Il 27 ottobre scorso (2013) si è svolta la 28^ edizione della VeniceMarathon.
Tra i tanti che si sono mossi dalla Sicilia per partecipare ad uno degli eventi di Maratona più partecipati d'Italia, anche i palermitani-messinesi Lara La Pera e Roberto Magnisi.
Come sempre, Lara La Pera che, con questa, ha chiuso la sua 17^ maratona in carriera, ha scritto un suo racconto sulla sua partecipazione alla 42,195 di venezia.
Per presentare il suo racconto userò le sue stesse parole: Questo racconto l'ho scritto di getto, ancora a caldo e con i muscoli doloranti di acido lattico. La mia è stata un'esperienza intensa e non volevo che le emozioni si scolorissero col passare dei giorni. Negli ultimi due anni ho corso parecchie maratone su strada facendo sempre tempi vicini al mio personale che è di 3h07'30'' o superiori di uno o due minuti. Ieri non è andata così... ho chiuso la 17^ maratona della mia vita in 3h23'24'' lo stesso identico tempo che realizzai nel 2008 a Copenhaghen dove cosrsi la mia prima maratona preparata (era la terza che affrontavo, le prime due le ho corse senza orologio, solo per arrivare e, quindi, non fanno testo). Ma da quelle che potrebbero sembrare disfatte si impara tanto, tantissimo... soprattutto ad avere rispetto dei propri limiti e ad ascoltare i segnali del proprio corpo... Credo che questa sia la regola numero uno per saper gestire la fatica ed essere in grado di affrontare con equilibrio e serenità gare lunghe come la maratona. Forse una "lezione" così mi serviva prima di apprestarmi a superare, su strada o in montagna, i 42,195 km e avvicinarmi al mondo dell'ultramaratona e dell'ultratrail che allo stesso tempo mi affascina e mi terrorizza.
(Lara La Pera) Un bravo maratoneta non è solo colui che finisce una maratona centrando l’obiettivo cronometrico… Un bravo maratoneta è soprattutto colui che, nel viaggio infinito dei 42,195 km, riesce a gestire il suo corpo e la sua ansia, ridimensionando le sue ambizioni quando il corpo e le gambe non rispondono più, sostituendo un orologio con testa e cuore, arrivando comunque al traguardo ,anche se con un po’ di ritardo rispetto a quanto programmato. E in questi casi quella che potrebbe sembrare una sconfitta atletica si trasforma in una grande vittoria personale.
Domenica 27 ottobre io Roberto ci siamo presentati al via della Maratona di Venezia dopo due settimane di stop quasi totale a causa di piccoli infortuni che potevano rendere veramente difficile una corsa di 42km al massimo delle nostre possibilità.
La situazione per me era aggravata dal fatto che mi trovavo in una condizione, se pur fisiologica, in cui nessuna donna vorrebbe trovarsi nel giorno di una importante prova sportiva!
Ma, a noi, la voglia di correre non ce la leva niente e nessuno.
Così, dopo le solite raccomandazioni tra un “Divertiti” e un “Parti fortissimo” ci siamo avviati verso le rispettive gabbie per attendere il via.
Già dai primi chilometri avevo intuito che, come si dice tra noi podisti, “non era giornata” e ho cercato di godermi l’evento ad un passo non troppo faticoso. Per distrarmi dai miei fastidi avevo portato il mio I-Pod per prendere forza e coraggio dagli amici David Bowie, Queen, Pink Floyd, Pearl Jam, Muse (e tanti altri) che tanta compagnia mi avevano fatto durante la preparazione.
Ma né la musica, né il tifo delle tantissime persone dietro le transenne mi davano sollievo.
Al 25° km in preda a lancinanti dolori al ventre sono stata costretta a fermarmi e chiedere aiuto ai volontari. Un ragazzo mi ha dato da bere e una spugna per tamponarmi il sudore: e mi ha, ovviamente, consigliato di interrompere lì la mia gara… Ti riporteranno all’arrivo in autobus - mi ha detto.
Oddio, che incubo! “Io non mi so ritirare…non ci riesco!" - ho esclamato io.
Decisi dunque di riprendere la mia corsa, anche lenta, lentissima, per arrivare.
I chilometri passavano, tanti podisti mi superavano e mi incitavano….
Ed io pensavo a tutta la fatica fatta per arrivare fin lì, non sapendo se sentirmi arrabiata o delusa.
Inizia il famigerato ponte della Libertà e la mia testa inizia a vacillare.
Un rettilineo lunghissimo sospeso sulla laguna.
Al ristoro del 35° km prendo una bottiglietta d’acqua e mi metto a camminare.
Mi sembrava di vivere un calvario.
Provavo tutte le sensazioni negative che un podista che, per mesi, ha preparato una maratona, può sperimentare in una situazione così.
Cammino, dunque, pensando che prima o poi arriverò.
Ormai lo sconforto aveva preso il sopravvento. Non vedevo l’ora di riabbracciare Robi.
Ma dopo qualche centinaio di metri in cui avevo maledetto il momento in cui avevo deciso di affrontare la gara in quelle condizioni, avendo anche osato pensare di poter chiudere con un crono decente (presuntuosa!), sento una voce dietro di me “Forza, non mollare, è fatta….vedi quelle ombre in fondo nella nebbia…lì c’è il traguardo”.
Mi giro e vedo un ragazzino su una handbike con un sorriso felice.
In quel sorriso ho letto la gioia e l’entusiasmo che io non riuscivo a provare. Avrà avuto forse vent’anni e chissà quale atroce disgrazia gli aveva tolto per sempre la possibilità di correre. Ma la gioia di vivere, quella no…ce l’aveva stampata in volto.
La mia delusione, in pochi istanti, si è trasformata in vergogna.
Mi sono vergognate di me stessa, non come atleta ma come essere umano, il che è molto più grave.
Non avevo il diritto di buttare via la mia gioia di correre che è una delle cose più preziose che ho.
E la vergogna è diventata rabbia, voglia di non mollare, di arrivare.
Ho spento quello stupido orologio che spesso ci condiziona tanto - forse troppo - e mettendo un piede davanti all’altro ho ripreso la mia corsa verso quelle ombre che diventavano sempre più nitide e vicine.
I contorni del campanile di piazza San Marco erano sempre più chiari.
Km 39: entriamo a Venezia e iniziano i famosi 14 ponti, uno dopo l'altro, su e giù.
Per le mie gambe sono come montagne da scalare. Nei sette mesi precedenti non avevamo fatto neanche una gara su strada… Solo trail e quei ponticelli avrebbero dovuto essere ben poca cosa rispetto ai mila metri di dislivello che avevamo nelle gambe.
Superato il nono ponte si entra in Piazza San Marco.
Che emozione… per ascoltare il tifo delle migliaia di persone che affollavano la piazza più famosa del mondo mi levo gli auricolari…
Il giro della piazza termina dopo il 41° km e ormai mancava davvero poco per chiudere con onore e dolore la mia 17^ maratona su strada. Taglio il traguardo e la mia testa gira come la centrifuga di una lavatrice, ma in quel turbine vedo in mezzo ai tanti podisti affaticati gli occhi sorridenti di Robi…
Era preoccupato per me… anche il suo viso era stanco e senza che mi dicesse nulla capisco che era arrivato da poco e che anche per lui era stata una vera lotta.
Scherzando dice che non aveva mai impiegato tanto a finire una maratona e che c’è sempre una prima volta!
A gli amici maratoneti posso solo consigliare di correre la maratona di Venezia. Il percorso è scorrevole, c’è sempre tifo, l’organizzazione è impeccabile e la bellezza degli ultimi tre chilometri non si può descrivere a parole.
Ieri la corsa mi ha dato l’ennesima lezione.
Ci volgiono testa e cuore per superare tanti ostacoli fisici, ma soprattutto mentali.
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