Tra i partenti della Lupatotissima (la 24 ore su pista), anche la triestina Giuliana Montagnin che ha concluso la sua fatica totalizzandìdo un po' più di 117 km percorsi. Riflette Giuliana: "L'allenamento è importante, ma contano anche tanti altri fattori". Con molta fatica, anche questa volta Giuliana è riuscita a centrare il suo obiettivo, gratificando se stesso per la consapevolezza di aver fatto bene e di aver mantenuto l'impegno preso con se stessa, ma soprattutto aggiungendo un piccolo tassello nel mosaico del suo appassionato viaggio nel mondo delle ultra.
(Giuliana Montagnin) Ecco il racconto della mia partecipazione alla 24 ore di S. Giovanni Lupatoto, nel quale mi soffermerò più sugli aspetti psicologici che non quelli riguardanti i vari dolorini che - ahimè - forse solo un esperto fisiatra potrebbe aiutarmi a risolvere. Sta di fatto che io sono convinta che, in queste gare così lunghe di resistenza, contano molto i pensieri, il clima se ti si addice il caldo o il freddo, il comportamento degli altri atleti se li vedi spesso e incentivati a correre o se non li vedi a causa di un percorso tortuoso oppure se li vedi cedere, che non l’allenamento vero e proprio. L’allenamento è un fattore importante, ma non preponderante, ma sicuramente ti preserva da infortuni; se hai esperienza di altre 24 ore è meglio, perchè riesci a gestire piccole difficoltà, impari come risolverne altre nuove.
L’appuntamento di fine settembre con la 24 ore di S. Giovanni Lupatoto per me era una cosa scontata. E' un'ottima ultra in pista, ben organizzata, abbastanza vicina alla località in cui abito (Trieste): rimaneva il problema se partecipare o meno alla 24 ore di Fano nelle Marche, appena due settimane dopo. Questi erano i pensieri che mi passavano per la testa a inizio anno quando guardavo il calendario e cercavo ogni tanto qualche maratona da inserire qui e lì come allenamento. Mai cose troppo ravvicinate, perchè ho bisogno sempre di un buon recupero, non sono neppure tanto capace di lavorare tutta la settimana e ripartire ogni sei giorni. con una valigia rifatta in tutta fretta.
Nel corso dell’anno, i miei pensieri erano leggermente cambiati. Infatti, mi ero iscritta prima alla 24 h di Fano e man mano trascorrevano le settimane la Lupatotissima per me era diventata meno importante, anche se comunque avevo deciso di farla [la 24 ore di Fano è valevole quest'anno come campionati italiano Assoluti e Master 24 ore su strada - NdR]. Presa da timori all’ultimo momento, e cioè in agosto, mi consigliai con un’altra ultramaratoneta se in ambedue le gare avrei potuto realizzare la distanza chilometrica di 115 km con così poco recupero [nelle 24 ore ci sono dei "minimi" chilometrici per sesso e categorie, da realizzare per potere essere classificati - NdR].
Quelli di 115 km è l'importo chilometrico da realizzare minimo per la mia categoria: non centrando questo obiettivo il lavoro sarebbe stato vano e si tratterebbe soltanto di una bella corsetta e di un simpatico week-end con gli amici.
L’atleta interpellata, avendo alle spalle numerose esperienze di ultra e maratone anche ravvicinate nel tempo, mi rispose che ce la potevo fare: anzi mi spronò a cimentarmi in questa impresa.
Altri atleti mi sconsigliarono.
Dubbi amletici mi torturarono fino a due settimane prima dall'impegno con la Lupatotissima: E se a Lupatoto mi accontentassi di fare solo 12 ore? Con un pizzico di incoscienza mi risolvetti : 24 ORE e così sia!
Sapevo che le condizioni climatiche non sarebbero state facili, poichè durante il giorno abbiamo ancora temperature molto elevate paragonabili più ad agosto che non a fine settembre; confidavo molto, anche, in un calo termico durante la notte. In effetti, c’è stato, ma ormai mi sentivo parecchio debilitata, i9n quanto avevo sudato tantissimo.
Volevo sperimentare in questa gara il sistema di non alimentarmi troppo con cibi solidi in modo da non incappare nel classico “furto di sangue ai muscoli” che, secondo gli esperti, è quello che mi portava sempre ad avere problemi di stomaco, leggeri però fastidiosi. Una sottile nausea che non permette di bere o assumere qualcosa di solido col timore di vomitare, mentre poi col caffè o la Coca Cola il periodo di crisi passava.
In realtà, in questa gara, non me la sono sentita di correre/camminare solo con acqua e zucchero o gel e quindi ho accettato di buon grado a pranzo e a cena una microscopica razione di pasta bianca (in tot. 40 grammi ca., alcuni pezzi di patata lessa, qualche biscotto, frutta fresca e secca).
Le cose sono andate meglio, questo sistema ha funzionato, ma purtroppo i sali persi col sudore non mi hanno consentito un risultato per me eccellente: ho realizzato alla fine l'importo di 117,174 km; avevo pure integrato con i sali dell’organizzazione, ma forse non a sufficienza.
Alla fine della prima ora avevo fatto poco più di otto chilometri, il che valutavo giusto per una gara così lunga, ma col passar delle ore la velocità diminuiva, mentre il caldo aumentava (start alle 10.30); nonostante gli innumerevoli spugnagli eravamo tutti provati. Cercai di rilassarmi, di correre piano, godermi lo spettacolo, sperando che in serata col fresco avrei ancora corso e camminato.
Incuriosita, guardavo gli atleti in prima corsia [impegnati nella staffetta], lo speaker, il nostro solito simpatico Fabio Rossi che,puntualmente, ci ragguagliava sui nostri km percorsi e elencava i vari nomi di quelli che correvano o che avrebbero corso la staffetta 24 x1 ora in prima corsia (noi dell'ultra eravamo in quarta corsia).
Sentendo il nome di Giorgio Calcaterra drizzai le orecchie anche per udire la sua storia, in quel momento correvamo in un senso di marcia, gli atleti della staffetta correvano in direzione contraria: dunque, potevo vederli bene in volto. Nessuno sembrava lui: Avrò capito male l’ora in cui corre, mi son detta. Difatti al seguente sparo di pistola guardando a destra e controllando meglio vidi il nostro CAMPIONE MONDIALE. Avete presente gli occhietti furbi da ragazzo birichino? Era proprio lui, inconfondibile come appare sui giornali o alla TV.
Le ore passavano e, alternando corsa lenta e cammino, guardavo pure i nostri atleti della 24 ore, alcuni Spagnoli, un’Ungherese e una signora che mi ha colpito tantissimo: correva sempre lentamente col medesimo ritmo ma ha tenuto duro così per tutto il tempo della gara. Era un po’ più piccola di me di statura, chissà perché ho sempre pensato che i più bassi facessero più fatica ed invece, se allenati bene e con buona esperienza, riescono a battere anche giganti dalle gambe lunghe.
Verso sera le temperature calarono notevolmente, eppure pensavo quasi di fare tutta la notte con una maglietta con le maniche corte tanto avevo sofferto il caldo diurno. Non fu così: mi fermai un paio di volte per 5 minuti per riposare, ma così facendo mi raffreddai e dovetti ricorrere alla mia valigia per indossare qualcosa. Purtroppo, ogni tanto, la corrente saltava, ma non eravamo al buio completo, perchè alcune luci rimanevano sempre: fortunatamente avevo sistemato la mia valigia sulla prima branda vicino all’entrata della tenda.
Vidi alcuni atleti che si ritiravano, a bordo pista già rivestiti e col borsone in spalla mi salutavano: mi prese parecchio sconforto, ma - ripeto - fortunatamente si trattava di una pista, potevo vedere tutti gli altri, non ero sola, c’erano tante tante persone ed anche gli assistenti delle varie squadre della staffetta che mi incitavano. Fosse stato un percorso lungo di uno o due km in un parco solitario le cose sarebbero state diverse e lo sconforto maggiore.
In certi casi posso solo fare appello alla mia forza d’animo, il biglietto per il treno comunque l’avevo per il pomeriggio successivo, non rimaneva altro che deambulare.
Durante la notte, cedetti nuovamente per ben 40 minuti: mi distesi sulla branda, non avrei dovuto farlo ma la tentazione fu forte, vedevo altri che entravano in tenda oppure avevano problemi allo stomaco; mi dissi che sarebbe andata ugualmente bene se avessi fatto anche solo i 115 km prefissati.
C’erano due cancelli [cronometrici], allo scadere delle 12 ore bisognava aver concluso 90 km e dopo 18 ore almeno 90 km, li superai con facilità, non mi rimaneva altro da fare che avanzare ancora una ventina di km.
Mi ripresi e ricominciai a camminare di buon passo: mi ero raffreddata parecchio e mi rialzai soprattutto per il timore di gelarmi troppo. A quel punto riprendere la corsa era impensabile, poichè temevo la formazione di bolle ai piedi (fui graziata, calze e scarpe perfette ed una buona dose di crema), temevo di dover fare un altro stop forzato per un cambio scarpe, le gambe erano rigide e non mi fidavo troppo del mio stomaco. Lo stomaco era un’incognita avendo notato il malessere degli altri causa l’escursione termica, meglio camminare spediti.
All’ultima ora, essendo ormai sicura di aver raggiunto l’obiettivo cedetti nuovamente, il caldo eccessivo ricominciava a farsi sentire, seduta all’ombra guardavo gli altri girare. Fine gara, alle ore 10.30.
Sono contenta in ogni caso di non aver mollato: eppure, una tiratina d’orecchi io me la darei, perchè senza cedimenti avrei senz’altro fatto 5-8 km in più... Pazienza, sarà per la prossima!
Dopo Gara. Un lato curioso che ho realizzato solamente nei giorni immediatamente successivi. NIENTE CRAMPI. Dopo la Maratona dell’Acqua [Vai al link per leggere il suo racconto], ebbi crampi da strapparmi le lacrime. Analizzando il tutto sono giunta ad una conclusione: ho preso una dose massiccia di succo di limone. Nei giorni precedenti la gara avevo acquistato una retina di limoni e, nel timore che alcuni andassero a male, mi feci una piccola bottiglietta di succo. In altre gare non l’avevo mai fatto e ti assicuro che più sudavo più crampi dolorosi avevo e soprattutto durante il viaggio di ritorno in treno o la prima notte a casa.
Questa volta proprio niente.
scrivi un commento …