A volte la rappresentazione iconica del gesto atletico della corsa non è nel gesto perfetto dell'atleta che taglia il traguardo da vincitore, ma quello apparentemente scomposto e sofferto di chi, non avendo più alcuna ambizione di salire sul podio, cerca con tutte le sue forze (sia mettendo in campo quelle residue del corpo, sia dispiegando in modo quasi sovrumano le energie mentali residue) di arrivare al tagliardo e di spezzare quel filo di lana che è - per tutti - l'agognata meta finale.
In questa lotta si realizza l'icona dell'agonismo perfetto: l'atleta in lotta con se stesso e le propriedebolezza e limitazioni.
In questa lotta, si erge un monumento alla sua forza e alle sue qualità "olimpiche"nel più puro spirito decoubertiniano.
In questo senso, la Andersen-Schiess ha scritto una pagina indlebile nella storia dell'atletica: una pagina che rimase celebre proprio al termine della Maratona che concludeva i Giochi Olimpici di Los Angeles nel 1984.
Colpita da malore (nell'occasione di quella maratona si registrarono temperature elevatissine), quando era già all'ingresso dello stadio di Atletica, percorse il giro di pista che le rimaneva, barcollando, cadendo a più riprese e soffrendo indicibilmente, tanto da impiegare, per quegli ultimi - fatidici - 400 metri il tempo infinitamente lungo di 4'55", mentre tutti gli spettatori (e i telespettatori di tutto il mondo attraverso le immagini madate in onda in diretta) soffrivano con lei, con il fiato sospeso.
Si classificò 37^, ma è entrata nella leggenda, ben più che la vincitrice "reale" di quella maratona olimpica.
Quell'arrivo così sofferto rimase scolpito nel cuore di tutti gli spettatori presenti nello stadio olimpico e per quanti ebbero di vedere quegli ultimi strazianti minuti della sua corsa nella diretta televisiva.
Alcuni giornalisti, tra cui il nostro Gianni Brera, si scagliarono veementemente contro questa performance estrema, sostenendo che la si sarebbe dovuta impedire: in quanto si era trattato di una messa in scena di una fatica insensata ed antiestetica..
Eppure quegli ultimi istanti di sofferenza, esitati nel superamento dell'agognato traguardo, rimasero impressi nella mente di tutti, come espressione della volontà e della fiera determinazione di un'atleta, decisa sino all'ultimo ad onorare il suo impegno: fu In qualche misura, una lezione di vita e di sport "eroico", in cui l'eroismo viene dispiegato a prescindere dalla lotta per un posto sul podio.
Gabriela Andersen-Schiess (20 marzo 1945) è un'ex-atleta svizzera nota in particolare per il malore che ebbe durante la maratona femminile delle Olimpiadi di Los Angeles 1984.
Vittima di un colpo di calore, la maratoneta entrò barcollante nello stadio ed impiegò oltre 5 minuti a compiere l'ultimo giro di pista. Medici e paramedici la seguirono da vicino, ma non intervennero per evitarle la squalifica.
L'episodio fu simile a quello accaduto ad inizio secolo all'italiano Dorando Petri.
Quando l'atleta crollò subito dopo l'arrivo, i soccorsi furono immediati. Fortunatamente la donna si riprese velocemente, e venne dimessa dopo appena un paio d'ore.
Gabriela Andersen-Schiess, che aveva allora 39 anni e faceva l'istruttrice di sci, non era in lotta per una medaglia. Infatti, alsuo ingresso nello stadio di atletica, aveva già un distacco di venti minuti sulla vincitrice della gara, Joan Benoit..
Le immagini del suo drammatico ultimo giro vennero trasmesse in tutto il mondo, e preoccuparono e commossero molte persone: e rimasero come uno dei momenti che vennero maggiormente ricordati di quell'edizione dei Giochi olimpici.
Le canzoni che accompagnano le immagini del video sono "My way" (Frank Sinatra) e "Nothing to lose" (UK).