazione famosa per le sue gare nel mondo caratterizzate sempre da 250 km in 6 tappe in autosufficienza) non ci ha voluto far mancare nulla, nemmeno i 50 gradi nelle ore più calde, una piccola tempesta di sabbia e soprattutto il gran finale nella strepitosa Petra!
Una gara che preparavo da circa 6 mesi. Una gara impegnativa, nella quale però non ho particolarmente faticato, probabilmente perché sono arrivata riposata, senza troppi km estenuanti nelle gambe (errore, a parere mio, che si compie spesso). Mi sono stupita e allo stesso tempo (lo ammetto) congratulata con me stessa dimostrando ai miei allievi che, tutto sommato, possono fidarsi degli allenamenti che “prescrivo”…
Beh, sono anche stata fortunata (un pizzico di fortuna ci vuole sempre), e la mia fascite plantare ha deciso di prendersi una vacanza in quei giorni dandomi tregua (sarà stata l’adrenalina?). La tappa più lunga era la quinta, 86 km (di cui almeno 40 tutti di montagna). Avevamo già sulle gambe praticamente 4 maratone dei giorni precedenti, ma l’ho chiusa bene: quinta assoluta. Ma la cosa che mi ha stupito di più, è il fatto che non avevo un dolore muscolare (sì, lassù c’è qualcuno!)
Tempi e competizione a parte, una cosa bella di queste gare, dove l’organizzazione oltre l’assistenza offre solo acqua e tende per dormire, è la sensazione che si ha quando ci si rende conto che tutto quello che serve per vivere una settimana è sulle nostre spalle. Ci si sente forti e invincibili, innanzi tutto... Poi ci si guarda intorno e si vedono spazi infiniti, e si torna al proprio posto: esseri umani piccoli piccoli, che contano poco o nulla in quel luogo.
A differenza delle gare no stop, qui si ha tempo di socializzare con le persone. Una quarantina di paesi differenti che si incontrano e si mischiano in un’unica avventura. Nella mia tenda avevo due giapponesi. Una era Kida, di 60 anni, con il suo zainone e il suo kimono, sopra il kimono il suo bel pettorale numero 71. Arrivava dopo ore e ore di cammino, sotto 40 gradi, e con quel fare spirituale che solo gli asiatici possiedono, si sedeva, meditava, pensava. Solo dopo circa un quarto d’ora iniziava a cambiarsi, a sistemare le sue cose. Ho conosciuto tanti aspetti della loro cultura, delle loro usanze e abitudini.
L'altra, Sindy, mi ha invitato a Tokio, e l’idea di vivere il Giappone “guidata” da un abitante del posto mi solletica da matti. Ma la nazione che aveva più partecipanti era l’Italia: 16 in tutto. Una banda di simpatici compagni di viaggio che hanno tagliato TUTTI il traguardo! Due podi italiani e due premi di categoria! È bello condividere pezzi di vita in quei momenti “estremi”. Tutto appare più facile, anche i rapporti, le comunicazioni chiarite con i gesti, la condivisione di gioie e dolori. Si vive un’avventura con gli altri e con se stessi.
Un cammino (a parer mio anche di vita), una corsa della durata di una settimana fa frullare nella testa tanti pensieri, saggi e stupidi allo stesso tempo. Una cosa però è certa: è come fare un “reset” nella propria mente, una sorta di refreshing dove si capisce quali sono davvero le cose importanti nella propria vita. Cioè gli affetti, i nostri cari, l’acqua, il cibo. Ci si sente più leggeri e purificati al ritorno a casa, si vive tutto sotto un’altra ottica, quella del “qui e ora” e non quella del “voglio avere”. Correre a contatto con la natura, assaporare le usanze e la cultura di paesi lontani, vivere queste esperienze, provare a mettersi in gioco… Ci si sente vivi, felici e fortunati. Le immagini, meglio delle parole, possono testimoniarlo.