Si è svolta lo scorso 3 marzo 2013 la 10^ edizione della Mezza Maratona della Concordia (Agrigento). A prendere parte alla Mezza Maratona sono stati circa mille atleti fra i quali circa il 20% proveniente da fuori della Sicilia. Un evento molto partecipato che tuttavia in molti degli atleti partecipanti ha lasciato qualche scontentezza e susictato polemiche, in merito soprattutto a quella che da alcuni è stata ritenuta una non eccellente qualità organizzativa.
Tra i partecipanti anche SuperElena Cifali che ci ha inviato il suo racconto.
(Elena Cifali) Marzo è appena iniziato, ma ad Agrigento i mandorli sono già in fiore, primizie di primavera.
Quando vivevo a Gela con i miei genitori partecipare alla “Festa del mandorlo in fiore” proprio ad Agrigento era una tradizione irrinunciabile, segnava l’inizio della bella stagione e trascorrere qualche ora nella città dei templi era quasi un “dovere”.
Oggi, a distanza di 25 anni mi ritrovo in questa splendida porzione della Sicilia. Un luogo caldo, baciato dal sole che oggi ha voluto essere clemente, spazzando via le piogge ed i nuvolosi dei giorni passati.
Ad accompagnarmi gli amici della mia squadra. Al volante della nostra auto l’impareggiabile Claudio Chines che ci delizia con una guida morbida e sicura, accanto a lui Gaetano e sul sedile posteriore io tra i due Salvo.
Giunti sul piazzale dinnanzi al posto della partenza l’incontro con i nuovi e vecchi amici è la parte della giornata che più mi piace e mi fa stare allegra.
Io intendo la corsa solo come divertimento, infischiandomene del cronometro e della classifica, quindi per me le persone che incontro sono spesso più importanti dei chilometri da percorrere.
Sbrigate tutte le faccende di rito, nel giro di pochi minuti, mi ritrovo dietro il gonfiabile, neppure il tempo di capire da che parte è la partenza che sento lo sparo dello start.
“Bene – penso tra me e me - oggi sono piuttosto distratta, chissà dove ho lasciato la testa!”
Le gambe si muovono in maniera autonoma, senza che io le sforzi, si posizionano una davanti all’altra, i piedi vivono di vita propria, le braccia assecondano il movimenti di tutto il resto del corpo.
Sul lungomare di San Leone, l’aria è pulita, sento l’odore salmastro del mare. Mi giro alla mia destra e lo vedo maestoso, imponente, prepotente, quieto, che luccica, qui comanda lui, col suo moto continuo, con le sue onde che sono le regine della spiaggia.
Una spiaggia importante, pulita, piatta, che ha il colore dell’oro e riflette i raggi del sole. La immagino calda, anzi rovente sotto il sole di agosto. Torno indietro nel tempo ed ho 18 anni, fresca di patente sulla mia FIAT 127 che aveva più anni di me, poiché l'avevo ereditata dal nonno. Io ed i compagni di scuola partivamo spesso per le nostre gite proprio con destinazione Agrigento, dove sostavamo ad ammirare la storia prima di tuffarci nel limpido mare a fare capriole.
La tentazione di tuffarmi è forte anche oggi: corro con gli occhi puntati sull’acqua, ricordando ed immaginando di bagnarmici alla fine della gara.
Ma, già al primo giro di boa, mi dimentico del mare ed inizio a pensare alla corsa, finalmente mi sto concentrando. “Caspita Elena, sei qui per correre, non per abbandonarti ai tuoi dolci ricordi di adolescente innamorata, alza le gambe, ed inizia a fare sul serio”.
Il “serio” non tarda ad arrivare, davanti a me si presenta una bella salita, ne avevo sentito parlare e seppure non abbia nulla a che vedere con le salite a cui sono abituata sull’Etna le porto comunque rispetto.
“Accendo le gambe” ed inizio a spingere più che posso; sentendo i polpacci ed i quadricipiti gonfiarsi ad ogni spinta, mi sento molto soddisfatta perché riesco a superare con estrema facilità una moltitudine di persone che avevo visto sfrecciare davanti a me, a fine gara ne conterò addirittura 102 tra un passaggio e l’altro.
Un buon segno, capisco che tutti gli allenamenti e tutti gli sforzi fatti negli ultimi mesi sono serviti a qualcosa.
La fronte ed il viso brillano di sudore, la fatica aumenta e con essa i miei battiti, il cuore batte forte e la respirazione si fa più pesante, ma la sensazione di conquista che mi da questa salita mi compensa di ogni fatica. Dopotutto io lo dico sempre: la fatica è momentanea, la gloria dura per sempre. E anche oggi, in questo luogo carico di storia la mia gloria si fa sentire più della fatica.
Quando sotto le mie scarpe non c’è più l’asfalto ma la nuda pietra rossa mi rendo conto di ”aver passato la soglia”, adesso sono dentro la Valle dei Templi, sto correndo accanto alla storia, sto accarezzando il passato, sto lasciando il mio sudore dove millenni addietro lo hanno lasciato migliaia di soldati. Oggi quei soldati non hanno armi, non devono difendersi da nessuno se non da se stessi.
Oggi, ognuno combatte la propria battaglia a colpi di scarpette, con gocce di sudore e barrette energetiche.
Oggi, ognuno di noi indossa una divisa colorata che è sinonimo di appartenenza ad una squadra, ad un gruppo che ha come unico scopo quello di godere della propria fatica e di raccogliere i frutti delle proprie rinunce, dei propri sacrifici.
“Forza Elena, sei dove volevi essere, non sei sola, sorridi alla vita e godi di quello che stai facendo”.
Passo dopo passo anche la salita finisce, il giro di boa e poi la discesa. Una discesa generosa che affronto con molta cautela, le pietre sul terreno sono insidiose e prendere una storta o finire col muso per terra non mi va per nulla. Qualcuno legge a voce alta la scritta sulla mia maglietta e mi chiama per nome. Non so chi siano, ma loro mi conoscono e sembra anche molto bene!
Sentirmi chiamare per nome mi da una nuova carica; adesso mi trovo sull’asfalto. Accelero toccando punte di velocità importanti per il mio passo. Anche in discesa supero alcuni runner che durante i primi chilometri di gara mi avevano distanziata, ormai non mi faccio più prendere.
Grazie a tutti i lunghi che ho fatto in allenamento negli ultimi mesi 21 km mi sembrano davvero pochi. Mi sento bene, anzi benissimo, mi faccio coraggio: ancora 4 km e sarò arrivata.
Durante l’ultima mezz’ora sono stata sempre vicina ad una grandissima atleta che stimo molto: Claudia Occhipinti.
A tratti stiamo gomito a gomito, a tratti lei allunga il passo e si posiziona davanti a me. La sua presenza è un’ottimo stimolo, non posso e non voglio mollarla.
Lei sarà la mia lepre fino alla fine.
Mi posiziono dietro di lei e la inseguo.
Passo dopo passo, goccia di sudore dopo goccia di sudore. Il mio fiato si fa pesantissimo. Claudia mi sente e non molla neppure per un attimo.
E’ una sfida a due tra due donne, due atlete che combattono contro se stesse e la loro stanchezza. Gli ultimi 2 km sono pesanti, non vedo l’ora di arrivare, ho chiesto tanto al mio fisico, soprattutto durante l’inseguimento di Claudia ed ora sento che le forze mi stanno abbandonando.
Mancano solo 500 metri, quando mi viene incontro l’amico Claudio: vederlo mi riempie di gioia perché so che è venuto per “tirarmi” proprio nel momento in cui ne ho più bisogno: “Dai, forza Elena, andiamo a prendere Claudia”.
Già, sembra un gioco di parole: Claudia, Elena, Claudio !
Ma questa donna che mi sta davanti e che sta gestendo la gara in modo superlativo allunga il passo, la vedo allontanarsi: 2, 4, 6 metri avanti a me. Il gonfiabile, il fiatone, le gambe stanche, la gloria, arriva tutto contemporaneamente in una sfida che vale una vita.
Ecco, alzo le braccia al cielo e l’arrivo è tutto per me, Claudia è passata 3 secondi prima. Bravissima.
Dopo il nostro arrivo ci complimentiamo l’una con l’altra. Siamo state l’una la sfida dell’altra ed abbiamo dimostrato di potercela fare.
Lo dico sempre io: la corsa unisce in maniera particolare ed importante. Oggi ho trovato una nuova amica, una donna che come me sfida la propria fatica in onore della propria gloria.
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