Lo scritto di Elena Cifali che segue ci dà molte risposte sulle motivazioni del runner di medio livello, del runner a cui non importa tanto la performance cronometrica, quanto piuttosto l'esperienza.
Correre significa uscire fuori dall'ordinario e dal quotidiano.
Correre anche in allenamento significa conquistare qualcosa di nuovo che prima poteva essere per noi irragiungibile.
Correre dà risposta e soddifazione all'indomito spirito ludico che alberga dentro di noi (un allenamento anche impegnativo è come un "bel giro di giostra").
Correre è un po' come volare: la corsa ci dona leggerezza ed è estasi (nel più puro senso etimologico della parola) perchè introduce nella nostra vita - altrimenti ristagnante - un elemento di movimentazione e continui dinamismi, vitalità ed energia.
Correre è conquista quotidiana d'un appropriato assetto interiore ed è uno strumento per crescere e per superare alcune delle nostre paure più radicate.
Correre ci insegna ogni giorno qualcosa di nuovo su noi stessi.
Elena con questo suo allenamento lungo in solitaria in vsta del progetto ardito ed impegnativo (ed esaltante) di correre la 41^ edizione della Cento Chilometri del Passatore (a cui con solerzia si è già iscritta) è uscita dalla bambagia degli allenamenti lunghi fatti in compagnia di "angeli protettori", affrontando la fatica, il vento, il freddo di neve e di ghiaccio, in totale solitudine.
(Elena Cifali) Apro le imposte della cucina poco dopo l’alba: fuori soffia un forte vento - ha piovuto per buona parte della notte - ed ora il cielo non promette nulla di buono.
Pesanti nubi grigie sovrastano la Montagna ("Sua Maesta L'Etna"), ma per fortuna adesso ha smesso.
E’ sabato ed oggi non lavorerò: per questo motivo, ho deciso che farò un Lungo, costi quel che costi. Sarò sola, perché i miei soliti compagni d’allenamento sono infortunati e questo mi mette un po’ di paura: ma, prendendo il coraggio a due mani, mi armo di tutto punto. Maglia termica, pantalone lungo, cappellino, bandana, Garmin, zaino e cellulare. Sono pronta, non mi rimane che uscire fuori, varcando la soglia di casa e nessuno, a questo punto, potrà più fermarmi.
L’aria è gelida ed il vento mi taglia il volto facendomi lacrimare gli occhi; la vista si annebbia mentre inizio la salita che mi porterà da quota 700 a 1100 slm; sono ben poche automobili in transito: non ne conterò più di una trentina per tutta la mattina.
Nel paese di montagna la popolazione ancora dorme avvolta sotto le calde coperte.
Io, invece, mi sono catapultata qui fuori a soffrire il freddo, il vento e la fatica, a respirare la vita, quella stessa vita che giorno dopo giorno conquisto faticosamente e che mi guadagno.
Oggi è un giorno speciale, un giorno che ricorderò per sempre: è il mio primo Lungo in solitaria, solo io e nessuno altro al mio fianco. Se sarò capace di fare questo potrò, d’ora in poi, dedicarmi ai lunghissimi allenamenti che mi porteranno molto lontana senza dover attendere che qualcuno mi accompagni.
Sollevo la bandana fin sul naso e copro la bocca perché il vento gelido entra fin dentro i polmoni e mi rende difficile la respirazione. Per fortuna le gambe girano bene e non le sento per nulla appesantite.
Attraverso a passo di corsa il centro del paese e salgo su, l’Etna di fronte a me mi saluta maestoso, con quei nuvoloni bianchi che lo sovrastano sembra si sia messo il cappello anche lui per sopportare il gelo.
Dopo i primi tre chilometri trovo l’asfalto gelato e temo di scivolare, ma per fortuna durante la notte gli agenti della Protezione Civile hanno sparso il sale sulle strade e sento lo scricchiolio dei granelli sotto le suole delle mie calzature.
Ancora poche centinaia di metri ed il ghiaccio lascia spazio al nevischio, più soffice e meno insidioso.
Questa salita e questa neve mi portano col pensiero a quando ero bambina ed abitavo a Como, a pochi passi dalla Svizzera: per andare a scuola dovevo affrontare (nei mesi invernali) le stesse condizioni atmosferiche. Mi abbandono alla dolcezza di quei ricordi. La scuola elementare, la maestra, i compagnetti ed anche Luca, quel compagno dispettoso col quale mi piaceva combinarne di tutti i colori. Già, fin da bambina sono stata ribelle e pestifera...
Continuo a salire col vento che soffia da Nord e mi batte forte contro il viso ed il petto. Ormai il mio corpo si è riscaldato e la differenza termica è notevole, il fiato che esce dalla mia bocca si condensa a contatto con l’aria e mi sento avvolta in una nuvola di vapore.
Quasi 8 km di salita e finora è andato tutto bene: nessun incontro spiacevole e mi sento in gran forma.
Raggiungo uno spiazzo dove solitamente i turisti si fermano a fare fotografie ed acquistare souvenir da portare con sé per poi esporli nelle loro case come trofei di viaggio. Ma oggi il cielo cupo non permette nessuna vista panoramica mozzafiato e, quindi, non ci sono turisti nei paraggi.
Mi addentro lungo una strada secondaria che mi permetterà di fare i successivi 8 km di percorso ondulato, così potrò riposare un pochino le gambe prima della discesa.
Mi ritrovo sola, in mezzo al nulla: nessuna anima viva per decine di chilometri. Realizzo che se mi succedesse qualcosa qui, prima di essere ritrovata, potrebbero passare alcune ore, anche perché non ho dato a nessuno precise indicazioni di dove sarei andata ad allenarmi.
Sbircio il cellulare per verificare che ci sia campo, nulla! “Vabbè, meglio non pensarci”, mi dico. In lontananza sento l’abbaiare e l’ululare di alcuni cani randagi, ma non me ne curo, perché oggi mi sento coraggiosa e non voglio interrompere l’allenamento per tornare indietro. Proseguo fino alla fine della strada per poi fare ritorno. Mi nutro con un paio di biscotti secchi della mia piccola scorta. Sulla via verso casa, quando sono esattamente a metà del mio percorso sono così contenta e felice che urlo ad alta voce un “Siiiii!!!” che rimbomba come un’eco. Sono fiera di me e questo nessuno potrà mai cambiarlo.
In men che non si dica mi ritrovo ancora una volta sulla strada principale che mi riporterà a casa mia. Adesso è tutta discesa: dapprima l’affronto con moderazione, poi, via via, il passo prende il ritmo, si fa più veloce, mi sembra che le suole quasi non tocchino terra: con lo sguardo dritto in alto e il sorriso stampato sul volto inizio a "volare" e mi diverto moltissimo.
Ormai sono quasi arrivata, quando – sull’altra corsia - mi affianca un autoarticolato enorme che trasporta pietra lavica: il bestione che mi ritrovo alla mia destra è costretto a frenare costantemente in discesa e, per qualche centinaio di metri, mi trovo impegnata in un faccia a faccia col conducente che non crede ai suoi occhi. Gli leggo in faccia lo stupore, avrà pensato “Ma che ci fa sta pazza qui, sola a quest’ora del mattino?”.
Ed è sfida aperta tra me e le 24 ruote, mi catapulto giù, guardando il Garmin: per un attimo ho sfiorato i 4 min e 10 secondi al Km! “Caspita!”: mai fatto nulla di simile. Pian piano il mezzo pesante mi distanzia ed io rientro nei ranghi; ormai sono di nuovo dentro al paese che trovo più sveglio di prima. Il vento non è mai cessato, fa freddissimo e la temperatura è sotto lo zero: solo poche anime sorseggiano caffè dentro ai bar del centro. Ancora poco e sarò arrivata a casa, soddisfatta e felice per questi 22 km invernali con dislivello altimetrico; adesso, mi aspettano una buona tazza di latte e caffè caldissimi e poi una sana doccia rovente.
Quando ero un’adolescente immaginavo che le donne, mogli, mamme di mezza età fossero delle persone incapaci di divertirsi, dedite solo alla famiglia, al lavoro ed agli impegni quotidiani, io ne compierò 40 fra poco più di un mese e, oltre a fare tutto questo, mi scopro come una bimba che ha appena terminato il suo giro in giostra, pronta a salire sulla prossima corsa…
Buone gambe, amici miei!