(Note a margine della pedalata "Selle di Stelle" del 20 aprile 2011, organizzata dal Coordinamento Palermo Ciclabile). Le strade della città sono illuminate di giallo dai lampioni. E' una cosa strana - quasi surreale per te che te ne stai seduto al Caffè a bere un bicchiere di vino rosso - quando improvvisamente la via, prima percorsa da radi veicoli a motore, viene invasa da un nugolo di biciclette.
Tante: e occupano tutta la carreggiata.
Le biciclette passano e il loro passaggio sembra interminabile.
Una massa compatta di bici di tutti i tipi e tutte le dimensioni.
Bici grandi, bici piccole, bici bizzarre.
Bici personalizzate, bici antiche, bici moderne.
Poi un vuoto di passaggi.
E, di nuovo, altri ciclisti che arrivano.
Caschi, caschetti, giubbini catarifrangenti, lucine fantasiose, pulsanti.
Oppure, niente del tutto: solo un abbigliamento normale e quotidiano.
Poi un altro vuoto.
Poi, altri ciclisti, adesso in ordine sparso.
Infine, le ultime retroguardie di questo piccolo esercito su due ruote di utilizzatori "lenti" della strada.
I ciclisti sono così tanti e così compatti che le auto non possono più passare.
Fanno muro o, per così dire "massa critica".
La cosa più straniante è il silenzio che accompagna il passaggio delle bici.
Sì, ci sono scampanellate, trombette e campanelli trillanti che suonano e le parole sussurrate da un ciclista al suo vicino, qualche grido gioioso, frammenti di conversazione.
Ed anche il ronzio unifome delle ruote che girano e il brusio di ingranaggi ben oliati in movimento.
Ma anche Il sibilo dell'aria che si fende al passaggio dell'orda e dei singoli ciclisti e il soffio della leggera brezza che si forma.
Ma, globalmente, la sensazione è quella del silenzio.
In ogni caso questi rumori sono soft, gentili: certamente non aggressivi, e piuttosto tinti di una coloritura ludica e gentile.
Rimandano alla possibilità di un altro modo possibile di vivere: il vivere lento in una città lenta.
La sensazione è quella di un movimento armonico che si svolge nel silenzio.
E tutto questo dà una sensazione di straniamento, di spaesamento, quasi di derealizzazione.
Poi quando le centinaia di ciclisti sono passate, da dietro arriva un muro compatto di auto, ferro e lamiere urlanti e plastica.
Una vera e propria frattura: il ritorno all'esaltazione futurista della macchina e del mezzo meccanico che però è divenuta una prigione asfissiante.
Malgrado l'ora sia tarda, adesso le auto sono tante, perchè sono state trattenute e rallentate dalla massa di ciclisti che li precedevano.
Macchine che altrimenti sarebbero state rade e sporadiche, adesso si presentano compatte e sfilano prepotettenti una appresso all'altra, accompagnate da schiamazzi di clacson, fumi di scarico, motori che rombano, una bailamme sonora prepotente e fastidiose, disarmonica.
Rumori assordanti, rumori meccanici senz'anima, le urla dell'acciaio e della lamiera.
Automobili trasformate in Sound system ambulanti e che, al passaggio, con i bassi prepotenti che emettono, fanno andare tutto in vibrazione e fanno sfarfallare la membrana del timpano con un intollerabile carico di decibel.
Dopo la visione di prima, questa è la piena esaltazione della mobilità insostenibile e non relazionale.
Due immagini diverse quelle che si sono succedute.
Due modi diversi di intendere lo spostamento.
Due modi diversi di vivere la notte.
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