
"(...) ci sono quelli che sono specialisti nella toponomastica, nel senso che i loro racconti sono ricchi di dettagli sui nomi dei luoghi attraversati, spesso l'attenzione ai nomi travalica i luoghi stessi, come se il nome ne contenesse la descrizione o la suggestione. Il ponte x, il colle y, la piazza z forse rievocheranno qualcosa in chi li vive o li ha vissuti, ben diverso se non ci si è mai stati" (ib.).
Ma, ovviamente, ogni modo possiede un suo intrinseco valore che deve essere rispettato, restando fermo il fatto che il rimanere ancorati al puro ed essenziale evento performativo, rende il racconto fruibile soltanto ad altri runner che possono utilizzare quel racconto (o altri simili) come personale Baedeker di viaggio nel mondo della corsa.
Il racconto di una corsa, come elaborazione dell'esperienza, rende invece quel racconto "universale" e fruibile a tanti altri che, pur non essendo interessati alla corsa in sé, possono avere un'interesse nel vedere come la corsa possa diventare metafora della vita che, anche se in un arco temporale ristretto, si presenta con le sue gioie, i suoi momenti di meraviglia, i suoi dolori e le sue pene e che implica anche il contatto profondo con le proprie esperienze emozionali antecedenti che, emergendo via via durante la performance della corsa, sono come le nuvole che arrivano senza un ordine prestabilito, passano e vanno via oltre l'orizzonte o, a volte, stanno, accompagnandoci nel cammino per un tratto più o meno lungo (Murakami Haruki ci insegna qualcosa, al riguardo...).
Di Filippo Castiglia, di argomento affine, si può anche leggere il seguente post: Delle cronache fredde, di quelle marziali, e dei mille modi di raccontare una gara
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