Luciano Micheletti è uno degli ultrarunner di punta della compagine Runners Bergamo, soprattutto in termini di numerosità e di "entità" delle sfide di ultramaratona con cui si confronta. E, oltretutto, è un osso duro, perchè porta sempre i suoi impegni sino alla fine.Accogliamo con piacere il suo racconto della partecipazione al Tor des Géants® 2011, anche perchè i comunicati stampa ufficiali non danno pienamente ragione a tutti gli appassionati che si cimentano con le gare di endurance. La loro presenza spesso si riduce ad un mero dato statistico che fa onore agli organizzatori (come i 300 classificati al traguardo finale di questa gara così estrema), mentre il massimo spazio viene dato (come è giusto che sia, del resto) a chi sale sul podio (con resoconti ed intervista più o meno in diretta). A agli altri non spetta altro, se non un lieve riconoscimento per esserci stato. E' chiaro che lo fanno per se stessi, ma ogni tanto occorre che si possa sentire anche la loro voce.
Il racconto di Luciano Micheletti dà voce ai 290 finisher del TdG, rimasti più o meno anonimi e il cui nome rimane scolpito in una classifica che, al di fuori di un pubblico specialistico, non ha certamente risonanza mediatica.
Ecco il suo racconto.
(Luciano Micheletti) Ebbene, si, ci ho provato anche quest’anno. Per me era impossibile resistere alla tentazione; dopo l’edizione 2010 non potevo mancare a quella di quest’anno. La scelta di partecipare andava comunque ben ponderata, affrontata con la dovuta umiltà e disponibilità. Io non sono un campione ed il mio posto è sempre nel basso della classifica.
Questo premesso, vorrei comunicare alcune emozioni che il TDG 2011 mi ha lasciato, riposte all’interno di una illustrazione di quello che è stata questa gara di endurance.
Il percorso è davvero incantevole; si salgono e scendono continuamente cime, colli e passi, passando di valle in valle, ognuna diversa dall’altra, sempre bellissime, attraversando miriadi di ponticelli, torrenti o semplici ruscelli. Il contorno è semplicemente fantastico: le più belle cime della valle, illuminate dal sole del giorno, splendido, (a parte la pioggia moderata della prima tappa), luminoso, caldo. La notte è illuminata da una luna accecante, in competizione continua con un giardino di stelle, fresca ma mai troppo fredda.
Altre forti emozioni mi colgono in alcuni punti di ristoro, dove i volontari mi riconoscono come partecipante della scorsa edizione: al rifugio Sogno, dove i gestori imbandiscono per noi un vero ricevimento (stufato, bollito, peperonata ecc… sino alla crema di Cogne); a Ponteillers dove mi offrono birra artigianale e sanguinaccio; al bivacco Clermon, con il solito mezzo bicchiere di rosso con acciughe in salsa verde.
Un cenno particolare lo merita lo spettacolare scenario del rifugio Cuney e del contiguo splendido Oratorio.
L’ incontro con alcuni amici al rifugio Crest scalda il cuore; l’arrivo a Courmayeur ripaga di tante fatiche.
Sono solo le emozioni che ricordo per prime; molte altre potrei ritrovarle nel mio animo.
Indubbiamente non è stata una passeggiata; non ci può illudere: fatica, a volte il dolore fisico, la fame, la sete, il sonno sono stati, seppure in momenti diversi, compagni fedeli.
Per quanto mi riguarda la lotta mentale contro la fatica è stata una costante fissa; una continua lotta contro; ma la fatica è stata anche una fedele compagna, comunque onesta, sincera: sempre presente, mai impulsiva o aggressiva, quasi dolce.
Le crisi in una prova di endurance non possono mancare, quindi occorre metterle preventivamente nel conto e saperle affrontare. Oltre la fatica, personalmente ho dovuto tenere sotto controllo il dolore ai piedi, già fortemente messi alla prova dalla partecipazione alla UTMB e non del tutto recuperati. Un’abbondante dose di cerotto ha notevolmente limitato il problema.
Una questione importante da affrontare in gare di questo tipo è senza dubbio il sonno. Per i primi due giorni l’adrenalina era talmente forte che aiuta a sopportare tutto facilmente, poi, pian piano la necessità di dormire, anche per brevi soste, aumenta e si fa pressante. Contro il sonno posso ben poco; mi organizzo con brevi soste quando non posso proprio farne a meno . D’altra parte è stata una mia precisa scelta, programmata e consapevole, decisa tempo prima, di sfruttare tutto il tempo della notte, del primo mattino e della sera, al fine di evitare il caldo del giorno, per me la complicazione principale.
Le condizioni meteo quest’anno sono state molto buone, ad eccezione della prima notte, battuta per un lungo periodo da una pioggia moderata.
Per il resto del tempo, ho dovuto anche fare i conti con il grande caldo del primo pomeriggio.
Il dispendio calorico è enorme. Mi alimento continuamente, con tutto quello che trovo, pasta, bresaola e fontina, con birra, coca cola e cioccolati in quantità smisurata. Alle basi vita purtroppo ed inevitabilmente c’erano sempre gli stessi alimenti: è stato facile avvertire un senso di rifiuto, alla lunga, ma la priorità era di reintegrare. Le uniche varianti, che hanno appagato molto, sono state trovate presso i ristori, “amorevolmente” gestiti dai volontari: all’alpeggio di ObeLoo, sulla discesa per Gressoney (vari tipi di formaggio, pane fatto in casa, e salami diversi offerti da un “signor” alpeggiatore d’altri tempi); al rifugio Sogno, come ho già avuto modo di dire.
Per quanto riguarda l’abbigliamento, non abbiamo avuto bisogni di particolari indumenti, essendosi svolto tutto in modo piuttosto regolare. Mi ero organizzato in modo di avere un cambio ad ogni tappa e così è stato. Eccezion fatta per la prima base vita, alle successive ho sempre approfittato delle docce, con cambio completo di quanto indossavo, (ricostruivo sempre la condizione psicologica di “partire di nuovo” e non di “continuare”).
Un cambio di scarpe dopo la seconda tappa è stato provvidenziale.
A questo proposito devo confermare che la sacca dell’organizzazione ha funzionato; occorre una gestione certamente ordinata di tutto quanto ci si porta al seguito. Un particolare impegno era far asciugare i capi di vestiario durante le soste, in modo da poterli metter via il più possibile asciutti. Comunque sono sopravvissuto anche a questo.
Recuperare le energie fisiche e mentali al termine di ogni tappa era per me fondamentale. Sono partito contrariamente alla scora edizione, senza un programma preciso in testa, con l’obiettivo fondamentale e assolutamente primario di finire, in uno stato discreto, da potermi permettere di affrontare tutti i successivi impegni . Il mio stato di forma non era gran ché e la mia pessima tecnica nell’affrontare le discese mi ha portato ad amministrare con giudizio le mie risorse, consentendomi di giungere al traguardo.
Anche felice!
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