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22 dicembre 2011 4 22 /12 /dicembre /2011 07:40

Denaro-in-testa_Andreoli.jpg(Guido Ghidorzi) "Il denaro in testa" (Rizzoli, 2011) è il titolo del recente libro dello psichiatra Vittorino Andreoli.

Il testo, nelle sue diverse articolazioni, ricorda che il denaro, quello che va oltre le necessità d'un decente sostentamento, ci inquina il cervello ed è, secondo l'Autore, la base della patologia dell'Anima della nostra civiltà. La sua proposta è di considerare centrale questa questione, portandola pure in quel laboratorio di salute che sono gli incontri di psicoterapia.

Nella sua recensione al volume Guido Ghidorzi, anche lui psicoterapeuta e appassionato praticante del camminare consapevole, ha ricordato un'esperienza raccolta tempo fa (un racconto che ha raccolto nella sua pratica terapeutica).

"Siamo in ambito cattolico di base, dove il camminare è da sempre considerato metodo educativo, non solo nel pellegrinaggio. Si proponeva a singoli o a gruppi ristretti, di massimo 2 o 3 persone, di partire per un viaggio a piedi, senza una precisa destinazione e... senza denaro. C'era da mettere alla prova la solidarietà umana.

Per mangiare e dormire e qualsiasi bisogno si doveva chiedere alle persone che si incontravano sulla strada".

Chi mi ha raccontato ciò, - continua Ghidorzi - sosteneva di non aver mai ricevuto rifiuto d'aiuto, una volta che si spiegava ciò che si stava facendo. Riflettendoci ora, di fronte alla crisi materiale e di valori che tutti ci attraversa, mi sembra un'idea semplice, radicale, terapeutica addirittura. La devastazione del pensiero umano, di cui parla Andreoli, necessita di antidoti.

Noi che amiamo viaggiare a piedi, e sappiamo la ricchezza che ci può donare, possiamo sperimentare, al di là di essere o meno credenti, il "cammino povero"?

Partire per un cammino... senza nient'altro che la nostra umanità.

Ad esempio, - conclude Ghidorzi - potremmo chiedere ospitalità come dono, come messaggio di apertura all'altro. In cambio, offriremo di ricambiare con la nostra ospitalità quando lo gradiranno. Un credito di fiducia.

Per essere concreti, potremmo creare una rete di indirizzi, le nostre case, mettendole a disposizione dei viandanti che condividono lo spirito di quest'iniziativa. Sarebbe un concretizzare il viaggiare gratuito, responsabile, solidale... e fare così, con questa piccola cosa, del mondo  un luogo veramente migliore".

 

Dal risguardo di copertina

Il denaro sul "lettino" dello psichiatra: un personaggio capace di riempire la testa dell'uomo come in una possessione che cancella ogni identità e ogni norma di comportamento civile. Il denaro nell'analisi di uno psichiatra e non di un economista, dunque di chi si occupa di salute della mente e non di tecniche per garantire il benessere economico dell'individuo e dell'intera comunità. E in questa invasione di campo si scopre che il denaro è fonte di malattia. Per chi è povero ma anche per chi ha i forzieri pieni. Vite che ruotano intorno ai soldi, al desiderio di possederli, alla paura di perderli: l'ossessione, la dipendenza, l'angoscia, il lutto... si finisce per ridurre una società al denaro come misura del valore non solo delle cose, ma della stessa persona. L'uomo a una sola dimensione. Nella follia da denaro si corre il rischio di sostituire le banconote agli affetti, che assumono un prezzo in euro. In questa situazione emerge un bisogno di felicità che non è direttamente legato a stati di ricchezza o povertà. Non si tratta di una strategia consolatoria in un momento di crisi dell'economia nazionale e mondiale, ma di un modo per ritrovare il significato della vita e delle relazioni interpersonali.

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4 dicembre 2011 7 04 /12 /dicembre /2011 00:02

UBM-67.jpgI bike messenger (o, per l'esattezza, Urban Bike Messenger) sono delle creature quasi "mitologiche", metà uomo e metà bicicletta, che da anni sfrecciano per le strade di tutto il mondo, destreggiandosi tra i palazzi e il traffico cittadino macinando chilometri nella giungla urbana, lottando nello smog e nelle nuvole invisibili di gas di scarico e di polveri sottili e, in sostanza, svolgendo il lavoro del corriere espresso, ma "bici-montato". I Bike messenger hanno cominciato ad operare nelle aree metropolitane degli USA (Chicago, New York, San Francisco, Los Angelee) e, dopo qualche anno sono arrivati anche in Europa e in Italia. Adesso operano in molte città italiane, di cui l'antesignana è stata Milano. Il servizio di Bike messenger è arrivato anche a Palermo con Cicloop.

Quello del bike messenger è un lavoro già - di per sé - affascinante che può trovare adepti tra coloro che amano la bicicletta e che, così, trovano la possibilità di coniugare un'attività lavorativa con la possibilità di fare ciò che piace.

Di recente è uscito un volume che in cui Roberto Peia, ex-giornalista, racconta la sua esperienza personale di BM e quella del movimento degli Urban Bike Messenger a Milano, di cui è stato un "padre" fondatore e pioniere.

Tutta-mia-la-citta-192x300.jpgSi tratta di "Tutta mia la città – Diario di un bike messenger” (Edizioni Ediciclo, 2011). Il volume, accanto al racconto di consegne e pedalate nel traffico urbano, riporta altre storie di luoghi e di personaggi della Milano a pedali: dal Vigorelli che non c’è più, alle ciclabili che non ci sono mai state; dai Tetes de Bois ai Talking Heads; dal pavè alle bici rubate… Ci si può fare un’idea del libro ascoltandone dei brani sul podcast di Fahrenheit , la storica trasmissione sui libri di Rai Radio 3.
Dal risguardo di copertina. Il primo servizio di consegne in bicicletta è milanese. Gli Urban Bike Messenger, messaggeri urbani a pedali, oggi hanno il volto di Roberto Peia, ex giornalista ora devoto alle due ruote e al suo uso metropolitano come mezzo per una mobilità alternativa ecosostenibile e silenziosa. Dopo due anni e mezzo di consegne, con alle spalle la certezza di un lavoro che è ormai garantito e apprezzato da molte aziende, l'autore ci racconta la sua esperienza a cominciare dalle corse pazze per la città, gli incontri e gli scontri; riesce così a raccontare da un punto di vista inedito, luoghi e persone, fatti di cronaca e a intrappolare nei raggi della sua bicicletta i mille volti di una Milano che è per definizione in continuo movimento. Il suo è uno stile meticcio, forgiato dalla strada, che va dal resoconto giornalistico alla narrazione pura, con un tono a volte arrabbiato a volte sognante, che fa restare il lettore attaccato alla terra per volare con la mente. La prefazione al voume è di Chris Carlsson, padre fondatore della "Critical Mass".

Il messaggeroUna lettura indispensabile da accoppiare al bel libro di Peia è Il messaggero. Come è nata la Massa critica, scritto dall'americano Travis H. Culley  (Garzanti editore 2004, tuttora in catalogo per chi osse interessato) che racconta la storia dei Bike Messenger USA e di come il loro movimento si è intrecciato con lo svilupparsi di quello della Critical Mass".
E' un libro di grande valore, perché - "dall'interno" e utilizzando il vertice di osservazione d'un bike-messenger in una delle più grandi metropoli americane (Chicago)- analizza lo strapotere del trasporto meccanizzato su gomma nelle grandi città (americane, prima, e del mondo poi) che - per volere delle grandi aziende automobilistiche - ha preso il dominio su altre modalità di gestione del movimento più economiche, più a misura d'uomo e, in definitiva, più sostenibili. Culley, in modo appassionante, nel mostrarci lo strapotere dell'auto sull'uomo, illustra quanto l'utilizzo della bici nelle città possa tradursi in un gesto autenticamente anarchico e liberatorio rispetto al vincolo delle regole economiche. Nelle grandi città americane, i bike-messenger sono stati la punta emergente del cosiddetto movimento della "massa critica" che ha cercato (e sta cercando tuttora) di condizionare le scelte degli amministratori locali, orientandole verso un ritorno all'urbanizzazione a misura d'uomo, all'idea di luoghi di lavoro raggiungibili con le proprie forze, di città fruibili a piedi o in bici, con l'effetto di una loro ripopolazione e della bonificazione dei ghetti e delle ex-aree industriali, oggi in uno stato di degrado e abbandono. Il movimento della "massa critica" - fatto di cittadini che vogliono essere dei semplici "pendolari" della bici oppure suoi fruitori "per diletto" negli spazi urbani - dimostra, con l'effetto moltiplicatore della massa di ciclisti che si radunano e che assieme e pacificamente, si muovono lungo le strade cittadine, il teorema secondo cui le vie e gli spazi urbani devono essere di tutti, non disegnati solo per le automobili fatte per trasportare singoli individui, il più delle volte arroganti. Il racconto di Culley offre una panoramica sulla storia delle origini del movimento della "massa critica" e dell'attivazione delle coscienze sul tema della necessità di svincolo dal nefasto dominio delle auto, ma anche un'interessante sintesi dei motivi per cui le città sono divenute ciò che sono.
Scheda del libro. Travis Hugh Culley guarda il mondo da una bicicletta lanciata a tutta velocità attraverso le strade della metropoli. Consegna pacchi e buste girando dai ricchi palazzi del centro alle fabbriche e ai capannoni delle periferie. Il suo è un punto di vista insolito, ma utilissimo per capire i meccanismi che governano la vita metropolitana: schemi di comportamento che non riusciamo più a vedere. Così Travis Hugh Culley non racconta solo il piccolo mondo di cui ha fatto parte, quello dei "bike messengers", ma osserva anche con sguardo lucido e spietato i flussi delle nostre città, e ci offre qualche consiglio per renderle più ospitali per gli uomini e le donne che le abitano. Da questa esperienza è nato il movimento Massa Critica.

 

Vedi anche il seguente articolo

I corrieri ecologici invadono Milano

 

Ed anche questo video, sull'esperienza "Ecopony" a Firenze

 

 


 
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17 novembre 2011 4 17 /11 /novembre /2011 23:36

Marco-Aime-Rubare-l-erba_display.jpgMarco Aime nel suo nuovo libro "Rubare l'erba. Con i pastori lungo i sentieri della transumanza" (Ponte alle grazie, 2011) racconta - in una breve opera a metà tra il saggio antropologico e un amarcord, la vita dei pastori conosciuti nella sua infanzia, quando passava le vacanze dai nonni a Roaschia (Piemonte) che, a quel tempo, era il "posto dei pastori". In genere non è ortodosso il coinvolgimento emotivo in uno studio antropologico, ma in questo caso il risultato è stato affasciante, a metà tra una ricerca e un racconto poetico.

Quando il giovane Marco era bambino e non voleva mangiare, i nonni gli dicevano "Dovresti andare un po' con i pastori, vedi che impareresti!". Perchè la vita dei pastori era dura, sempre a viaggiare, dal paese scendevano nelle Langhe, nel Monferrato fino alla pianura dalle parti di Piacenza, per "rubare l'erba" di altri, sempre stranieri e sempre visti come invasori. E questi pastori sono uguali a tanti altri: i pastori abruzzesi in cammino verso la Puglia non erano molto diversi.

I pastori sono camminatori per forza.

Poichè le pecore non hanno erba tutto l'anno negli stessi posti, i pastori si devono spostare e lo sanno fare: "Uno dei saperi del pastore, che tu non sai: conoscere la strada, trovarla sempre".

Il vecchio Toni, che racconta la sua vita ad Aime, racconta i pastori come persone di cui gli stanziali (i contadini, gli "uvernenc") sospettavano, dice "Noi pastori eravamo sempre dalla parte del torto, perchè rubavamo l'erba". Nelle sue parole c'è rassegnazione, la rassegnazione di chi sa di dover subire per forza qualche discriminazione, qualche insulto. I pastori si sentivano fratelli con gli zingari. Venivano chiamati i "gratta" dai contadini.

"Si cercava di passare nei posti non troppo affollati, di nascondersi un po', sempre in colpa, sempre dalla parte del torto, lungo strade poco battute dove, magari, incontravi altri come te. Altri con le pecore, altri che venivano dalla montagna, altri che andavano".

Dal libro di Aime esce la nostalgia per i pastori erranti, erano brava gente che sopravviveva alla povertà senza aspettarsi altro dalla vita.

E' un libro consigliato a tutti quelli che vogliono camminare sulle tracce dei pastori, nelle valli piemontesi, ma anche sui tratturi d'Abruzzo o nei supramonti sardi.

Luca Gianotti della Compagnia dei Cammini ha intervistato in esclusiva Marco Aime  che ha parlato anche di turismo responsabile, di cui è esperto.

L'intervista.

 

Dal risguardo di copertina

Marco_Aime_display.jpg"Partivano. La gente di queste parti è sempre partita". I ricordi di Toni e Margherita, un anziano pastore e sua moglie, disegnano a tratti scarni ma decisi la loro storia, la storia della gente di Roaschia, nel Piemonte rurale di oltre mezzo secolo fa. Pastori, acciugai, venditori di capelli, uomini perennemente in viaggio: l'etnografo si chiede se abbia senso parlare di "radici", quando esistono "terre dove vivere è un lusso che non ci si può concedere sempre", quando si è costretti a fuggire dal proprio villaggio per scampare alla povertà, per sopravvivere, "rubando l'erba" per le proprie pecore. Eppure continuiamo a pensare che il nomade, il randagio, il bastardo, siano l'eccezione, e che il sedentario sia la norma.

Marco Aime, che in quelle terre è nato e cresciuto, stempera il "dato" antropologico e oggettivo in un racconto vivido, "in prima persona", e proprio per questo vitale, nonostante la patina del ricordo e della nostalgia. La vita del pastore, segnata dall'universale diffidenza che i sedentari covano per i migranti di ogni tempo e luogo, diventa l'emblema - e la guida - di tutte le nostre peregrinazioni: "È quello il suo sapere, uno dei saperi del pastore, che tu non sai: conoscere la strada, trovarla sempre".

 

Marco Aime, "Rubare l'erba", Ponte alle Grazie, 2011, 12 euro

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7 novembre 2011 1 07 /11 /novembre /2011 20:31

escursionismo_ben-essere-altrove-di-Lanfranco-Giorgi.jpgBenessere, socialità e filosofia del camminare: questi i temi affrontati nel libro di Lanfranco Giorgi dal titolo "Escursionismo: ben-essere altrove" (La Caravella, 2011). Il titolo non rende pieno merito ai conteneuti che offre al lettore che ci debba imbattere.

Non si tratta di un manuale o di una guida turistica: la sua lettura puà rappresentare un'imprevista occasione per il lettore, dandogli la possibilità di conoscere un modo diverso di "viaggiare" con un ripensamento radicale sull'idea di esplorare risorse e meraviglie già presenti in noi ed in tutto ciò che ci circonda.

Dovremmo riappropriarci dell'essenziale, sperimentando la fatica e lo spirito di adattamento, (ri)scoprire nuove declinazioni del camminare; dagli aspetti sociali e socializzanti alla montagna-terapia, dalla funzione antidepressiva del camminare al piacere del silenzio, all'amore per la natura.

Quindi non solo il camminare inteso come esperienza in nuove terre ma come percorso finalizzato a invertire le logiche delle quotidiane attività "mercantili", verso una migliore sensibilità per la nostra salute complessiva.

Nel volume ci sono materiali diverssi e una ricca documentazione, testimonianze e riferimenti, ma soprattutto la voce narrante di chi, in prima persona, ha sperimentato e sperimenta le meraviglie del "ben essere altrove"!

Il volume è stato pubblicato da una piccola casa editrice, fuori dai grandi circuiti editoriali.

Giorgi ama le citazioni e il suo libro ne è pieno.

Ogni sua affermazione è supportata da citazioni, che in alcuni casi rendono la lettura un po' discontinua.

Ma i pregi sono tanti.

Lanfranco Giorgi è un accompagnatore volontario in associazioni di escursionismo, ed è persona colta e curiosa, e - nel corso della sua attività - ha raccolto e ben amalgamato riflessioni molto interessanti sul camminare come strumento di benessere e di cura, gli aspetti psicologici del camminare, i suoi aspetti sociali, e le varie filosofie che parlano di camminare.

Il libro di Giorgi si conclude con il riferimento alla filosofia del camminare propria della Compagnia dei Cammini, scritta da Luca Gianotti.

Sempre in conclusione Giorgi cita il concetto elaborato dal sociologo Domenico De Masi, sull'"Ozio creativo" (e sviluppato nel volume  Ozio creativo. Conversazione con Maria Serena Palieri, Rizzoli, 2002) dove si elencano i beni rari della società del futuro, i beni che saranno la vera ricchezza. De Masi cita il pubblicista, scrittore e poeta Hans Magnus Enzensberger, secondo il quale sarà ricco in futuro chi possederà "il tempo, l'autonomia, lo spazio, la tranquillità, il silenzio, l'ambiente ecologicamente sano." De Masi, di suo, a questi "beni" aggiunge "la convivialità e la bellezza".

La conclusione di Giorgi, assolutamente condivisibile, è che noi camminatori siamo gli uomini del futuro, perché possediamo tutte queste cose, abbiamo tempo e non abbiamo fretta, siamo liberi e autonomi, abbiamo spazio e ambiente naturale sano in cui muoverci, il silenzio e la tranquillità sappiamo dove trovarla, ma anche la convivialità quando camminiamo in gruppo. E la bellezza è tutta intorno a noi, quando siamo nella natura. Ecco il manifesto del camminatore come uomo nuovo!

Per conoscere Lanfranco Giorgi, la Compagnia dei Cammini (Luca Gianotti) lo ha intervistato.

 

Lanfranco Giorgi, "Escursionismo: ben-essere altrove", La Caravella editrice, 2011, 13 euro

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1 novembre 2011 2 01 /11 /novembre /2011 21:24

msicaneve_sapienza.jpgDal 10 novembre 2011 sarà in libreria, il volume di Davide Sapienza, La musica della neve. Piccole variazioni sulla materia bianca, già quotato su ALPINIA.NET come  "Imperdibile del Mese" . Il volume vede la luce all'interno di una collana promossa congiuntamente dalla editrice italiana Ediciclo e dalla francese Transborèal, pensata per promuovere un progetto di "Piccola filosofia di viaggio" attraverso piccoli volumi tematici.

E' difficile, molto difficile, quasi impossibile, dare una definizione di quest'ultima opera di Davide Sapienza, un autore che Alpinia - Cose di Montagna apprezza molto per il suo modo di scrivere, ma soprattutto per il suo modo di essere.
Da Alpinia Davide è stato seguito con interesse fin dal suo primo libro: il mitico I diari di Rubha Unish, seguito dall'altrettanto bello La Valle di Ognidove, dei quali vi invitiamo a leggere le recensioni, dopo i quali l'autore sempre più affascinato dal grande nord e dalla neve si è tuffato su Jack London, di cui è diventato traduttore ufficiale nelle nuove edizioni, adeguate al nostro tempo e alle imprese straordinarie della ricerca dei Poli: Nansen, Shackleton , Scott...
Il bianco della neve, del ghiaccio, del whiteout, sono gli elementi chiave di questo piccolo libro, piccolo di formato naturalmente ma non di significati e di valore..., la neve come elemento di meraviglia, quasi un grembo materno, primigenio, eterno, che si deposita ovunque, che tutto ricopre e trasforma in un fiabesco scenario.
E' la sublimazione del suo concetto di Viaggio, la traversata della vita che ogni essere umano compie nell'intero arco della propria vita, il Viaggio dunque, che non cessa mai nemmeno di essere sogno, speranza e conoscenza di se stesso.
Ediciclo Editore e la casa editrice francese Transborèal hanno siglato una partnership per diffondere nel mercato editoriale italiano la preziosa collana “Piccola filosofia di viaggio”.
In Francia, già ricca di 32 titoli con un formato raffinato e originale, si è ritagliata un ottimo spazio nel settore della letteratura di viaggio arrivando a vendere, per singoli titoli, più di 10.000 copie, ecco che sapienza inaugura la versione italiana di questa saporita collana.
In nemmeno 100 paginette l'autore ha saputo riversare e condensare tutti i suoi precedenti pensieri, ha inserito il fluido straordinario di tutte le sue opere precedenti, senza duplicarne alcuna, prende per mano il lettore e lo porta nel suo mondo magico, non facile di primo acchito, ma tanto accattivante e bello da conoscere!

 

Davide Sapienza, La musica della neve. Piccole variazioni sulla materia bianca
Tutti sanno cosa è la neve ma quanti hanno pensato, con la materia grigia, alla materia bianca? Davide Sapienza, scrittore legato ai temi della natura, racconta un rapporto speciale: quello con la neve, con la sua danza, la sua musica, il suo messaggio, il suo mistero, il suo modo di essere inafferrabile e allo stesso tempo così presente. E lo fa con queste piccole variazioni letterarie che prendono spunto dal lungo tempo che ha trascorso e che trascorre sulla neve, con la neve, nella neve, mutando con lei.
La musica della neve parte dalle esperienze nella neve e nei ghiacci dalle Alpi all’Artico, utilizza i luoghi delle sue traversate e i dialoghi con la materia bianca, la più importante produttrice di silenzio, per trovare il proprio luogo interiore. È un racconto di trasformazione e metamorfosi, nella quale l’uomo si riflette e si riscopre. Piccole variazioni, su una musica misteriosa e magnifica.

La neve come rumore bianco, come silenzio assordante, come musica che ha infinite variazioni.
Dalle passeggiate con le ciaspole allo sci escursionismo, alle grandi attraversate in slitta: la neve che racconta, un modo diverso di viaggiare.

Davide Sapienza, tra i massimi cultori mondiali di Jack London (di cui è anche traduttore in Italia), esperto di esplorazione polare, ci conduce per mano nell’universo musicale della materia bianca.
“Davide Sapienza fa respirare il coraggio del confronto con la natura”, ha detto Gian Paolo Serino (La Repubblica)

 

Eccola.
Si avvicina veloce.
Il ghiaccio si spezza, verso est sono tanti i canali d’acqua aperta, lead, ghiaccio frastagliato, l’infinito deserto bianco
- la materia prima del nostro Viaggio Bianco.
A ovest, basse colline coperte dal ghiaccio e intanto la visione dei canali aperti, blu come il cielo - è la visione di una
mappa in continuo mutamento.
È la neve con il suo Cammino.

 

Davide Sapienza nato a Monza nel 1963, vive e lavora alle falde della Presolana, sopra il Lago d’Iseo. Scrittore, giornalista (La Stampa), fotografo e traduttore di Jack London e Barry Lopez, è esperto di esplorazione polare. Ha pubblicato I Diari di Rubha Hunish (Baldini Castoldi e Dalai 2004 e poi riedito da Galaad Edizioni nel 2011), La Valle di Ognidove (Cda Vivalda 2007), La strada era l’acqua (Galaad Edizioni 2010), L’invisibile canto del silenzio (EDUCatt 2010). Nel 2009 la Tv Svizzera Italiana ha realizzato La sapienza di Davide. Parole in cammino, documentario a lui dedicato. Sempre la Tv Svizzera ha di recente messo in onda La democrazia del camminare, di cui Sapienza è autore
e protagonista, servizio dedicato alla difficile situazione de l’Aquila dopo il terremoto.
Il suo sito è www.davidesapienza.net.

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29 ottobre 2011 6 29 /10 /ottobre /2011 16:42

La-mia-vita-in-bicicletta_Hack.jpgIn La mia vita in bicicletta (Ediciclo, 2011)  la celebre astrofisica Margherita Hack racconta la sua vita, centrandosi di più sugli episodi legati al suo rapporto con la bicicletta,  dando vita a un'autobiografia "ad altezza di manubrio".
Si parte dal triciclo per arrivare alla bici da corsa.
In mezzo ci sono i giochi al Bobolino, la scuola e le leggi razziali, i bombardamenti di Firenze, l'università, l'amore per gli animali, la conoscenza del suo futuro marito Aldo De Rosa, la passione per le stelle, l'Osservatorio, il suo traferimento a Trieste, le pedalalte sul Carso...

Il testo è preceduto da una prefazione di Patrizio Roversi.


Sintesi del volume. Montiamo in sella con Margherita Hack per ripercorrere con un'ironia garbata tutta toscana la sua vita al ritmo di dolci o sfrenate pedalate. La celebre astrofisica ci racconta come è passata dal triciclo alla bici da corsa. In mezzo ci sono le salite fiorentine; l'università; il secondo conflitto mondiale e il rifiuto di aderire al fascismo; l'amore per Aldo che, prima di diventare suo marito, fu grande amico d'infanzia e di giochi al Bobolino; la passione per il ciclismo e l'atletica; la carriera; l'affetto per gli animali; i viaggi all'estero; Trieste e le gite a due ruote a respirare libera nella natura, o le piacevoli nuotate a Barcola... Negli ultimi capitoli, quasi una pedalata civile, ci descrive il suo impegno culturale e politico, l'attenzione verso l'ambiente e le sue considerazioni sul dibattito dell'energia nucleare. Infine ci confida la vita nella sua "quarta giovinezza" lontana dalla bicicletta, ormai "appesa al chiodo", ma ancora ricca di sogni e di ideali. Prefazione di Patrizio Roversi.

 

La mia vita in bicicletta di Margherita Hack (breve intervista con immagini)

 


 
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26 ottobre 2011 3 26 /10 /ottobre /2011 23:47

psicoatleti-Enrico-Brizzi.jpg(Luca Gianotti, della "Compagnia dei Cammini"). Se Labbucci sostiene che i camminatori sperimentano dal vivo l'uguaglianza, perché in cammino scompaiono le distinzioni sociali ed economiche, di razza e di sesso, Enrico Brizzi ne "Gli psicoatleti" (Dalai Editore, 2011) canta le gesta di una fantomatica Società Nazionale di Psicoatletica che sarebbe nata 150 anni fa, nel 1861, e grazie al camminare avrebbe attraversato le epoche della storia italiana, schierandosi sempre con i valori positivi della società e del tempo, con Garibaldi, contro le guerre, contro gli stati nazionali ma anche contro la regionalizzazione, insomma Brizzi è chiaramente dalla parte dei camminatori, al punto da creare una mitologia a loro uso e consumo.
Dopo la lettura del suo ultimo romanzo, infatti, a chi non verrebbe voglia di creare davvero una Società di psicoatletica, visto che la storia è già scritta?

Brizzi è uomo schivo e dalle amicizie selettive (la sua banda di amici, quarantenni in crisi tra superficialità e profondità, è protagonista del libro) e quindi difficilmente si imbarcherà in una simile avventura, ma secondo lo statuto della Società di psiocoatletica il ruolo di nuovo presidente (o gubernator) toccherebbe proprio a lui!
Nella Società c'è anche un mistero, l'Uomo Verde, uno dei fondatori, dedito a pratiche occulte, crea una scissione e fonda una società segreta, la Confraternita dell'Uomo Verde, dedita "alla pratica del viaggiare a piedi sino alla sfinimento al fine di creare dentro di sé l'auspicato "deserto interiore".
Enrico Brizzi scrive bene. Ed è un bravo fotografo. Con le pupille e con le parole fotografa la realtà e la trasforma in romanzi. I suoi viaggi a piedi sono motivo d'ispirazione, e dal viaggio Italica 150, tutta l'Italia a piedi dall'Alto Adige alla Sicilia, nasce questo che è il suo romanzo più lungo perché è il cammino suo più importante.
Brizzi fotografa e poi ritocca, come chi usa Photoshop. Al punto che leggendo non si sa mai cosa sia ispirato alla realtà e cosa sia finzione. Fotografa, poi aggiunge un po' di mistero, un po' di avventura, un po' di storie d'amore. E il gioco è fatto, il risultato è eccellente.
Con questo romanzo si sarà conclusa una trilogia di storie in cammino, dopo "Nessuno lo saprà" e "Il pellegrino dalle braccia d'inchiostro"?

Non lo sappiamo, quel che è certo è che i camminatori in queste storie ci si ritrovano, e che un altro merito di Brizzi è di aver avvicinato tante persone giovani al camminare, e non è un merito da poco.
Un piccolo vezzo personale, per concludere. È la seconda volta che Brizzi mi inserisce in un suo libro. Questa volta è un suo compagno di cammino a dire "Ci rideranno tutti dietro!". "Tutti chi?" "La scena! Luca Gianotti, il CAI, ..." . "Luca Gianotti non lo conosci nemmeno...".

Questo ruolo del critico severo del mondo del camminare è molto divertente: mi ha subito portato alla mente il critico rompiglione per eccellenza, nelle parole di Guccini "Un Bertoncelli, un prete, a sparare caz...ate!"

 

Enrico Brizzi, "Gli psicoatleti", Dalai Editore, 2011, 20 euro

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20 ottobre 2011 4 20 /10 /ottobre /2011 09:04

ridIMG 2935Dal 3 ottobre 2011 è in libreria il volume di piccolo formato (25X18, in trasversale, con l'aspetto di un piccolo albumn da disegno), fatto di 80 pagine in quadricromia con 50 immagini e testi manoscritti da originali inediti, dal titolo Le OroVie di Andrea Aschedamini & Davide Sapienza, con prefazione di Max Pavan (Lubrina Editore, Bergamo).

Il volume si può anche reperire online su www.lubrina.it.

Il volume nasce dalla passione del camminare dei due Autori, ma anche da uno sconfinato amore per le Orobie che hanno fotografato e di cui hanno scritto, in taccuini di viaggio.

Il volume si presenta appunto come un taccuino di viaggio corredato di foto: foto d'autore e scatti d'autore dall'Inverno all'autunno, corredate da pagine che sembrano scritte a mano, quasi la riproduzione di pagine di taccuino appunto.

Grande suggestione delle immagini, ma anche delle parole che rinviano ad un'esperienza di rapporto intenso e profondo con la ineffabilità della montagna e con la sua bellezza, colto nel suo "farsi".

OroVie. Parole e immagini di Orobie segreteGli autori hanno scritto e fotografato e da questo loro attività è scaturito il libro, ma si potrebbe anche dire che  è stata la montagna a scriversi e a fotografarsi e che i due autori siano stati semplicemente un tramite, perchè la montagna potesse esprimersi.

Molto significativamente, il 3 ottobre, lo stesso giorno in cui il libro faceva la sua prima comparsa nelle librerie (la sua "nascita") i due autori hanno intrapreso un cammino simbolico su per la Presolana e, arrivati, sulla cima, hanno depositato il libro in un anfratto, dentro una semplice busta di carta.

Il libro sulle Orobie, così, è tornato alla montagna che lo ha ispirato.

Riporto di seguito una conversazione-intervista con Davide Sapienza, intercorsa con un breve scambio mail.

 

MC - A proposito, il libro come lo lascerete? All'interno di una protezione? Dentro una scatola impermeabilizzata o nudo e crudo, perchè con le intemperie possa in un certo senso tornare alla montagna che lo ha ispirato e che porta dentro di sè? Documenterete in qualche modo l'impresa?
DS - Faremo qualche foto, si. E anche un piccolo filmato che ti faremo avere sicuramente.
L'idea è di "chiuderlo" in un piccolo contenitore, ci è venuta ... stamane, ma dobbiamo ancora decidere. Siamo fatti così io e Asche ...Certo la tua idea di "farlo tornare alla montagna" mi stuzzica davvero molto... Ti faccio sapere, eccome.
MC - Questa vostra "impresa" di riportare il libro alla montagna, sembrerebbe anche qualcosa che ha a che vedere con il topos del messaggio chiuso nella bottiglia e abbandonata al mare e ai suoi capricci. Oppure mi fa venire in mente un altro topos strettamente correlato, applicato al vettore temporale più che a quello spaziale (a volte sfruttato nei film di science fiction) è quello della "capsula temporale", in cui - all'interno di un contenitore resistente agli assalti del tempo-  persone di oggi mettono documenti che li riguardano, testimonianze, manufatti o rappresentazioni grafiche (disegni e altro) su come pensano che sarà il mondo tra 50 o cento anni, in modo tale che le generazioni successive possano avere la sorpresa di trovare queste testimononianza, quasi una sorta di lascito che viene dal passato, e mettersi in contatto di pensiero con uomini e donne del passato che non sono più.

DS - Ciao mi hai letto nel pensiero... Ieri mi ha telefonato RADIO ALTA di Bergamo e lunedì mattina h 8.10 farò una telefonica, durante i preparativi della salita in Presolana qui da casa (ci vivo di fronte...)...e ho chiesto di mettermi Message in a Bottle dei POLICE!  Deciderò all'ultimo se lasciare il libro "nudo e crudo" o metterlo in una simbolica busta di carta, con dentro un messaggio... staremo a vedere...
(...)
MC - Come è andata l'impresa?

DS - L'operazione lunedì è andata molto bene. Salita splendida, ti allego qualche scatto fatto al volo senza pretese. Uno dei due soggetti è Asche l'altro l'amico Renzo, nativo di qui, e personaggio veramente unico...

 

 


 
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29 settembre 2011 4 29 /09 /settembre /2011 13:32
OroVie.-Parole-e-immagini-di-Orobie-segrete.pngDa ottobre sarà in libreria il volume di grande formato,  fatto di 80 pagine in quadricromia con 50 immagini e testi manoscritti da originali inediti, dal titolo Le OroVie di Andrea Aschedamini & Davide Sapienza, con prefazione di Max Pavan (Lubrina Editore, Bergamo).
Il volume si potrà anche reperire online su www.lubrina.it

 

Da alcuni anni Aschedamini e Sapienza girano insieme le Prealpi Orobie (le Prealpi bergamasche)  e particolarmente la zona di appartenenza del loro immaginario: la Presolana e le zone di confine rivolte alle Alpi. E qui, si sono conosciuti. Un giorno, proprio su queste frontiere immaginate dagli uomini, durante una magica escursione nel parco Adamello, i due vedono l’OroVia.
Pensano alle loro montagne e nasce l’idea di prendere nota, a mano, con i taccuini di Davide, e, nella visione, con gli scatti di Andrea.
Dedicare un libro alle Orobie, per loro, da subito è stato un atto d’amore: come dire, noi vi vediamo così, condividiamolo con chi le ama e cerca un’angolazione diversa per penetrare il loro segreto, almeno per l’attimo dell’immagine e del racconto che le terre alte narrano ai camminatori dei sentieri e delle cime.
Ecco perché il gioco di parole tra “Orobie” e “Orovie”: le OroVie sono i sentieri del cuore di una geografia rinnovata e
innocente, creata da un ciclo di stagioni che partono in Inverno e che conducono gli autori verso un luogo dove “non c’è la direzione giusta”.
Come due esploratori, gli autori invitano il lettore a seguirli nella spedizione orobica: per questo il libro è un diario speciale, un taccuino fresco di viaggio e che sa di Bellezza appena munta - non ancora filtrata.
Sono la meraviglia e lo stupore che nascono camminando per montagne e sentieri, per celebrare la ricchezza della Terra, la presenza delle creature terrestri e le zone selvagge.
Le OroVie non esibisce bensì invita, non impone ma stimola a partire per scoprire luoghi meravigliosi magari meno celebrati di quelli più famosi delle Alpi: ma che questa spedizione, sembra di capire, ci suggerisce essere ancora tutti da scoprire.
Con valenza tutta simbolica, ma che esprime pienamente il feeling profuso dai due autori nella loro scrittura, nel giorno dell'uscita ufficale del volume Davide Pazienza e Andrea Aschedamini andranno, a ora imprecisata, in vetta alla Presolana che tanto ha dato a questo loro lavoro durato due anni esatti, dall'estate 2009 a oggi e nasconderanno in un anfratto della montagna una copia. Chi la trova...la legga, e la rimetta a posto!
 
cammino-d-autore-le-mie-orovie-di-davide-sapienza.jpegDalla prefazione di Max Pavan:
 «Innanzitutto ci sono le parole, che puntellano le tappe di questo viaggio lungo - o verso - Le OroVie. E sono parole che, come sempre, Davide sceglie con un rispetto sacrale. Sono parole che hanno un corpo, una consistenza, che hanno “muscoli e cuore”. Sono lettere che si uniscono l’una all’altra sgorgando dall’energia che Davide imprime a ognuna di esse, e che trasmette al foglio, scrivendole di proprio pugno. C’è un enorme foglio bianco, che aspetta di ricevere i nostri pensieri: è il manto della neve, che arriva talvolta in anticipo, annunciata dalla pioggia, sua vestale, all’incontro con l’asperità della roccia, a coprire tutto. Ci sono i colori, che guidano il Giovane Camminatore, indicandogli “i sentieri sulla terra grassa”. C’è il vento, che con la sua presenza imponente ed elegante diventa “l’abito da sera della terra”. In questo più che in altri libri, Davide ci racconta un viaggio iniziatico, il suo itinerario, il percorso che la vita lo ha portato a compiere. è una delle tante strade che lui ha coperto, un cammino di cui ci vuole rendere partecipi.
Tante sono le lingue nelle quali possiamo scegliere di esprimerci. Qui abbiamo la fortuna di imparare un altro idioma: quello che traduce l’immaginazione. E' la lingua di Andrea Aschedamini, che ci racconta un viaggio fatto di attimi sospesi nei suoi scatti. I vocaboli di questa lingua sono le gocce di una sorgente, i soffi che sembrano disegnati sulla neve, foglie d’erba che osano puntare verso il sole. Le fotografie di Andrea ci fanno ascoltare il vento, avvertire il freddo, ci immergono nella nebbia che nasconde la valle in un’alba primaverile, e ci scaldano con l’ocra di un tramonto d’estate. Attraverso i suoi occhi, siamo condotti a scoprire un casolare ai margini di un bosco, accanto ad altri viaggiatori.
Cosa sono Le OroVie? Dove si trovano? Cercate, per gioco, tutte le assonanze che sembrano condurvi in luoghi di cui avete sentito parlare, e che forse sono a un passo da casa. Credo però che ognuno abbia la propria OroVia da scoprire, i propri passi da compiere
 
 
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20 settembre 2011 2 20 /09 /settembre /2011 07:55

zatopek locomotivaSi legge con piacere e provando grandi emozioni il libro rievocativo-biografica su Emil Zatopek "la locomotiva umana", "l'uomo cavallo" (come venne a più riprese chiamato nel corso della sua carriera sportiva) scritto da Marco Franzelli (Marco Franzelli, Zatopek. La locomotiva umana, Bianco e Nero Edizioni, 2011).

Il libro è di lettura fulminea: se si prende tra le mani si beve tutto sino all'ultimo. Come del resto è stata la carriera di corridore di Emil Zatopek, fatta di corse, di record, di medaglie d'oro e di imprese davvero strabilianti, tanto da far dire ad alcuni che - nel mondo dell'atletica, specificatamente della corsa di fondo, dai 5000 metri alla maratona - c'è un clinamen netto e preciso che divide il "prima-Zatopek dal "dopo-Zatopek".

Franzelli ricostruisce la storia di Zatopek dal suo inizio come corridore reclutato a partecipare ad una gara aziedale che, al termine della corsa, pur avendo mostrato di essere talentuoso, giurò a se stesso che non avrebbe più corso in vita sua sino a i trionfi più sublimi e alla sua apoteosi nello stadio di Helsinki, in occasioni delle Olimpiadi del 1952, quando realizzò un'impresa che nessuno dopo di lui riuscì a ripetere, vincendo tre medaglie d'Oro nelle tre discipline del fondo (i 5000 metri, i 10.000 e la Maratona), impresa tanto più incredibile se si considera che Zatopek, sino a quel giorno, non aveva mai gareggiato in una maratona.

Zatopek era un autodidatta, ma nello stesso attento a ciò che facevano gli  altri suoi avversari: osservava molto i suoi avversari e li ascoltava molto senza farlo parere, cercando di apprendere i loro segreti e le loro strategie di allenamento per poi applicarle su se stesso. Ma - e in questo anche il nostro Mennea dice qualcosa di molto di simile, quando parla delle sue esperienze di atleta - era fautore di allenamenti massacranti sia in termini di chilometri settimanali percorsi sia in termini di tipologie di allenamento (sino a correre in certi giorni con i pesanti scarponi militari ai piedi). Sulla base del principio che, quanto più hai sofferto in allenamento, tanto meno soffrirai in gara.

L'epica e l'epopea di Zatopek sono marchiate anche dal suo stile di corsa inconfondibile: sempre a bocca aperta (diceva che così l'aria affluiva meglio nei polmoni), con un ricuts in volto che sembrava esprimere sempre una grande sofferenza (ma intanto le sue gambe volavano) e un movimento delle braccia scomposto, strano, sincopato.

 

Del volume cito questo passaggio che ho trovato emozionante:

Emil-Zatopek 1071078"All'approssimarsi del ventesimo chilometro, Zatopek e Jansson balzarono su Peters, in evidente difficoltà. I tre continuarono in compagnia, finchè Zatopek - così si racconta - non si rivolse agli altri due dicendo, in inglese: 'Prima d'ora non ho mai corso una maratona, ma non credete che dovremmo andare un po' più forte?'.

Nè Peters né Jansson si sentirono di rispondere.

Emil decise a quel punto che era meglio andarsene per conto suo.

E lo fece.

(...)

Zatopek 3Arrivato alla cima e accingendosi alla discesa, si accorse di essere rimasto solo. Anche Jansson si era staccato.

Emil ci rimase quasi male, si era persino abituato a quela silenziosa presenza. Per un attimo pensò addirittura di rallentare per farsi raggiungere, ma Jansson non faceva che perdere metri su metri. Troppi.

(...)

Al trentacinquesimo chilometro, Emil aveva 700 metri di vantaggio su Jansson, sfinito e sul punto di essere ripreso da Gorno in rapida rimonta.

Emil strinse i denti, ricaccio indietro il dolore, sul volto la smorfia che più smorfia non avrebbe potuto e gettò il cuore oltre tutti gli ostacoli.

Fu in quel momento di estrema sofferenza che capì davvero cos'è correre la maratona. (pp.118-120)

Poi alla fine del 1953, dopo aver stabilito il nuovo primato del mondo nei 10.000 fermando l'orologio sui 29'1" e 6 decimi, rirende ad allenarsi in modo forsennato, per altre imprese, forse per il suo canto del cigno.

zatopek4Franzelli: "Forte di quell'impresa e pur avendo ormai 31 suonati, si gettò in un inverno di allenamenti matti e disperatissimi. Mai neanche nei suoi giorni d'oro, Emil aveva sfidato in quel modo selvaggio l'umana resistenza alla fatica. Come se l'avversario da battere non fosse più il cronometro, ma l'inesorabile passare del tempo, che lo stava allontanando dalla sua felice giovinezza sportiva.

Nel mese di febbraio percorse 910 km; 935 a marzo; 832 ad aprile, 78o a maggio, 865 a giugno. Alla fine dell'anno la somma totale raggiunse i 7888 chilometri. Conquistò altri due record del mondo. Domenica 30 maggio 1954 aveva migliorato quello dei 500 metri di Gunder Hagg che resisteva da 12 anni, correndo in 13'57" e 2 decimi. Si era quindi trasferito a Parigi e due giorni dopo, il 1° giugno, aveva concluso i 10.000 metri diventando il primo uomo capace di coprire la distanza in meno 29 minuti: 28'54" e 2 decimi" (pp.125-126).

Rinunciò alle corse dopo 17 anni di carriera e dopo aver tentato una seconda volta la distanza di Maratona, alle Olimpiadi di Melbourne nel 1956., dove con grandissima sofferenza, ma sempre con dignità e rispetto degli altri, arrivò sesto:

"Dopo il traguardo, Emil rifiutò ogni soccorso, si tolse il berrettino, si inginocchiò e affondò il viso nell'erba giallastra del prato. Forse pianse" (p. 129).

Il libro di Franzelli, nel raccontarci di Zatopek sportivo, ci parla anche dell'uomo e della sua rettitudine. Per aver espresso il suo dissenso sulla violenta repressione messa in atto dai sovietici al tempo della "Primavera di Praga" venne declassato dal suo rango nell'Esercito (era arrivato ai gradi di Colonnello) e venne costretto a lavori umili e massacranti, prima nelle miniere di uranio, poi come spazzino e, alla fine, dopo sei anni, quando si convinse a firmare una ritrattazione del Manifesto della Primavera di Praga, come oscuro archivista nel Centro di documentazione dello sport di Praga, fino alla riabilitazione degli ultime dopo la "rivoluzione di velluto".

Emil Zatopek è stato un grande dello Sport, ma soprattutto un grande uomo: e Franzelli, nelle sue pagine, ci fa percepire tutto questo in maniera magistrale.

 

Il volume è preceduto da un'introduzione di Walter Veltroni, mentre al termine della narrazione, viene riportato un excerpt della cronaca di Gianni Brera della Maratona di Helsinki e della vittoria di Zatopek.

 

Un glossario di termini tecnici e una bibliografia integrano in modo egregio il volume, corredato in più dalle belle illustrazioni di Umberto Mischi.

 

 

Vedi anche

Zátopek, la locomotiva umana. Marco Franzelli rivisita la vita e le grandi imprese sportive d'uno dei miti del fondo prolungato e della maratona

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Presentazione

  • : Ultramaratone, maratone e dintorni
  • : Una pagina web per parlare di podismo agonistico - di lunga durata e non - ma anche di pratica dello sport sostenibile e non competitivo
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  • Ultramaratone, maratone e dintorni
  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.
  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.



Etnatrail 2013 - si svolgerà il 4 agosto 2013


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Il perchè di questo titolo

DSC04695.jpegPerchè ho dato alla mia pagina questo titolo?

Volevo mettere assieme deio temi diversi eppure affini: prioritariamente le ultramaratone (l'interesse per le quali porta con sè ad un interesse altrettanto grande per imprese di endurance di altro tipo, riguardanti per esempio il nuoto o le camminate prolungate), in secondo luogo le maratone.

Ma poi ho pensato che non si poteva prescindere dal dare altri riferimenti come il podismo su altre distanze, il trail e l'ultratrail, ma anche a tutto ciò che fa da "alone" allo sport agonistico e che lo sostanzia: cioè, ho sentito l'esigenza di dare spazio a tutto ciò che fa parte di un approccio soft alle pratiche sportive di lunga durata, facendoci rientrare anche il camminare lento e la pratica della bici sostenibile. Secondo me, non c'è possibilità di uno sport agonistico che esprima grandi campioni, se non c'è a fare da contorno una pratica delle sue diverse forme diffusa e sostenibile. 

Nei "dintorni" della mia testata c'è dunque un po' di tutto questo: insomma, tutto il resto.

Archivi

Come nasce questa pagina?

DSC04709.jpeg_R.jpegL'idea motrice di questo nuovo web site è scaturita da una pagina Facebook che ho creato, con titolo simile ("Ultramaratone, maratone e dintorni"), avviata dall'ottobre 2010, con il proposito di dare spazio e visibilità  ad una serie di materiali sul podismo agonistico e non, ma anche su altri sport, che mi pervenivano dalle fonti più disparate e nello stesso tempo per avere un "contenitore" per i numerosi servizi fotografici che mi capitava di realizzare.

La pagina ha avuto un notevole successo, essendo di accesso libero per tutti: dalla data di creazione ad oggi, sono stati più di 64.000 i contatti e le visite.

L'unico limite di quella pagina era nel fatto che i suoi contenuti non vengono indicizzati su Google e in altri motori di ricerca e che, di conseguenza, non risultava agevole la ricerca degli articoli sinora pubblicati (circa 340 alla data - metà aprile 2011 circa - in cui ho dato vita a Ultrasport Maratone e dintorni).

Ho tuttavia lasciato attiva la pagina FB come contenitore dei link degli articoli pubblicati su questa pagina web e come luogo in cui continuerò ad aprire le gallerie fotografiche relative agli eventi sportivi - non solo podistici - che mi trovo a seguire.

L'idea, in ogni caso, è quella di dare massimo spazio e visibilità non solo ad eventi di sport agonistico ma anche a quelli di sport "sostenibile" e non competitivo...

Il mio curriculum: sport e non solo

 

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Statistiche generali del magazine dalla sua creazione, aggiornate al 14.04.2014

Data di creazione 12/04/2011
Pagine viste : 607 982 (totale)
Visitatori unici 380 449
Giornata record 14/04/2014 (3 098 Pagine viste)
Mese record 09/2011 (32 745 Pagine viste)
Precedente giornata record 22/04/2012 con 2847 pagine viste
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