(Articolo di Maurizio Zanoni) Raffaele Brattoli è un ultrarunner che, con le sue imprese, si è conquistato un posto al sole nella galleria che ospitano i grandi personaggi dello sport di endurance "per passione".
«Sono orgoglioso di poter affermare di essere l'unico in assoluto ad aver completato i quattro grandi slam più importanti al mondo».
Ricordi di corse, l'abbattimento del limite che porta all'impresa.
È da 12 anni che Raffaele Brattoli corre ininterrottamente sul filo della resistenza umana e ogni volta si è sempre fatto trovare presente.
Ribattezzato a seconda delle competizioni Desert Man, Iron Man, Ice Man, il grande Sherpa, King of the Desert, il runner di Peschiera Borromeo, classe 1955, vanta nel medagliere personale il completamento di 71 maratone e innumerevoli competizioni estreme.
Sfide d'una vita sportiva intensa, incentrata abbastanza recentemente sulla corsa, alle quali si aggiungono i successi e le esperienze del suo lungo peregrinare in altre discipline come: nuoto, karate, tennis, canoa, apnea, enduro e motocross, dove ha peraltro conquistato il titolo di Campione regionale lombardo nel 1972, classe 125 cc. Le soddisfazioni più appaganti restano però congiunte alla corsa, ultimo e più grande amore dello sportivo.
«Sono orgoglioso - dichiara con fierezza - di poter affermare di essere l'unico in assoluto ad aver completato i quattro grandi slam più importanti al mondo: Top Five Marathon (New York, Chicago, Boston, Londra, Berlino), Four Deserts (Gobi in Cina, Atacama in Cile, Sahara in Egitto e The Last Desert in Antartide), Top Five Ultra Trail in autosufficienza (Atacama Crossing in Cile, Marathon des Sables in Marocco, Gobi March in Cina, Sahara Race in Egitto, Nepal Race in Nepal) e Ultra Trail assistito (Reunion, Monte Bianco, Cro Magnom, Lavaredo e Valdigne)».
Un record assoluto, che si gode in solitario, fatto di avventure dal sapore leggendario, sacrifici, azzardi.
E di chilometri, che - sommati assieme - fanno tre volte la circonferenza della Terra. Tutto è iniziato in un caldo giorno d'agosto del 2000, quando Raffaele Brattoli, ai tempi 45enne, ha intravisto su una rivista la pubblicità della maratona di New York.
«Sono stato subito attratto dallo charme che esercitava una corsa tra le vie della Grande Mela: da un lato stimolava il mio subconscio, anche se dell'altro mi sembrava un'impresa mastodontica, impossibile da portare a termine».
A quel tempo l'atleta di Peschiera Borromeo, cittadina alle porte di Milano, non era ancora conscio del potenziale che la natura gli aveva donato: muscoli robusti e vigorosi, e una volontà granitica, orientata a spingerlo verso i propri limiti e a dare il meglio. Sempre e comunque. Nel novembre dello stesso anno si è quindi iscritto alla prima delle 6 edizioni alle quali ha preso parte della popolare maratona newyorkese. I 42 chilometri e 195 metri di quella prima manifestazione podistica si mostrarono illuminanti: sbocciò l'amore al primo passo. Da allora ha corso centinaia di gare.
Ma, come spesso avviene per le grandi storie di campioni, un po' casualmente, è stata incrociata la strada delle competizioni estreme, a quel tempo ancora poco battuta se non da qualche pioniere spericolato sparso qua e là sulla Terra.
E l'ha inforcata, a capofitto, diventandone protagonista. «Un mio amico mi aveva parlato di una gara nel deserto: 100 km su e giù per il Sahara, suddivisi in 5 tappe. La mia testa era in fermento: il pensiero di prendere parte a una gara desertica con pericoli legati a serpenti, scorpioni, caldo, disidratazione, rischio di smarrirsi, mi turbava. Decisi di esorcizzare le paure e partire ugualmente".
Era il marzo del 2002 ed è anche l'inizio della sua instancabile marcia contro ogni limite, ben oltre la normale sopportazione umana. «Per me è stata subito dura - racconta -. Avevo perso diverse unghie dalle dita dei piedi e durante la gara pensavo che non avrei più corso in situazioni tanto proibitive. Tuttavia, il gruppetto di atleti italiani al quale appartenevo, si classificò al primo posto e per la prima volta venni investito dalla gloria della vittoria; ciò mi diede la forza di continuare».
E il "mal d'Africa" fece il resto.
L'anno successivo, aprile 2003, si misurò con la regina dei tracciati desertici: l'epica Marathon des Sables. Dopodiché, qualche anno più tardi, seguì la 100 miglia in Namibia. In questa occasione si classificò 11esimo in graduatoria generale e primo della sua categoria (suddivisione in base alle fasce d'età).
Tante maratone, comprese quelle della durata di 24 ore continuative, hanno fatto da apripista alla più famosa e analogamente temuta Diagonal Des Fous (la diagonale dei pazzi) svoltasi in Madagascar sull'isola della Reunion. Confronto quasi impossibile da superare che attraversa l'isola da costa a costa, coprendo una distanza di 165 km no stop, con 12.000 metri di dislivello, e che miete vite a quasi ogni edizione. «Ricordo ancora la bellezza della vegetazione, gli animali allo stato brado, i vulcani (di cui uno ancora attivo), le centinaia di cascate che invogliavano al bagno, le cime piramidali e i sentieri da brivido. E a ogni angolo pericoli dai quali si affacciava spudoratamente la morte. La foresta equatoriale incuteva timore. Corsi per una notte intera lungo i suoi stretti passaggi, accompagnato da inquietanti schiamazzi di animali dagli occhi illuminati dalla mia luce frontale: anche il più temerario degli uomini avrebbe provato inquietudine».
Senza considerare i rischi che un eventuale sbaglio di percorrenza avrebbe comportato, spingendolo in labirinti dai quali è quasi impossibile uscirne vivi. All'arrivo, conquistato dopo 38 lunghissime ore di gara, gli furono consegnate la medaglia e la maglietta da finisher arrecante la scritta "je sui sopravissu" (io sono sopravissuto, nda), a testimonianza degli alti rischi corsi durante la manifestazione. Nell'edizione alla quale prese parte, la 12^, l'elenco dei deceduti e delle persone disperse aveva raggiunto quota 32.
Nella medesima impresa imparò altresì a cibarsi con carni inusuali, ad esempio di coccodrillo, serpente, elefante, cammello, zebra.
La vera svolta avvenne però nel 2008, appena venne a conoscenza di Racing the Planet, un'organizzazione americana che aveva inventato il Grande slam dei 4 deserti. 4 aree selvagge per 4 competizioni, ciascuna di 250 km suddivisa in 6 tappe giornaliere in autosufficienza.
Il battesimo si tenne in Cina, con la "Gobi March", valicando dune rosse come il fuoco, piccoli villaggi di poveri coltivatori di riso, fiumi in secca, caldissimi canyon lungo i quali la temperatura superava i 50 gradi. Seguirono nel 2009 l'Atacama Crossing, percorsa sulle Ande cilene, dove il freddo della notte stringeva il corpo degli atleti in un gelido -11 gradi, senza l'adeguato equipaggiamento, e il deserto bianco della Sahara Race.
Prove di forza, da completare imprescindibilmente per dischiudere le porte dell'Antartide, ultimo tassello per una firma nella storia.
Novembre 2011: il fatidico momento è arrivato: «Abbiamo intrapreso la traversata da Ushuaia con la rompighiaccio Atlantic Dream per circa 1000 km di navigazione, alla volta del Polo Sud - ricorda -. Giunti sul posto, dopo 3 giorni interminabili, contraddistinti da mal di mare e onde alte oltre 18 metri, ci siamo acclimatati. Per così dire! La gara si è svolta su circuiti dove imperversavano tempeste e venti, sfiorando temperature oltre i 50 gradi sottozero».
A peggiorare la situazione di Raffaele Brattoli contribuì la rottura di una lastra di ghiaccio che lo inzuppò fino al busto. Un cambio di abbigliamento en plein air, un freddo inimmaginabile e un principio di congelamento non bastarono per precludergli il taglio del nastro. Gara dunque archiviata e con essa anche la sequenza competitiva di Racing the Planet. E così ancora tante altre, stringendo i denti, facendo fronte a ostacoli e infortuni. Senza mai dimenticare il prossimo: è di fatto anche ambasciatore Aido nel mondo e sostenitore oltre che dell'attività sportiva anche di progetti solidaristici. La sua storia però, assicura, non finisce qui, proseguirà alla ricerca di nuove e avvincenti competizioni in ogni dove.
Ringrazio per aver raggiunto questi risultati in modo particolare i miei amici per la loro preziosa assistenza: il cardiologo Andrea Bertolini, l'ortopedico Matteo Casali, il medico e preparatore di maratoneti e ultra runner Paolo Barghini, Enrico Barazzetti, medico curante. Esprimo grande gratitudine anche al mio sponsor Orobianco per avermi dato questa incredibile opportunità.