(Elena Cifali) Abbasso lo sguardo e guardo le scarpe mentre corro ancora. Il piede sinistro mi fa un gran male, anzi mi brucia tremendamente, la vescica che si era creata 20 km fa è scoppiata. La scarpe mi si riempie di sangue da far impressione. Si avvicina un uomo in vespa, è un volontario. Mi chiede se va tutto bene. “No che non va tutto bene, ma ormai mancano 7 km ed io arriverò al traguardo”. Io e lui ci conosciamo già da molto tempo, un gesto di intesa e lo vedo allontanarsi via sulle due ruote, lo invidio anche un po’, ma so che oggi ho una missione da compiere. Nella mia testa succede di tutto, i pensieri si affollano e si rincorrono. Come in un quadro astratto, ad occhi aperti rivedo me stessa lo scorso anno, quando tante cose dovevano ancora accedere. Sento lo stesso profumo, guardo le stesse luci, odo le stesse voci. Cerco di anestetizzare il dolore al piede, inizio a fare un’analisi della mia gara: ho iniziato benissimo in compagnia di alcuni amici e del fidato Enzo. Io e lui ci alleniamo costantemente ed insieme, la nostra amicizia è legata da stima ed affetto reciproco che sono sicura ci porteranno molto lontano. Insieme abbiamo molti progetti, alcuni davvero ambiziosi e quando ci sediamo al tavolo della scrivania nel suo Studio sembriamo due bambini monelli, con gli occhi lucidi di felicità al solo pensiero di ciò che andremo a compiere. Ho lasciato che Enzo andasse via al 25 km, il mio piede non mi permetteva di spingere come volevo e rallentare anche lui sarebbe stato inutile. Due amici come noi, che hanno una così grande sintonia, non hanno bisogno di troppe parole per spiegare cosa sta accadendo. Lo vedo allontanarsi e d’improvviso mi ritrovo ad osservare il mondo davanti a me sotto forma di strada solitaria. E’ un lungo Cammino quello che ho intrapreso: è come arrivare in cima alla montagna e scoprire che puoi ancora salire, che hai ancora forza a sufficienza. Per dirla al contrario è come quando tocchi il fondo e continui ancora a scavare perché è molto più che troverai ciò che stai cercando. Il maratoneta nasce dopo il 30 km così come l’ultramaratoneta nasce dopo il 70 km. Per sopportare il dolore inizio a fare il conto alla rovescia: “6 km, 5km, 4km, adesso c’è la discesa …. Forza Elena, ormai sei quasi arrivata, sorridi e vai avanti”. Ma il sorriso stenta ad arrivare, una smorfia di dolore mi si stampa in volto ed intanto gocce di sangue schizzano via dalla scarpa ogni volta che la batto sull’asfalto. Sono attimi difficili questi in cui è facile perdersi d’animo, in questi momenti si distingue il maratoneta, torna a galla la donna capace di affrontare e superare le lunghissime distanze superando tutte le avversità che le si parano davanti, senza trascurare il proprio corpo e sapendo scegliere la giusta soluzione. La mia capacità di affrontare e superare le difficoltà è allenata più di me: alleggerisco il momento ripetendomi che presto finirà, ancora 30 minuti e tutto sarà finito. Sento addosso la mano di chi mi guida anche questa volta e divento forte e capace. Questa è la parte più romantica della maratona, la fase della sofferenza, quando inizio a dare un senso al tempo senza misurarlo. Nel corso degli anni ho imparato a rendere la fatica un immenso piacere, uno stato mentale che annebbia ogni pensiero. L’esercizio è sempre lo stesso, puntare un runner avanti a me e cercare di raggiungerlo per poi superarlo. E nel frattempo ricordarmi chi sono, motivarmi, lodarmi, ergermi al di sopra dei fatti e degli eventi, guardarmi dal di fuori e scoprire ogni volta una donna capace e determinata. Come un treno tiro dritto, abile nell’affrontare ogni avversità, ogni difficoltà, investo e schiaccio senza pietà pur di arrivare alla meta. “Forza, ce la fai, l’ultimo chilometro tutto in salita, non sarà quello a fermarti, tu sei SuperElena, ce la puoi fare, non mollare adesso, non camminare, sii orgogliosa”. Il dolore è così acuto che mi sento mancare, soffro ed urlo ma ormai sento le voci delle persone all’arrivo, l’ultima salita spacca gambe. Ecco, ci sono, passo sul tappeto verde ridendo ed applaudendo, adesso sono felice, ho resistito al dolore, alla fatica, ho lavorato dentro di me per rendermi più forte e sicuramente migliore. Fiera ed orgogliosa sono riuscita a completare anche questa maratona con lo stesso tempo dello scorso anno. Tanti amici mi aspettano, con gli occhi cerco qualcuno che mi sta a cuore, lo vedo, ci sdraiamo per terra felici e sereni come bimbi. Tutte le volte che corro imparo qualcosa che poi mi servirà per la corsa successiva e mi servirà soprattutto nell’affrontare la vita di tutti i giorni. Ho imparato che non esiste nulla che non si può superare, che le persone ci stanno accanto finchè possono farlo e finchè è giusto che lo facciano. Ho imparato che dopo il dolore arriva sempre il piacere. Ho imparato che bisogna entrare nel grigio di un foglio vuoto e nell’azzurro delle sue righe per scrivere la propria storia. Solo noi possiamo farlo, ognuno per se stesso, senza aspettarci nulla da nessuno, solo così non deluderemo le nostre aspettative. Ho imparato che agli amici non importa se hai vinto o perso, loro aspettano solo il tuo arrivo.