Si è svolta lo scorso 21 aprile 2013, la 6^ edizione della Messina Marathon che in questa edizione anzichè sui classici due giri da 21,097 km si è svolta su 4 giri da 10,500 km circa.
Vi ha partecipato Elena Cifali che ci ha inoltrato il suo racconto.
Eccolo.
(Elena Cifali) La corsa che emoziona. La corsa regala emozioni: questo semplice (ma non scontato) assioma l’ho capito già dalla prima volta che ho allacciato le scarpette, ed oggi alla Maratona di Messina ne ho avuto conferma.
Mi trovo al 17° km circa, sto correndo gomito a gomito col mio caro amico Salvo Piccione, quando lo vedo staccarsi da me e rallentare, subito capisco: in senso contrario sta arrivando sua moglie Carla – anche lei sta correndo e partecipa alla maratonina -; lui le va incontro, arresta la sua corsa, le prende il viso tra le mani e la bacia urlando come un adolescente al suo primo amore: “Eccola, il mio fiorellino”.
Questo gesto, questa frase mi colpiscono tanto e decido di pensarci e rifletterci nel momento in cui verrà la crisi.
Già la crisi: quel dolcissimo momento che aspetto ad ogni gara e che dovrò affrontare giudiziosamente.
Metto da parte un paio di pensieri da analizzare in quel momento.
Intanto la gara procede, i chilometri scorrono senza troppa fatica, io e Salvo stiamo per concludere anche il secondo dei quattro giri da 10,500 km. La gara va amministrata bene anche dal punto di vista psicologico, non è semplice correre in un tale circuito, che è un bel po’ monotono e senza slanci, senza tifo, senza stimoli.
Mi accorgo che ai tavoli di ristori mancano i cibi solidi ed i sali, e si trova solo ed esclusivamente acqua. Ma come si fa ad organizzare una maratona e pretendere che gli atleti non mangino nulla?
Certo i maratoneti “di professione” portano sempre con se barrette energetiche e diavolerie varie, ma l’opportunità di nutrirmi in maniera naturale ed a spese dell’organizzazione la pretendo.
La cosa mi innervosisce, ho portato con me delle pastiglie energetiche, ma già alla terza mi viene nausea e non riesco a tollerarne il sapore. Capisco che la cosa avrà un seguito, cerco di non pensarci anche perché a impensierirmi è un dolorino pungente che sento alla milza.
Salvo si accorge del mio malessere, cerca di starmi vicino e mi parla di tanto in tanto senza mai essere troppo invadente.
Mi porto un dito davanti al naso in cenno di silenzio.
Ha capito che preferisco rimanere sola, correre con me stessa senza distrazioni.
Tra le donne mantengo la prima posizione sino al 35 km, ma sento il fiato sul collo della seconda.
Eccola, la vedo al giro di boa, solo 200 metri di distacco e mi avrà raggiunto.
Lei è più fresca di me, il suo passo regolare, il suo respiro anche.
Io sono in crisi, le mie gambe si sollevano ben poco da terra, ho assoluto bisogno di mangiare qualcosa che mi ridia un po’ di forza.
La donna mi supera e, quando lo fa è, come se mi passasse accanto una locomotiva. Sento quasi lo spostamento d’aria, tanto il suo corpo passa radente al mio.
Ho come l’impressione che voglia dirmi: “T’ho superata, non tentare di riprendermi, non ce la faresti mai".
Da brava sportiva non mi resta che incitarla ed accettare che è stata più brava di me !
Piccione che mi è stato vicino fino a questo momento mi saluta, si allontana velocemente verso il traguardo. Ormai manca poco, mi concentro, rilassandomi e cercando di pensare solo a correre.
D’incanto, non mi trovo più a Messina, su questo circuito monotono che non riesce ad emozionarmi.
D’incanto mi trovo a correre un bel trail, in un bel bosco lontano da qui.
La mia mente elabora “la salvezza”,dandomi lo spunto per salvarmi.
Ripenso a Salvo e Carla che ho visto baciarsi qualche km prima ed immagino - e sogno - di poterlo fare anche io un giorno.
Immagino di condividere gli allenamenti, le tabelle, la pista, la strada, le salite, i boschi, l’Etna col mio compagno. Immagino e sogno di tenergli la mano dietro il gonfiabile, immagino un lungo abbraccio ed un bacio prima dello sparo, immagino e sogno di sentirmi dire “In bocca al lupo, amore mio”.
Immagino e sogno, poi d’improvviso mi sveglio dal mio stato di trance.
Guardo a destra e scorgo l’ambulanza. Un infermiere in evidente soprappeso stringe un sacchetto di biscotti al cioccolato: “Lascia stare Elena, stai avendo un miraggio” mi dico sorridendo. Ed invece no, il paffuto uomo mi allunga il sacchetto. Mi gira anche la testa, chiedo una bustina di zucchero, ringrazio e corro via.
Sarà stato lo zucchero, sarà stato il biscotto, saranno stati i bei pensieri di poco prima, ma riesco a riprendere a correre.
Il passo non è sciolto ma almeno non sono costretta a camminare.
Ho promesso che non avrei camminato, ho promesso che sarei rimasta sotto le 4 ore e voglio mantenere la parola data.
Stringo i denti, la salita è finita, adesso un breve tratto di discesa e ancora l’emozione di pensarmi dentro quel bosco, a godere di un paesaggio splendido, l’esperienza di un trail dove servono non solo le gambe ma anche tanto fiato e tanta testa.
Sono una lottatrice o come dice sempre il Presidente della mia società “una gladiatrice”, devo combattere, devo finire anche quest’ultimo giro ed arrivare trionfante all’arrivo.
Ancora un passo, un passo per me, un passo per mio figlio, un passo per chi mi ama, un passo per tutti coloro che vorrebbero e non possono essere qui al mio posto ora, un passo per chi crede in me, un passo per Boston, un passo per quel bimbo che aspettava il papà … ancora un passo e, passo dopo passo, i passi finiranno anche stavolta!
Tengo d’occhio il cronometro, ormai manca poco. Testa bassa e un solo pensiero: arrivare a concludere la quarta maratona dell’anno.
Eccolo, lo vedo è il gonfiabile.
Gli amici mi aspettano e mi incitano ad allungare ma, nonostante non riesca a fare la volata finale, sono felice. Ho tenuto a bada testa, stomaco e gambe.
Sono felice e taglio il traguardo con le mani in alto consapevole che oggi sono la seconda donna a farlo. Col senso dell’umorismo che da sempre mi contraddistingue urlo felice “Basta, non farò più maratone …. Non per oggi almeno”!
Puzzo di sudore e di felicità: e ne sono fiera.
Una piccola postilla. La gioia di correre – soprattutto le lunghe distanze- è quanto di più bello la vita poteva farmi scoprire ed assaporare alla mia età. Sogno ogni giorno di poter condividere tutta la mia fatica con le persone che amo, ma mi rendo conto che non tutti amano questa attività.
Mi rendo conto che la corsa non si può imporre, non si può correre senza volerlo fortemente.
Le difficoltà, le rinunce, i sacrifici sono tanti, troppi a volte. La fatica è inimmaginabile, dolori su dolori, la testa ben salda e sforzarsi sempre di ricordare perché si fa tutto questo.
Le motivazioni sono indispensabili e non possono essere sempre le stesse.
Correre è il mio modo di mettermi in gioco, il mio modo di distinguermi.
Corro per inseguire un sogno, lotto e spero che si avveri.
Si dice che per amore si potrebbe affrontare qualsiasi difficoltà: noi maratoneti amiamo la corsa e per essa siamo disposti a sacrifici immani, a sofferenze inimmaginabili.
Solo chi corre può capire alcune situazioni, solo chi corre può concepire “l’elogio della fatica”.
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