Anche SuperElena Cifali ha partecipato alla Maratona "alla Fidippide" (6^ edizione) che si è svolta lo scorso 11 agosto 2013. Questa è stata la sua prima partecipazione: avrebbe voluta correrla anche l'anno scorso, alla sua 5^ edizione, ma per una serie di contrattempi e di incombenze nella vita quotidiana ha dovuto rinunciare. Ma si è rifatta quest'anno!
Ed ecco il suo atteso racconto che, ogni volta, con le sue note introspettive arriva per tutti noi come un bel regalo.
Come preambolo ed introduzione, riporto le parole di accompagnamento all'articolo da parte della stessa Elena: "Questo mio racconto è interamente dedicato a due persone speciali: Elio Sortino e Mimmo Causarano. Instancabili organizzatori di gare ed eventi nel ragusano. Sono due ragazzi che hanno fatto della loro passione un momento di aggregazione e condivisione con gli altri, due persone generose ed altruistiche alle quali nulla importa di trarre guadagno e profitto dalle manifestazioni che mettono in piedi con pochissimi aiuti e tantissimi sacrifici, pronti a sfidare burocrazia e istituzioni che sempre più spesso sono il freno autentico delle gare che tentano di mettere in essere.
Se ci fossero più 'Elii" e "Mimmi” vivremmo sicuramente in un mondo migliore.
Uno dei miei obiettivi? Aiutarli – nel mio piccolo e come posso – in questa loro missione!
( Elena Cifali) La strada tutta in discesa mi condurrà lentamente fino alla spiaggia di Punta Secca. Insieme a me alcuni, tra uomini e donne. Il mio viso ancora assonnato, i miei occhi fanno fatica a sopportare la luce delle lampade, i miei pensieri sono ancora intorpiditi.
La sveglia è suonata troppo presto stamani: è ancora buio pesto, la notte la fa da padrona. Allaccio le scarpe con cura e mi ripeto le ultime frasi incoraggianti, supplicandomi di non darmi della pazza.
Qui è tutto spartano oggi: nessun gonfiabile, nessun chip, nessuno ai bordi della strada a fare il tifo.
Oggi ognuno di noi sarà solo un piccolo uomo che sfiderà se stesso in questa lunga corsa che durerà oltre 42 km.
Siamo tutti figli di questa lunga notte e uno dietro l’altro come laboriose formichine ci mettiamo a correre in un silenzio surreale.
Il buio mi avvolge, mi tiene stretta a sé, mi sento come incartata in un involucro nero.
Ascolto il rumore dei miei passi: sempre identico, cadenzato, felpato.
A rompere il silenzio della campagna è l’abbaiare dei cani che, disturbati dal nostro passaggio, si avventano contro i cancelli delle case.
Sono ancora le 5 del mattino, l’aria fresca mi accarezza il volto, le braccia, le gambe.
E’ confortante pensare che, tra non molto, sarà di nuovo giorno. I miei primi chilometri li sento pesanti: la cena abbondante della sera precedente e la ricca colazione non vogliono proprio andare giù.
Ad ogni passo sento qualcosa che si muove nello stomaco, a farmi digerire è quel miracoloso bicchiere d’acqua che trovo sul muretto a secco.
Finalmente mi libero di quel peso, supero la fase di riscaldamento ed inizio a sentirmi bene. Adesso tutto diventa più chiaro.
Guardo quel timido sole che sorge alla mia sinistra.
Ci siamo quasi! Tra non molto tutto si inonderà di luce, di vita, di gioia.
“Si accenda il sole, si spengano le stelle!” Io che non amo la notte, che sono un “animale diurno” provo sollievo nel riuscire a guardare cosa si presenta davanti a me. E davanti a me vedo il magnifico paesaggio ibleo che si accende piano piano.
La frescura lascia spazio al tepore del giorno, le prime gocce di sudore iniziano a scendermi lungo il viso, gli abiti si appiccicano al corpo.
E’ iniziata la fatica. Le mie gambe sono ancora stanche dopo l’impegno dell’Etna Trail di soli sette giorni fa.
Quando decisi di partecipare a questa insolita maratona, senza cronometro, senza satellitare, senza riferimenti chilometrici, senza integratori lo feci per sfida nei confronti di me stessa.
Pensando che avrei dovuto almeno provarci.
Ma, adesso che sono qui, che il mio corpo è in movimento continuo a ripetermi “Ehi, Elena, tu non provi! Tu riesci!”
Ho sempre pensato che tutto quello che si fa, che si dona agli altri e a se stessi prima o poi tornerà indietro.
Oggi sto donando questa fatica a me stessa.
Sto cercando di dimostrare a me stessa che molti dei limiti che mi impongo sono solo mentali e non fisici.
Un piede avanti all’altro, respiro dopo respiro, sudore su sudore.
Finalmente mi scarcero dal mio corpo e, in un assoluto mutismo, libero il mio pensiero.
Libero la mia immaginazione, permettendole di nutrirsi di questo sole che da timido e pallido è diventato intraprendente, invadente, infuocato.
La giornata è rovente e a nulla serve il cappellino che mi copre la testa.
Fuggo dal caldo cercando riparo all’ombra di quei muretti che trovo lungo tutto il percorso. I rifornimenti sono sporadici, disposti senza una regola.
Trovo acqua e frutta, con i quali mi disseto e mi sazio e, ogni tanto, mi chiedo a quale chilometro sarò giunta.
Ma le mie domande rimarranno senza risposta. Non una chiesa, un campanile, un’insegna dove poter guardare l’ora e capire a che punto sono del mio cammino.
Io e l’amico Salvo procediamo a passo lento e costante, fianco a fianco, gomito a gomito.
Quando sotto le nostre scarpe troviamo la brulla terra e le pietre bianche inizio a lamentarmi.
Le ginocchia e le piante dei piedi mi fanno male: non ho ancora recuperato la fatica sull’Etna e queste ulteriori sollecitazioni mi mettono a disagio.
So per certo che il tratto sarà lungo meno di un paio di chilometri, stringo i denti e a tratti cammino, cercando di annullare ogni pensiero.
La mia mente costruisce la sua casa in ogni buco di quei muretti: qui, tutto è vero, autentico, originale e la campagna è sempre identica.
Il nero della notte si è trasformato in azzurro.
Le foglie dei nodosi carrubi sono coperte di polvere bianca.
Un gregge di pecore ci taglia dapprima la strada, poi spaventato dal nostro intercedere ci apre un varco dentro il quale passiamo.
I miei ricordi diventano gomitoli di lana da srotolare.
Ci fu un tempo, quando ero bambina che il nonno e la nonna portavano me e mio fratello in riva al lago Biviere.
Ci divertivamo a raccogliere piccoli pezzi di queste pietre bianche per disegnare sull’asfalto, succhiavamo le carrube ormai asciutte nel mese di agosto e ci divertivamo ad accarezzare gli agnelli della vicina fattoria.
Tutto era semplice, genuino ed autentico in quel tempo.
Il nonno era un uomo forte, colto, puntiglioso ed infinitamente amorevole.
La nonna una donna semplice, testarda e di grande carattere. Oggi lui non c’è più e lei, vicina al secolo di vita, ormai diventata fragile come un petalo di rosa, mi accarezza le mani e mi chiede se mi ricordo delle gite al lago, mentre io torno ad essere quel morbido batuffolo che ero da bimba. “Certo che mi ricordo nonna” - ma mentre le rispondo il suo sguardo vaga nel nulla, come se non mi ascoltasse. Poi, come se si svegliasse dopo un lungo sonno mi chiede “Hai corso oggi Elenuccia? Hai vinto? Sei arrivata prima?”. Le rispondo sempre alla stessa maniera: “Si nonna, ho corso, sono arrivata prima”. Non le mento dicendole queste cose: sono arrivata prima: davanti a tutti coloro che non hanno avuto il coraggio di partecipare, ho vinto le mie paure, le mie ansie, le mie difficoltà. Ho battuto quel nemico che si chiama “rinuncia”.
Oggi con uno di quei piccoli pezzi di pietra bianca potrei scrivere il racconto della mia vita lungo i muretti a secco che mi porteranno dritti alla meta.
Ho sempre pensato che ognuno di noi ha un padre ed una madre, ma è figlio di chi non lo ha mai abbandonato, di chi ha lottato per farlo diventare donna, di chi ha sacrificato se stesso per amore.
Mentre questi pensieri si affollano silenziosi, qualcuno ad un ristoro mi dice che ormai manca poco alla fine. “Come manca poco!?” - esclamo sorpresa.
Avrebbero fatto meglio a non dirmi nulla.
Da questo momento in poi mi sento stanca.
“Caspita che brutti scherzi fa la mente!”.
Sarei potuta andare avanti come un treno divorando chilometri su chilometri avvolta in me stessa e nella mia fatica. Ma adesso che so a che punto della gara sono tutto diventa più difficile.
Alzo lo sguardo quasi per caso e vedo il display di una farmacia: 35° dice - “Fa caldissimo! Devo sbrigarmi ad arrivare, altrimenti di me non resterà che il solo sudore”.
Un ginocchio inizia a farmi male seriamente, devo centellinare le forze e le energie.
L’ultimo ristoro, attrezzatissimo con tanta frutta ed acqua fresca, é posto sotto un enorme albero di ulivo, e a gestirlo c'è un’intera famiglia di gente adulta, fiera delle proprie origini. Avendo saputo che mi diletto a scrivere racconti sulle corse che faccio, mi chiedono di essere citati: ecco, sono la famiglia Tumino. Sono delle persone splendide, gentili e garbate: Dio solo sa quanto mi sarebbe piaciuto restare li all’ombra a farmi coccolare e farmi raccontare di splendide storie iblee.
Ma io ho una missione: arrivare a Punta Secca. Li saluto e rimetto in moto le gambe, so che ormai manca davvero poco.
Adesso vicino a me corre un runner vestito d’azzurro, il nostro passo è identico, ed entrambi fatichiamo ad arrivare: sappiamo che manca poco e ci decidiamo ad accelerare.
Ancora qualche curva ed ecco che il profumo del mare, fino a poco tempo fa appena percettibile, adesso diventa sempre più forte.
Sento l’infrangersi delle onde: ed ecco che posso vederlo!
Davanti a me solo il cielo, il mare, e la sabbia. Gli ultimi metri sono davvero emozionanti, calpesto la morbida sabbia e ci sprofondo dentro. Il profumo dello iodio riempie miei polmoni, l’azzurro i miei occhi, l’amore il mio cuore.
Di questo inatteso runner che ha fatto con me l'ultimo tratto di strada sconosco persino il nome, ma tagliamo il traguardo mano nella mano, con le braccia sollevate in un trionfo di gioia ed emozioni: e, ancora una volta; la corsa ha unito.
Mi sforzo, come in altre occasioni, e capisco che le persone giungono sempre al momento giusto nei momenti e nei luoghi dove sono attese.
Si dice che solo i matti parlino da soli.
Bene, io oggi ho parlato con la notte, col sole, con le stelle, coi ricordi, con Filippide e col mare.
Non credo di essere matta, ma sicuramente sono follemente innamorata della corsa.
Ed ecco i miei ringraziamenti.
Grazie all'amico Claudio Chines per le splendide foto.
All'amico Salvo per aver diviso e condiviso tanti chilometri insieme a me.
Alla Famiglia Tumino per la gentilezza e la cortesia dimostrata all'ultimo ristoro.
Agli insuperabili Elio Sortino e "Mimmo" Guglielmo Causarano per l'ottima organizzazione della gara.
A Michele D'Errico e Vincenzo Pecunia per le risate.
A Eleonora Suizzo e Marilisa Fiorino per l'affetto dimostratomi.
Al runner che insieme a me ha tagliato il traguardo, stringendomi la mano e a tutti coloro che insieme a me hanno condiviso anche un solo minuto di questa splendida nottata/mattinata!
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