(Maurizio Crispi) Sto appena cominciando a leggere Lo Sport del Doping. Chi lo pratica, chi lo subisce (EGA Torino, 2013), scritto da Alessandro Donati, ex-tecnico federale responsabile del mezzofondo veloce, appena adesso.
Intanto, però posso anticipare queste brevi considerazioni: l'entusiasmo che sto sperimentando nel primo approccio ad esso mi spinge a farlo irresistibilmente.
Sin dalle prime pagine si legge come se fosse un romanzo, tanti sono i colpi di scena che l'autore propone e tante sono le situazioni di intrigo e di imbroglio che vi vengono raccontate. Alessandro Donati è stato un "puro" e non ha mai esitato tra lo scegliere la via dello sport pulito e quella fatta di scorciatoie per ottenere il risultato: inteso come "medaglia" e "posto sul podio", mai come piazzamento dignitoso. Donati che è stato anche a scuola dell'allenatore di Mennea ha sempre impresso questo sigillo al suo stile di allenatore: mai i mezzi innaturali, saldi princpi morali e, soprattutto, assoluta sincerità con i suoi atleti. Il suo racconto si sviluppa dai primi anni Ottanta, quando all'interno della FIDAL impazzava il "verbo" di Conconi: un metodo basato sulle auto-emotrasfusioni e, naturalmente, molto altro. Molto altro, indubbiamente: perché quando si comincia ad investire su di u atleta per farlo diventare vincente, allora ogni mezzo diventa lecito, anche se l'atleta dovesse morire o risentirne in modo invalidante.
Questo saggio si inserisce sulla scia del precedente volume di denuncia, scritto da Donati "Campioni a perdere", andato a ruba e ormai purtroppo esaurito.
Donati ha pagato per il fatto di voler essere puro sino all'ultimo: essendo un personaggio scomodo ed imbarazzante, in un momento in cui tutti volevano il metodo Conconi (e chissà che altro!) è stato estromesso - all'interno della FIDAL - dal suo ruolo di responsabile della squadra di atleti del Mezzofondo veloce (800 e 1500 metri piani) e relegato a fare un oscuro lavoro burocratico in un sottoscala della Federazione.
Ha avuto la forza e il coraggio di portare avanti la forza delle sue idee e dei suoi principi. Tra la possibilità (che gli era offerta di scrivere un libro teorico sul Doping e sui suoi pericoli, ha preferito raccontare la sua storia, intessuta delle sue personale esperienze, nella qualità di "testimone" dissidente e pertanto scomodo, e di altri racconti appresi dal suo personale vertice di osservazione.
E dallla lettura del suo libro vengono fuori tanti nomi eccellenti, legati ad un periodo in cui sembrava che l'Atletica italiana grazie all'imbroglio, alla sottomissioni alle suggestione chimica e alla sistematica applicazione di mezzi di allenamento illecito potesse avere un grande e straordinario sviluppo.
Gli effetti delle pratiche dopanti praticate agli alti vertici dell'Atletica italiana, purtroppo, sono stati contrari e devastanti: le vie rapide, le scorciatoie si ritorcono contro chi le pratica e, come soleva dire il compianto Mennea, grande e strenuo alfiere della lotta contro il Doping, gli atleti dopati hanno la vita breve, si infortunano dopo pochissimi anni di attività e finiscono con lo scomparire di scena ed essere dimenticati.
Le vie brevi, il risultato eccezionale conseguito con mezzi artificiali (ed innaturali), sono come una droga, provocano euforia ed eccitazione e finiscono con il generare una forma di speciale addiction mentale, che colpisce irrimediabilmente sia gli atleti che vengono sottoposti a queste pratiche sia i dirigenti collusi, sia i "tecnici" che oltre alla gratificazione demiurgica sdi riempono le tasche di lauti compensi. E tutto ciò diseduca dal duro lavoro necessario per perfezionare la forma fisica di ciascuno atleta, per limare la loro performance, per "costruirli" passo dopo passo in un percorso che può durare anni: e qui, ancora una volta mi vengono in mente le parole di Mennea, quando raccontava dei duri sacrifici a cui dovette sottoporsi nel lungo viaggio che lo portò a conquistare il record del Mondo nei 200 metri piani.
Ma il guaio è stato anche che, assieme al "demiurgo" e dispensatore di falsa moneta Conconi (poi sottoposto a un procedimento penale per pratiche illecite nello sport), è tramontata un'era dalla quale ancora oggi l'Atletica italiana stenta a riprendersi.
Ma Donati illustra nel suo volume anche la diffusione delle pratiche dopanti anche tra gli sport amatoriali, facendoci intravedere un iceberg di cui la parte emergente è solo una minima parte.
Per tutti questi motivi "Lo Sport del Doping" ha avuto uno straordinario successo: oltre 4 le ristampe della 1^ edizione (2012) e nel 2013 una seconda edizione ampliata.
Ma oltre a questo semplice dato, vi è quello ben più significativo del numero di volte in cui Alessandro Donati è stato chiamato a presentare il suo libro a uditori interessati.
(Dal risguardo di copertina) Gli scandali del doping si susseguono coinvolgendo campioni di primissimo piano. E' ormai consapevolezza diffusa che in diverse discipline sportive il ricorso al doping coinvolge gran parte degli atleti di vertice e altera i risultati delle maggiori competizioni sportive, favorito da dirigenti che guardano solo al numero delle vittorie e da una stampa sportiva che preferisce non vedere e non sentire. Pochi sanno, invece, che tutto questo ha fatto 'scuola' e che molti praticanti di livello amatoriale affollano gli ambulatori dei medici dei 'campioni' per farsi prescrivere la 'cura' miracolosa che può consentire loro di battere in gara il collega di ufficio o il vicino di pianerottolo. Così il doping è diventato fenomeno di grandi numeri, con molti punti di contatto con la droga e sta generando traffici internazionali manovrati dietro le quinte dalle multinazionali farmaceutiche.
Sono certo che, in seguito, quando avrò portato a termine la lettura del volume di Donati ne scriverò ancora.
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