(Maurizio Crispi) Il libro di Marco Olmo e di Gaia De Pascale, Il corridore. Storia di una vita riscattata dallo sport (Ponte alle Grazie, 2012), contiene l'appassionante racconto in prima persona della vita di Marco Olmo. Da un certo punta di vista, si pone in continuità con il volume di Franco Faggiani, frutto di una serie di interviste fatte a Marco Olmo, durante un intero anno di corsa e di vita, e scritto e pubblicato quasi in sovrapposizione alle riprese del bel documentario (pure uscito nel 2008) di Paolo Casalis e Stefano Scarafia che venne presentato nel settembre di quell'anno a Chamonix in occasione di The North Face®Ultra-Trail du Mont-Blanc®, con il titolo "The Runner - Il Corridore". Il volume di Faggiani, che si intitola "Correre é un po' volare. Conversazioni con Marco Olmo", è stato - come riconosce Gaia De Pascali nei doverosi ringraziamenti a fine volume, un prezioso punto di partenza.
Questo scrissi a suo tempo in una breve presentazione del volume di Faggiani sul sito della IUTA.
Un uomo normale che fa cose straordinarie. Questa la definizione più calzante di Marco Olmo, l’ultramaratoneta piemontese che a 61 anni continua a salire sul podio delle più prestigiose gare internazionali. Quelle che attraversano montagne e deserti, quelle che impongono terreni, dislivelli e temperature impressionanti. Per gli specialisti dell’ultra trial Marco Olmo è un autentico mito, anche se a lui questa definizione non piace. Un mito - prima ancora che per i suoi risultati decisamente eclatanti - per il suo coraggio, la sua tenacia, le sue caratteristiche atletiche e soprattutto umane.
Per la prima volta in assoluto Marco Olmo si racconta, dopo aver esplorato i cassetti intimi della memoria e della sua vita molto riservata.
Un libro scritto con toni vivaci, frutto di una serie di conversazioni fatte camminando per i sentieri nei boschi, seduti nel giardino di casa e a margine delle competizioni più importanti.
Tre i capitoli per un totale di 158 pagine: l’uomo, la preparazione, l’azione. Una sezione centrale è occupata da fotografie inedite e spesso insolite. Il testo si presenta in forma di intervista, in cui affiorano a ritmo incalzante sensazioni, ricordi, consigli, timori, curiosità, piccoli colpi di scena.
Ma questo libro che mi auguro tutti i runner (e non solo quelli) dovrebbero provare a leggere c'è molto di più. Si scava più in profondità e viene fuori un Marco Olmo, che assume quasi i contorni di un personaggio hemingwaiano (ma ho in mente specialmente Santiago, il fiero protagonista del breve, fulminante, romanzo "Il Vecchio e il Mare"). Infatti, nella storia che in quest'opera abbiamo il piacere di leggere si definisce e si circostanzia ancora meglio il concetto della corsa come "occasione di riscatto" che nell'opera di Faggiani già compariva, senza che peraltro ciò che vi stava dietro venisse approfondito perchè Faggiani mirava soprattutto a presentare lo sportivo.
La storia di Marco Olmo si legge bene, appassiona: soprattutto nel modo in cui si delinea il lento percorso di avvicinamento che, attraverso esperienze diverse e molti sogni, lo ha portato ad intraprendere l'umile fatica del corridore sulla lunghe distanze, quasi mai sull'asfalto, soprattutto tra le montagne e su per esse sino al cielo e nei deserti, sino a farlo diventare un "faticatore del cielo, dei monti e delle sabbie", ma sempre umile e modesto.
Presto divenuto, uno dei numero uno dell'ultratrail di alcuni anni fa, ma quasi per caso, senza aver mai desiderato con forza spasmodica: i risultati per lui sono arrivati così, quasi naturalmente e per giunta ad un'età di inizio del running non più giovanissima, ma sempre in applicazione della sua caparbietà, mai disgiunta da un atteggiamento prudente senza sconfinamenti nel superominismo.
Marco Olmo ha scritto delle belle - bellissime - pagine nella storia dell'ultratrail, ma sempre con una immancabile nota di malinconia a condire le sue vittorie e i suoi momenti più fulgidi e con la lucida consapevolezza che tutto finisce e che i successi che si collezionano sono destinati a rimanere soltanto nel ricordo (e nei trofei collezionati) e che dopo aver tagliato l'ultimo traguardo da vincente (che riscatta vincendo la sua condizione di perdente), potrebbe anche non esserci un altro traguardo da poter tagliare in pole position o addirittura da poter tagliare in assoluto.
C'è dunque sempre - serpeggiante - l'idea della fine e della perdita, anche se la forza che lo ha spinto a correre è scaturita dalla necessità di sopperire a quel senso di perdita e al desiderio di poter concretizzare in qualche modo i propri sogni: arrivare quasi a toccare il cielo salendo in vetta alle montagne impervie, essere inebriato dall'orizzonte luminoso dei deserti, accettare le sfide più difficoltose delle più impegnative gare in natura, con determinazione e con la sua "natura da mulo", un mulo che a testa bassa e con cocciutaggine tira avanti, senza cedere e senza incertezze, malinconico e pensante, pieno di cose da dire e da raccontare senza nessuno sfoggio da miles gloriosous (che oggi purtroppo contraddistingue taluni runner delle più giovani leve), ma con l'umiltà del pellegrino che tanti viaggi e tante imprese ha affrontato alla ricerca di se stesso e per incontrare anche per un solo attimo i suoi sogni più radiosi.
Il libro che è scaturito dalla fatica congiunta di Marco Olmo (nella parte del narratore) e di Gaia De Pascale che ha orientato il discorso sulle tematiche più interessanti, ha ricevuto mentre era in fieri, il contributo in termini di preziosi consigli (che hanno consentito proficue correzioni di rotta) da parte di amici runner e non, quali Luisa Balsamo, Andrea Martini, Simone Regazzoni, Dario Viale.
E' un libro imperdibile per chi ama la corsa sulle lunghe distanze e l'Ultratrail, ma anche il tema delle sfide con se stesso.
Molti dei pensieri espressi da Marco Olmo meriterebbero una citazione testuale tanto sono profondi. Ma é ben difficile fare una scelta di quelli da citare: nelcorso della lettura,prima di scrivere questa recensione, avevo preso a segnarne alcuni che ritenevo idoneo per una citazione testuale, ma poi poi mi sono reso conto che così procedendo avrei segnato tutto il libro e ho lasciato perdere, limitandomi soltanto a fare delle piccole annotazioni qua e là per la mia memoria personale. E, quindi, è bene lasciare che ciascuno trovi nel suo racconto i suoi stimoli alla riflessione e i punti di contatto con quella che nella sua semplice verità é un'esperienza di vita universale.
La storia di Marco Olmo è talmente emblematica che Gaia de Pascale ha dedicato a lui, quasi un intero capitolo (e uno dei primi) della sua successiva opera sulla corsa e sul correre, Correre è una filosofia. Perché si corre (Ponte alle Grazie, 2014).
(Dal risguardo di copertina) All'inizio di questo racconto c'è un uomo che si guarda allo specchio e si chiede: "Sono davvero io quel vecchio lì?" Il suo corpo non nasconde affatto il peso dei suoi sessantatré anni. Nessuno direbbe mai che ha la stoffa del campione. Del vincitore che non ti aspetti. E non in uno sport qualunque, ma nell'ultra trail, una disciplina estrema che significa decine, centinaia di chilometri di corsa sui terreni e nei climi più impervi, sulle Alpi o nei deserti. Marco Olmo è stato boscaiolo e camionista, infine operaio per ventun anni in una grande cementeria della provincia piemontese. Poi, all'improvviso, è iniziata la sua straordinaria avventura di corridore.
Apparentemente un po' tardi per la sua età. Ma Olmo viene dal "mondo dei vinti", dal mondo delle montagne sconfitto dalla civiltà industriale. La sua traiettoria è ben di più di un eccezionale exploit sportivo, è un'occasione unica di riscatto, una vittoria profondamente umana. È da lì che il corridore distilla, misura lentamente la sua forza. Marco Olmo si guarda allo specchio, si conta le rughe. "Quel vecchio lì", magro e capace di sopportare fatiche immani, non ha intenzione di fermarsi, e già immagina la prossima gara. "Conosco il mio corpo, e so dove mi può portare. Lontano"