Simona Patti, finisher della Supermaratona dell'Etna da 0 a 3000 2014 che si è svolta il 15 giugno, con partenza da Marina di Cottone e arrivo all'osservatorio Vulcanologico, passando per Piano Provenzana) ha raccontato la sua esperienza in un bel racconto che è stato pubblicato su Siciliarunning a cui rimandiamo.
Quello che segue è una sorta di sequel a quel racconto, scritto appositamente per Ultramaratone Maratone Dintorni": vi i parla di scarpe da ripulire, ma sotto sotto prende forma una metafora strisciante su come l'Etna sia capace di penetrare con i suoi minuscoli frammenti sino in fondo all'anima.
(Simona Patti) Premessa: durante la Supermaratona dell'Etna ho utilizzato due paia di scarpe, il primo paio per percorrere il tratto asfaltato fino al 33°km e il secondo per gli ultimi km su sterrato. Il cambio di scarpe potrebbe anche essere evitato perchè il tratto che porta all'arrivo non è così brullo da renderlo una cosa necessaria, e inoltre si perdono “minuti preziosi” ai fini della classifica finale. Io tra l'altro non avevo nemmeno infilato questo paio sostitutivo nella mia sacca del cambio che avrei trovato a Piano Provenzana, perché un'addetta al controllo dei sacchi dei concorrenti - ammassati uno sull'altro nella zona partenza in attesa di essere smistati sul pullmino che doveva lasciarne una parte al primo checkpoint e un'altra all'arrivo - probabilmente confusa da quella sorta di “immondizia” di tutti i partecipanti, mi aveva proibito di mettere cose ingombranti nel sacco, per cui le scarpe erano state sacrificate in favore di una maglia leggera, un'asciugamano per il sudore e una giacca a vento.
Durante la gara però, prima di arrivare a Piano Provenzana, sono stata colta da pioggia e grandine: la strada era un fiume d'acqua e non ho potuto evitare di inzupparmi i piedi; a quel punto, arrivata alla zona cambio, ho chiesto a mio marito (Paolo Beccari che, in questa circostanza, poichè sta preparando l'Etnatrail, non ha corso e che si è limitato a fare foto - la sua altra passione - e assistenza - ndr) di recuperare le scarpe sostitutive abbandonate nel portabagagli della macchina, per potere correre gli ultimi km con i piedi asciutti. Per me, a cui non interessa il posizionamento in classifica ma piuttosto il confort della corsa, questo cambio è stato veramente salvifico e mi ha permesso, nonostante la bufera che poi avrei trovato prima del traguardo, di arrivare all'Osservatorio Vulcanologico con i piedi caldi nonostante il resto del mio corpo fosse infreddolito- come recita un detto “Piedi caldi e testa fredda...”
Il risultato è stato che sono tornata dall'Etna con ben due paia di scarpe a cui fare manutenzione: il primo paio, le mie storiche Brooks Glycerin 9 con cui ho corso 4 maratone e con cui ho voluto correre anche la Supermaratona in una sorta di “omaggio alla carriera” visto che ormai hanno troppi km sulle spalle, e il secondo paio, delle scarpe da trail running La Sportiva, che hanno calpestato per la prima volta nella loro vita il suolo del vulcano uscendone, oltre che bagnate, anche insabbiate! Bene, fatta la premessa, ora qui può iniziare la mia storia...
Oggi ho pulito le mie scarpe da trail con cui ho percorso il tratto di sterrato alla Supermaratona. Sono passati 8 giorni prima che mi decidessi a dar loro una “sistemata”, un po' perché ci sono state sempre altre cose da fare a cui dare la priorità, ma forse un po' perché volevo ritardare questa pulizia. Così come quando si ha addosso l'odore del proprio amato e non si vorrebbe fare la doccia, oppure se ne indossa un indumento che non si vorrebbe lavare, quasi non mi azzardavo ad avvicinarmi alle scarpe insabbiate dall'Etna! Ma prima o poi queste scarpe avrebbero dovute essere utilizzate nuovamente e, di certo, non avrei potuto correre con il fastidio della sabbia abrasiva sotto i piedi.
In fondo, comunque, ho ritardato questa manutenzione per la consapevolezza che la sabbia del vulcano non scivola via come se niente fosse, e penetra così profondamente tra le cuciture, nelle fessure e sotto le solette, che qualsiasi mio tentativo di eliminarla del tutto sarebbe stato vano. La sabbia penetra nelle scarpe come la potenza dell'Etna penetra dentro la mia anima, si insinua nei posti più nascosti e rimane lì per un tempo indefinito: inutile opporsi, lo si può solamente accettare! Quindi mi sembra proprio che ci sia una corrispondenza tra me e le mie scarpe: entrambe portiamo dentro frammenti di Etna, entrambe siamo irrimediabilmente perdute...
La pulizia delle scarpe è andata avanti come una sorta di rito: dapprima ho estratto le solette per ripassarle con un panno umido. A quel punto mi sono accorta che i fori che si trovano nella parte anteriore della soletta erano intasati, in controluce alcuni si vedevano e altri no. Ho preso quindi uno spillo per liberarli e ho iniziato a punzecchiare la soletta: dentro quei fori ovviamente, c'era sabbia nera, microscopici granelli da cui non mi sono liberata facilmente! Ho dovuto infilare l'ago più e più volte, cercando di allargare il foro, fino a quando entrambe le solette hanno assunto l'aspetto originario.
Sono passata quindi alle scarpe (a cui avevo dato una pulizia sommaria sbattendole tra loro a fine gara): con una spazzola dalle setole rigide ho tolto i residui sabbiosi dalla parte esterna, poi ho passato il panno umido per togliere i residui di polvere. Ho continuato con la parte interna delle scarpe, operazione più difficile visto che, anche allargando i lacci al massimo, la linguetta anteriore non permette una ”esplorazione” adeguata. Infilavo la mano per scrostare la sabbia: qualche granello si accumulava nel fondo della scarpa, nella zona della punta del piede, poi la capovolgevo per far cadere i residui ma incredibilmente, come se la sabbia dell'Etna non fosse sottoposta alla forza di gravità o avesse la capacità di sparire, non usciva nulla. Ho ripetuto questa operazione più volte, ma i granelli che riuscivo ad accumulare erano in quantità inferiore a quella che vedevo all'interno delle scarpe!
Per finire, con un cacciavite, mi sono dedicata alla suola dove, a causa della conformazione delle scarpe da trail, si incastrano spesso sassolini. Da questi interstizi è uscita un po' più di roba. Non lo avrei detto, ma infilando la punta del cacciavite e facendo pressione tra un tassello e l'altro, ho rimosso gli ultimi residui. Alcuni sassolini però si frantumavano, diventando frammenti più piccoli oppure polverizzandosi e insinuandosi nuovamente in quella stessa fessura da cui tentavo di rimuoverli!
Ho concluso questa fatica rimettendo le solette dentro le scarpe e riponendo queste ultime nella scarpiera, con la certezza che le prossime volte che le userò, per quanto abbia potuto procedere con rigore meticoloso nella loro pulizia, mi ritroverò con un microscopico granellino sotto la pianta del piede che, con il suo fastidio, mi ricorderà che l'Etna esiste, che anche se siamo lontani fisicamente, è impossibile non averlo nei pensieri e che comunque Lui mi aspetta lì, pronto a riempirmi nuovamente le scarpe di sabbia nera!
Ripenso alle mie Salomon con cui ho corso l'anno scorso l'Etnatrail: nonostante le ghette, nonostante siano finite a mollo per una notte, quando le ho indossate sulle montagne dell'Engadina per fare una corsetta, sono caduti granelli neri sul pavimento. Pezzi di Etna portati in altre parti del mondo, a migliaia di chilometri di distanza! Probabilmente, se rovistassi meglio dentro le Salomon, qualche altro granello di sabbia lo troverei ancora oggi.
E ancora non ho pulito le Glycerin 9! Per quelle posso aspettare un altro po' di tempo, tanto loro sono in pensione...
Foto di Paolo Beccari
Per vedere la galleria fotografica completa vai alla pagina FB "Ultramaratone, Maratone e Dintorni": Supermaratona dell'Etna da 0 a 3000 2014. Foto di Paolo Beccari (349 photos)
scrivi un commento …