Come è stato più volte ricordato, il 26 gennaio 2014 si è svolta la 15^ edizione della Siracusa City Marathon, con un ottimo successo di partecipazione e favorita da una giornata dalle condizioni meteo ottimali.
Per molti maratoneti siciliani è stato un appuntamento d'obbligo, e vi ha anche partecipato Elena Cifali: per lei la maratona di Siracusa è un appuntamento da non mancare, poichè è molto radicato nella sua personale tradizione podistica.
Ed ecco che, dulcis in fundo, dopo le diverse cose pubblicate sulla maratona di Siracusa, arriva l'atteso pezzo della nostra Elena: un bellissimo racconto come sempre, arricchito dalla "chicca" di un indimenticabile incontro.
(Elena Cifali) Se dovessi correre solo per stancarmi credo che non correrei più. Ogni mia gara diventa un’esperienza: ormai, quando parto, mi chiedo sempre cosa succederà, cosa accadrà, cosa renderà unica ed indimenticabile la mia corsa.
Oggi ho promesso a due amici, Anna e Giuseppe che avrei corso insieme a loro. Per loro è la prima maratona ed io sarò la loro "madrina" in questa gara regina. Nel mio piccolo, con quel poco che l’esperienza mi ha insegnato cerco di incoraggiarli e di dar loro i giusti consigli per completare la gara senza che diventi un tormento per il corpo e per la mente. Ci teniamo vicini, senza mai perderci di vista, sempre ascoltando le chiacchiere dei nostri compagni di avventura, cercando di mantenere un passo che non sia troppo veloce. Oggi come non mai non ho idea di cosa accadrà, ed in effetti mai avrei potuto prevedere che da li a poche ore avrei cambiato il corso di una piccola vita. Da mesi ci prepariamo a vivere questa giornata densa di emozioni, le aspettative sono quelle di terminare la maratona con un tempo quanto più vicino possibile alle quattro ore.
I primi chilometri scorrono veloci, non ne sento il peso, anzi, per la prima volta ho la sensazione che le strade della mia amata Siracusa mi sano amiche. Nessuna stanchezza, nessun dolore, le gambe si sollevano da terra in maniera del tutto naturale, il mio corpo ha fatto pace con i miei piedi e finalmente sono felice. Io non so se i sentimenti che la maratona fa nascere e crescere dentro le persone, man mano che i chilometri aumentano siano gli stessi per tutti, ma so che per me sono sempre nuovi ed eccezionali. Io, Giuseppe ed Anna ci alleniamo tutte le mattine insieme in montagna, ma fino a quando non abbiamo deciso di preparare la maratona di Siracusa eravamo “semplicemente” amici. Adesso, mentre la corriamo, e soprattutto dopo quando l’avremo terminata saremo “davvero” amici.
La regina delle distanze: la maratona, quei 42,195 km che sono il giusto compromesso tra le gare troppo corte come le 21,097 km e quelle che davvero diventano estenuanti come le 100 km.
Continuando a correre la gara di oggi mi accorgo ben presto che i miei compagni indugiano un pochino troppo ai ristori, tendono a fermarsi piuttosto che afferrare e correre via. Non va bene, siamo solo all’inizio e non dovremmo avere bisogno di sostare. Li incito, li incoraggio, li sostengo. Giuseppe è stanco a causa del raffreddore che da qualche giorno lo affligge e inizia a rallentare decisamente troppo. Lo spingo mettendogli una mano dietro la schiena (lo scorso anno, proprio qui e quasi nello stesso punto lo fece con me il mio carissimo amico Salvo Piccione). “Forza, forza Peppe, segui il mio ritmo e non fermarti a camminare”, gli dico mentre lo spingo. Inutile, non funziona. Lo prendo per mano e lo accompagno per qualche centinaio di metri, ma lui ha perso la giusta concentrazione e non riesce a correre come dovrebbe. Intanto chiedo ad Anna di non fermarsi con noi, è giusto che lei continui, semmai saremo noi a raggiungerla. La vedo andare via e vorrei seguirla, ma devo mantenere fede alla mia promessa. Veniamo raggiunti da Inge ed iniziamo a chiacchierare. Spero che questa nuova presenza possa distrarre Giuseppe dalla sua stanchezza ma non è così.
Siamo solo al 26 km e c’è ancora troppo da fare, praticamente la maratona deve ancora iniziare. Devo decidere, e devo farlo molto in fretta, se lasciare che Giuseppe corra da solo. Restare con lui potrebbe compromettere anche la mia gara e non voglio che ciò accada. Raccolgo l’ennesimo suo invito e dopo essermi assicurata che posso lasciarlo mi allontano insieme ad Inge. Non nego che a questo punto un brutto sentimento mi stringe il cuore: non avrei voluto mancare alla mia promessa ma so che al momento non potrei essergli di nessun aiuto. Decido che è meglio raggiungere Anna e, nel caso fosse necessario, aiutare lei.
La mia testa è tormentata da tutto ciò che è accaduto fino a questo momento, quando vedo a pochi metri davanti a me un tesserino a quattro zampe che mi viene incontro. “E’ un cucciolotto” esclamo rivolgendomi ad Inge. Avrà un mese circa: é tenerissimo, con le sue zampette corte corte e la codina in continuo movimento. Corre vicino a noi, ci insegue, ho il timore di calpestarlo o di dargli un calcio involontariamente. Cerco di ignorarlo nella speranza che torni da dove è venuto, ma più aumenta la distanza che ci separa dal luogo in cui l’ho incontrato e più capisco che se si allontana troppo gli sarà difficile ritrovare la tana. Sul ciglio della strada il cadavere di un paio di grossi cani mi impensierisce. Evidentemente uccisi, e lasciati a marcire sull’asfalto, qualcuno ha deciso che il modo migliore di liberarsi dai randagi è sterminarli in così brutale maniera. E’ da quasi un chilometro che il cucciolo ci segue e non posso abbandonarlo al suo destino, dopotutto seguendomi mi aveva scelta.
Io sono dell’idea che nella mia vita nulla accade per caso, e nulla può essere lasciato al caso. Mi chino e quasi al volo lo prendo in braccio. Grande quanto un pacchetto di zucchero gli metto la mano sotto la pancia e subito sento tutto il suo calore, la sua energia pulita. E’ morbidissimo, scopro subito che è una femminuccia paffutella, peserà all’incirca un chilo e la sua pancia coperta di pelo bianco contrasta col muso nero e il dorso marrone. Solleva il muso e scopre i suoi occhi, occhi piccoli, scuri, luminosi. Occhi dolcissimi che fissano i miei. Il cuore si gonfia e mi emoziono. La stringo al petto mentre continuo a correre. Corro con lei in braccio, prima in una mano poi nell’altra, poi dopo tre chilometri il suo peso diventa davvero importante. Ad ogni passo sembrava lievitare tra le mie braccia.
Cerco di correre senza sballottolarla troppo da una parte all’altra. Lei continua a guardarmi, sembra quasi che voglia parlarmi. Cerco di pensare cosa devo fare, non posso portarla a casa perché ho già un'altra cagnetta che mi aspetta.
Passano i chilometri e mi trovo al 30°, mi avvicino più possibile ai volontari e chiedo a qualcuno di tenerla. La lascio dopo averla abbondantemente accarezzata, mi faccio forza, e decido di proseguire solo dopo che un volontario della Croce Rossa mi assicura che la porterà a casa con sé. Probabilmente, ma solo probabilmente, se non mi avessero promesso che l’avrebbero portata in casa non l’avrei lasciata, avrei corso con lei in braccio ancora per altri 12 km e avrei finito per tagliare il traguardo tenendola in alto sopra la mia testa. Sono certa di averla salvata, sono certa di averle assicurato un futuro migliore di quello che l’attendeva sulla strada. Il tempo delle tenerezze è finito, al ristoro ritrovo Anna ed insieme ricominciamo a correre, la strada da fare è ancora tanta e desidero arrivare più in fretta possibile. Anna è tenace ma ha bisogno di ricevere qualche rassicurante incoraggiamento. Corriamo fianco a fianco adesso. Io mi sento benissimo, rinvigorita, rilassata, riposata, allungherei il passo ma temo di sfiancare la mia compagna.
Scambiamo poche parole senza mai perdere la concentrazione. “Dai Anna, ci siamo, mancano solo 8 km, la gara è ormai finita”, oggi si sta compiendo un altro miracolo, ancora una volta delle persone si uniscono indissolubilmente nel nome e nel segno della corsa. Sono appena trascorse quattro ore, “Stiamo per arrivare, mancano solo un paio di chilometri e poi anche tu sarai una maratoneta”, io ed Inge iniziamo a cantare, ad urlare, ringraziamo i volontari che ci incoraggiano e ci incitano lungo l’ultimo chilometro.
“Corri Anna, immagina che siamo in Pineta, che stiamo correndo al chilometro, immagina cosa diranno i nostri amici domani vedendoci arrivare. Corri Anna, oggi è un grande giorno, oggi anche tu hai vinto”.
L’asfalto lascia il passo al basolato lavico, il gonfiabile blu ci saluta da lontano, ci aspetta e noi non possiamo farlo spettare oltre.
Ci prendiamo per mano io Anna ed Inge, e con le braccia in alto tagliamo il traguardo come se fossimo state noi a vincere oggi, come se tutto il mondo si fosse fermato per aspettare questo bello e trionfale arrivo. E’ stata brava la nostra amica Anna, adesso finalmente anche lei sa cosa vuol dire correre la maratona, adesso anche lei sa che i limiti sono solo mentali, adesso anche lei sa quanto può essere bello lasciarsi andare passo dopo passo per quatrantadue chilometri.
Il nostro Giuseppe arriverà al traguardo dopo di noi ma anche lui col sorriso e la felicità che lo rendono fiero ed orgoglioso. Ognuno di noi ha dei sogni che custodisce nel cassetto, alcuni sono gratis altri si comprano al caro prezzo della fatica e del sacrificio, ma questi diventano irrealizzabili solo se ci si arrende.
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