Elena Cifali, a Messina, il 29 aprile 2012, ha corso la sua ennesima maratona, ma nel novero delle imprese podistiche di quest'anno ci sono anche mezze maratone e gare trail. Elena arriva sul posto della gara sempre accompagnata dal marito Ezio e dal figlio Luca. Loro due sono il "team" di Elena, i primi supporter e tifosi della sua performance. La salutano e la fotografano in partenza e sono lì ad attenderla all'arrivo e i primi ad incitarla e a correrle incontro (o accanto) quando la vedono arrivare.
Adesso, Ezio e Luca hanno anche una bici e, in sella ai loro trabbicoli, possono seguire Elena per parte della gare. Così, soprattutto per Luca all'orgoglio di constatare che ha il privilegio di avere una "mamma volante" si aggiungono il piacere e il divertimento di andare in bici.
Ogni partecipazione ad una maratona della mamma diventa così per Luca festa e divertimento, oltre che motivo di più che giustificato orgoglio filiale.
Divertimento e piacevolezza sono assicurati, specie se a tutto questo si aggiunge un finale con un bel picnic all'ombra di grandi alberi al termine della gara.
Il racconto di Elena come sempre ci dà un'idea efficace di tutto quello che è la corsa agonistica amatoriale, al di là della sua semplice definizione di gesto atletico performante: incontri che si compongono e poi si dissolvono (che sempre arrichiscono e rinvigoriscono lo spirito debilitato), caledoiscopio di pensieri ed emozioni, frotte di ricordi che emergono e transitano come nuvole nel panorama della mente. E oltre a tutto ciò - soprattutto - il volgere la mente a ciò che ci rende felici, come solo può esserlo pensare al proprio figlio, sia un modo per cospargere la propria prestazione in momentanea crisi di "polvere di stelle" che ci rimette le ali ai piedi e che ci fa volare in alto.
(Elena Cifali) Ci sono mamme apprensive all’inverosimile, che si preoccupano di tutto e tutti, che vedono pericoli in ogni dove, che assillano i figli per ogni cosa, che li rendono insicuri e tragicamente complessati.
E poi ci sono mamme come me che buttano giù dal letto il proprio pargolo alle 5 del mattino e si fanno seguire sino a Messina per l’ennesima maratona dell’anno.
Domenica mattina, la giornata è calda fin dalle prime ore.
Messina è splendida. Il sole è nascosto dalle nubi, ma non tarderà a splendere alto in cielo. Prima della partenza incontro gli amici di sempre, saluti, baci, abbracci, foto e nel giro di poco ci ritroviamo tutti dietro la linea di partenza.
Il via tarda ad arrivare e “l’odore dell’adrenalina” è forte nell’aria.
Ecco, ci siamo. Ancora una volta, si parte! Emozionani che, come ogni volta, si rinnovano, nuove e sempre diverse...
Inizio a godermi il panorama, il mare, i gabbiani, il sole, tutto qui mi parla d’estate, di vacanze, di traghetti. Quante volte ho viaggiato su e giù sui vecchi traghetti che portano in “continente”, quante volte mi sono risvegliata sul sedile posteriore della FIAT 127 del nonno, quel sedile, abilmente trasformato in lettino era quanto di più comodo potessi mai desiderare.
Io e mio fratello dormivamo come ghiri durante quasi tutto il viaggio che ci portava da Gela a Como per andare a trovare i miei genitori. Quando si arrivava a Messina il risveglio era quasi obbligatorio, il dolce cullare dell’automobile veniva interrotto dal rumore e dall’odore del traghetto.
Messina è sempre la stessa città di allora ed anche i pescatori mi sembrano quelli di tanti anni fa, come se per loro il tempo non fosse mai trascorso, come se per tutti questi lunghissimi anni loro fossero rimasti fermi immobili nell’attesa che quel pesce abboccasse.
Ma oggi ad abboccare, anzi, a boccheggiare sono io.
Il caldo mi leva il respiro, approfitto degli spugnaggi per rinfrescare il viso, le braccia, bevo di continuo, ma è come se mi stessi cuocendo.
Durante i primi chilometri incontriamo tanti amici e per la prima volta anche l’amico Claudio, alla sua prima maratona, emozionato come una giovane matricola al primo esame universitario. Esame che ha superato con un bel 30 e lode. I chilometri scorrono veloci e siamo già arrivati a completare il primo giro, ecco la mezza è fatta (e non è andata neppure tanto male), adesso non resta che l’altra metà dell’opera e poi tutti a casa per il meritato riposo.
Salvo mi rimane accanto, mi conforta come sempre, vorrei riuscire a correre tutti e 42 km insieme a lui, ma al 25° km il mio passo diventa pesante, rallento di colpo, ho come la sensazione che qualcuno mi abbia messo una coperta addosso. Ho caldo, anzi caldissimo, Francesco che fino a questo momento era rimasto sempre con noi rallenta più di me anche lui, vittima dell’alta temperatura.
Incito Salvo a lasciarmi, a fare il suo passo, starmi dietro è una sofferenza che gli voglio risparmiare. "Vai tranquillo, ho tutto quello che mi serve e me la so cavare!", gli dico, salutandolo affettuosamente. Che grande amico!
Benissimo, d'ora in poi sono sola e prendo a cercare dentro di me dei pensieri che mi facciano dimenticare la fatica.
D’improvviso vedo alla mia destra il runner e ultramaratoneta Salvo Piccione (con il quale abbiamo corso qualche maratona insieme senza conoscerci) che ci aveva salutati e superati con passo allegro qualche chilometro prima. Vederlo all’ombra, che cammina mi fa una certa impressione. Lo affianco, gli chiedo cosa sia successo e lo incito a seguirmi, non lo perdo di vista, rallento per dargli la possibilità di raggiungermi e, così, fianco a fianco percorriamo parecchi chilometri. Iniziamo a raccontarci, ci presentiamo e in lui scopro nel giro di pochissimo una eccezionale persona, un ultrarunner alla sua 81^ maratona: “Che onore!”. Mi racconta delle sue imprese, del suo Passatore, di alcune altre maratone. Lo ascolto come se mi stesse raccontando delle splendide fiabe ed intanto anche il Lago di Ganzirri è superato.
Adesso quella che va in crisi sono io.
Lo guardo allontanarsi, lui s'è rianimato e io sono felice ed orgogliosa d’aver dato un piccolissimo contributo alla sua ripresa.
Intanto, il caldo è aumentato (o almeno ne ho la sensazione), mi immergerei volentieri nelle grandi bagnine messe a disposizione per gli spugnaggi, soffro per la mancanza di solidi ai ristori e rimedio con le solite bustine di zucchero che ho portato da casa. Il buon senso comanderebbe di fermarsi, di non umiliare il corpo, ma quando mai il buon senso ha avuto la meglio sul mio orgoglio ?
Eppure anche Vasco Rossi cantava “L’orgoglio: ne ha uccisi più lui che il petrolio”.
No! Non mi fermo ... non fermarsi è quasi un imperativo categorico, e chi se ne frega se non farò il tempo, non sono nata per vincere le maratone – lo so perfettamente – ma non sono neppure una perdente!
Perde a priori chi non osa, chi parla senza sapere cosa dice, chi corre senza osare. Io oso, corro ed arriverò!
Così metto in atto in atto una serie di meccanismi.
Penso alla mia forza di volontà ed inizio a pensare che quello che sto facendo sia la cosa più importante della mia vita. Nel frattempo, un altro runner mi affianca, mi sembra un angelo biondo, vestito di verde, non parla la mia lingua ma superandomi si gira verso di me, mi guarda negli occhi e mi fa un cenno con la mano, una sola parola: “GO!”. Mi da la giusta carica, lo seguo e gli sto dietro per un chilometro, ma ad un tratto vedo allontanarsi anche lui...
Sono al 39° km, ho quasi terminato questa fatica, mi raggiungono altri 2 runner con i quali ho corso l’ecotrail della Contea di Butera, ricomincio a correre con loro, parliamo della frase scritta sulla mia maglietta e di Butera (gran bella gara), non li mollerò più fino al traguardo che ormai è vicinissimo.
A testa bassa, non voglio più pensare a nulla, voglio solo arrivare, mi fanno male i piedi e sarei curiosa di sapere cosa pensano le mie scarpe al termine di queste 4 ore e 22 minuti. Sono completamente assente, non mi sto più ad ascoltare perchè sto attraversando una crisi fortissima, ma ancora una volta un angelo si affaccia sul mio cammino e questa volta ha le sembianze del mio amico Claudio Chines (che ha finito la maratona 40 minuti fa), mi chiama, mi fotografa e mi si affianca, mi incita mi incoraggia e mi accompagna all’ingresso della fiera: “Forza, forza, sei stata bravissima, manca pochissimo, Luca ti sta aspettando...”.
Ricordo quelle parole e il sentire nominare mio figlio mi da la carica e l’energia di cui avevo bisogno per completare questa meravigliosa avventura.
Ti amo! Sono queste le parole che spesso ripeto a mio figlio Luca.
Lo amo e non potrebbe essere altrimenti, è la mia parte migliore, quella più giovane, più spensierata, più divertente, più chiacchierona, più in forma. E’ senza dubbio il mio grande amore: LUI sono IO!
Chi mi conosce sa che non sono una mamma apprensiva, tutt’altro, sa che per certi aspetti sono piuttosto distratta e che do poca importanza a questioni che per altre mamme sono di vitale importanza. Ma da quando corro spesso il mio pensiero durante la fase della fatica è rivolto a lui.
Eccolo, lo vedo, mi sta aspettando, mi sorride, anzi ride, mi prende la mano ed insieme tagliamo il traguardo.
Un’emozione che ripaga di tutta la fatica, di tutto lo stress subito, un’emozione che almeno una volta nella vita tutte le mamme dovrebbero provare.
Grazie amore, grazie di esserci e di amarmi per quella che sono, per dirla come dice lui “pazzesca”.