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23 gennaio 2015 5 23 /01 /gennaio /2015 06:52

E' uscito da non molto un nuovo saggio di Pietro Trabucchi, Tecniche di resistenza interiore. Come sopravvivere nella nostra società (Mondadori, 2014). Questa volta si tratta di un manualetto su come affrontare le difficoltà e resistere alla sfida che esse comportano e non soltanto in ambito sportivo, ma nella vita in generale.
Secondo la visione di Trabucchi, infatti, uno dei mali del nostro tempo è che a poco a poco ci sia de-temprati, a causa di modi di vivere non corretti e che si sia persa la capacità di affrontare le difficoltà e le crisi che fanno da corredo inevitabile al vivere.
Questo volume che si aggiunge ai due precedenti studi di Trabucchi Resisto dunque sono (sottotitolo: Chi sono i campioni della resistenza psicologica e come fanno a convivere felicemente con lo stress, 2007) e Perseverare é umano, (sottotitolo: Come aumentare la motivazione e la resilienza negli individui e nelle organizzazioni. La lezione dello sport, 2012), 
entrambi editi da Corbaccio, vuole anche porsi come paletto segnavia per un nuovo percorso educativo.


Pietro Trabucchi è un esperto di resilienza, di quella particolare capacità di non indietreggiare di fronte alle difficoltà, di non perdere la speranza, di apprendere dalle catastrofi, di rialzarsi dopo le sconfitte. L'ha insegnata e l'ha trasmessa a tanti campioni del nostro sport. Di quegli sport difficili e duri che hanno poco risalto sulle pagine dei giornali e richiedono una dedizione assoluta: lo sci di fondo, il triathlon, l'ultramaratona. Lo sport, però, non è l'unico campo di applicazione della resilienza: il fisico, anche se allenato, declina, ma la forza mentale può continuare a crescere sino all'ultimo. L'individuo resiliente presenta una serie di caratteristiche psicologiche inconfondibili: è un ottimista, è fortemente motivato a raggiungere gli obiettivi che si è prefissato; di fronte a sconfitte e frustrazioni è capace di non perdere comunque la speranza. 
In questo libro Trabucchi ci insegna ad applicare le tecniche della resilienza alla nostra quotidianità. Nessuno di noi vorrebbe trovarsi ad affrontare difficoltà e picchi di stress, ma se non si possono evitare, è importante avere tutti gli strumenti per resistere e non soccombere.
"Una serie di fattori culturali ed uno stile di vita scorretto indeboliscono le nostre capacità psicologiche. Queste sono le vere radici della crisi che investe le società avanzate".
Prima ancora che economica, la crisi da cui tutti ci sentiamo attraversati si sta rivelando, essenzialmente, interiore. Nella nostra società, caratterizzata dal venir meno dei tradizionali vincoli di fiducia e di responsabilità, assistiamo infatti a un progressivo indebolimento delle forze mentali e motivazionali degli individui. Se, come sembra, il dominio incontrastato della tecnologia ha tracciato l'unico orizzonte possibile di futuro, non vale più nemmeno la pena chiedersi se Internet ci renda stupidi o intelligenti. La risposta c'è già: essere sempre connessi con un altrove, "condividere" ogni esperienza per la paura di non percepirla come davvero reale, ci sta trasformando in persone disattente, distratte, dissociate. Se non utilizzate in maniera consapevole, le tecnologie digitali - computer, social network, smartphone - riducono la capacità di rimanere concentrati anche per pochi istanti su di un obiettivo, minano le nostre fondamenta corporee e percettive. Sono tanti i fattori educativi e culturali legati allo stile di vita che determinano un simile scenario: crediamo che ogni minima difficoltà possa essere affrontata e superata per mezzo di pillole o aiuti esterni; ci sentiamo demotivati quando la nostra volontà individuale è ostacolata perché in antitesi con la propensione al consumo; miti come "il talento" o le "capacità innate" - supportati dal ricorso a una genetica non di rado fraintesa erodono la fiducia nelle capacità personali del soggetto... 
Sotto l’innocua apparenza di un manuale self-help, Trabucchi conduce una critica documentata e profonda della nostra società in tempo di crisi, mostrando gli effetti cerebrali di molte pratiche quotidiane. Nonostante il linguaggio ironico, il risultato è agghiacciante: la nostra è la società del crollo delle risorse interiori. 
Eppure il libro non è affatto privo di speranza. Possiamo ancora farcela se non staremo fermi ad aspettare che siano le riforme politiche o amministrative a salvarci. Se cominceremo noi per primi ad allenare le nostre risorse interiori. 
Attingendo alla sua esperienza di preparatore mentale di campioni soprattutto nelle performance che implicano un'ultra-resistenza, come a quella di docente universitario e ricercatore, Trabucchi ci mostra una serie di tecniche per recuperare e sviluppare quello straordinario patrimonio di risorse psicologiche che chiamiamo con il nome di “resilienza”.

 

Pietro Trabucchi durante una delle recenti presentazioni del suo ultimo libro.

Pietro Trabucchi durante una delle recenti presentazioni del suo ultimo libro.

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17 gennaio 2015 6 17 /01 /gennaio /2015 07:40
Running for their lives. La storia appassionante di Arthur Newton e di Peter Gavuzzi, due pietre miliari nella storia delle ultramaratone

(Maurizio Crispi) Il volume di Mark Whitaker, "Running for their lives. The extraordinary story of Britain's greatest ever distances runners" (Yellow Jersey Press, London, 2012) traccia la storia di due straordinari personaggi che scrissero pagine memorabili nella storia delle ultramaratone, proprio nel periodo in cui dopo l'avvio degli sport olimpici, le ultramaratone caddero in declino perché considerate delle discipline non "pure", in quanto spesso (ma non esclusivamente), frequentate da podisti che, per affrontare delle sfide particolarmente ardue, accettavano (o andavano alla ricerca) di premi in denaro, spesso al di fuori del contesto di gare nel senso che noi attribuiamo oggi a questo termine e frequentemente in solitaria. 
I due personaggi di cui Whitaker ci racconta sono Arthur Newton e Peter Gavuzzi, di origini diverse, di cultura diversa, con stili personali profondamente differenti (Arthur Newton, uomo elegante nello stile upper class, mentre Gavuzzi decisamente di origini proletario; britannico Newton e di origini latine (franco-italiane) il secondo; alto e dal portamento elegante l'uno, basso e tarchiato l'altro), ma legati sin dal loro primo incontro da una profonda stima reciproca e da un intenso sentimento di amicizia (per quanto, a lungo, dopo la loro prima conoscenza alla prima edizione della America Foot Race, a lungo Gavuzzi continuò a rivolgersi a Newton, con l'appellativo di "Mister"). 
I due compirono straordinarie imprese sportive, tra le quali la partecipazione alle prime due edizioni della "Foot Race Across America" (rispettivamente nel 1928 e nel 1929).
Arrivarono alla prima edizione di quella che poi venne definito il "Bunyons' Derby") con motivazioni diverse: Newton venne direttamente invitato alla partecipazione dall'impresario Charles C. Pyle che organizzava la corsa con intenti spettacolari e lucrativi (ma le cose sotto questo profilo non andarono del tutto secondo le attese), in quanto già detentore dei record mondiali sulle principali distanze riconosciute di ultramaratoa, mentre il secondo ci arrivò attirato dal grosso premio in denaro offerto al primo classificato (e in subordine al secondo e al terzo, in misura ovviamente minore).
Gavuzzi completò entrambe le due Trans-America cui partecipò, mentre Newton in entrambe le gare fu costretto al ritiro, per giocare per il resto del tempo il ruolo di consulente tecnico della corsa e di supporto qualificato agli atleti rimasti in lizza.
I due, dopo il loro incontro, decisero di fare impresa comune e di trarre dal loro talento per la corsa di che vivere.
Il libro, scaturente da ricerche accurate e dalla meditata consultazione della bibliografia esistente al riguardo, oltre che dalla lettura di preziose fonti, rimaste inedite - come i taccuini di appunti personali stilati da Peter Gavuzzi nel corso degli anni - è costruito in maniera eccellente.
I primi capitoli sono dedicati ad analizzare i percorsi differenti seguiti dai due atleti sino al momento cruciale della loro conoscenza.
Segue un capitolo interamente dedicato alla 2^ edizione della Trans-America, che rappresentò l'esordio della loro impresa congiunta: qui Newton fu costretto al ritiro dopo essere stato investito da un automobile durante la sua corsa, mentre Gavuzzi - dopo essere stato il leader della corsa nelle ultime tappe e avendo acquisito un vantaggio di una decina di ore sul secondo in classifica - per volontà di Pyle (trasmessagli da Newton) dovette rallentare per mantenere viva la tensione agonistica e accrescere la curiosità del pubblico, sulla cui preenza numerosa Pyle contava per accrescere i suoi guadagni. E poi nell'ultima tappa, per un disguido voluto, si fece in modo che la Trans-America se la aggiudicasse sul filo del rasoio proprio il secondo in classifica.
Trappole dello sport utilizzato come intrattenimento e come spettacolo lucrativo: un'argomentazione a favore di coloro che hanno successivamente fomentato l'idea che le ultramaratone, a differenza della purezza della maratona olimpica fossero soltanto un fenomeno da baraccone.
Poi, si parla della loro parentesi statunitense e canadese, dopo la fine della Trans-America, quando la maggior parte dei finisher in zona premiazioni (e titolati a spartire il ricco monte.premi che era stato promesso da Pyle, andato nel frattempo in bancarotta) vollero rimanere nelle "vicinanze" nella speranza di riscuotere delle somme di denaro che avrebbero potuto cambiare le loro vite (e ricordiamo che siamo nei pressi del grande crack economico del 1929).
Specialmente in Canada la cooperazione sportiva di Newton e Gavuzzi si approfondì e, qui, parteciparono a numerosi eventi ed altri li organizzarono essi stessi, tramutandosi in "impresari": e fu la la volta delle gare podistiche sulle racchette da neve e delle spettacolari "500 miglia Relay" nelle quali agirono sempre in coppia, dividendosi fatiche e guadagni.
Poi, si separarono: Newton rientrò in Inghilterra, desideroso di tentare di migliorare il record della 100 miglia su di un percorso certificato (allora, soprattutto per le ultradistanze, gli atleti venivano appositament ein UK per tentare i loro record poiché le distanze venivano più accuratamente misurate e i risultati ottenuti di conseguenza non sarebbero stati  messi in discussione), mentre Gavuzzi rimase in Canada e qui, per un breve arco di tempo, ebbe fortuna allenando dei Canadesi che si distinsero nella ardua Maratona di Boston: e, infine, rientrò in Francia dove trascorse gran parte del resto della sua vita.
I due rimasero in contatto epistolare: Newton scriveva all'amico e compagno di imprese, tenendolo aggiornato sugli eventi sportivi e invitandolo a volte a raggiungerlo in UK.
Gavuzzi, in qualche misura, ebbe minore fortuna, anche perchè la sua vita venne scossa dagli eventi del II conflitto mondiale e dalla sua lunga permanenza in un campo di prigionia tedesco.
Newton, invece, pur continuando la sua pratica giornaliera della corsa (in applicazione dei suoi principi di igiene del corpo e delle strategie di allenamento) sino ad un'età avanzata, non gareggiò più, ma si mantenne comunque dentro la dimensione del correre sia pure da outsider. per quanto di eccellenza.
Se da un lato, diede un contributo alle principali e più popolari riviste di atletica, non senza toni polemici, per i motivi che verranno accennati sotto, fu soprattutto per atleti emergenti che si affacciavano al mondo delle ultramaratone con l'animosità giovanile di volerne scrivere nuove pagine memorabili, un punto di riferimento e un vero e proprio guru, con una processione ininterrotta di atleti che dalle più diverse nazioni del Commonwealth approdavano al suo cottage di Ruislip (nei pressi di Londra) per ricevere consigli ed essere direttamente allenati da lui.
Vedi anche questo articolo che tratta di alcune sue teorie (semplici e dirette) in merito all'allenamento in vista di una ultramaratona: 
Running History: Arthur Newton on Pacing in Training vs. Races (1935)
Negli anni successivi Gavuzzi e Newton si incontrarono.
Gli ultimi capitoli sono dedicati a trattare separatamente le fasi finali della vita di Arthur Newton e di Peter Gavuzzi.
Arthur Newton, morendo, lasciò a Peter Gavuzzi che gli sopravviveva (tra i due vi era una differenza di età di circa 15 anni) il proprio personale volume di ritagli (scrapbook) con tutte le foto e gli articoli giornalistici riguardanti le loro impree comuni: un dono commovente, perchè soltanto Peter Gavuzzi avrebbe potuto comprenderne il valore prezioso.
Come curiosità, Arthur Newton che cominciò a correre relativamente tardi nella sua vita (quando aveva già compiuto 38 anni), nel periodo compreso tra il 1922 e il 1935, percorse - come risulta dalle sue scrupolose annotazioni giornaliere - 102.733 km che alcuni considerano la "marcia di protesta" più lunga che sia mai stata fatta, poichè, nella sua motivazione iniziale, Newton ambiva a raggiungere dei livelli di eccellenza e di notorietà tali che gli consentissero di denunciare pubblicamente le ingiustizie di cui era stato vittima come farmer da parte del governo sudafricano (allora prevalentemente afrikaner) con la possibilità di essere ascoltato.
Ma poi le circostanze della vita lo portarono altrove e il senso della motivazione iniziale si perse e fin^ con il diluirsi, rimanendo tuttavia la corsa come ragione di vita.

Uno dei paragrafi del capitolo deidcato agli anni inglesi di Arthur Newton tratta delle sue "teorie"  - acuisite con la sua esperienza di autodidatta -in merito all'allenamento per le ultradistanze, teorie che peraltro egli stesso sistematizzò in due brevi volumetti, oggi introvabili e che, assiduamente, egli cercava di travasare con i necessari adattamenti agli atleti che si rivolgevano a lui per avere una guida efficace nelproprio allenamento.

Il volume di Whitaker é assolutamente da leggere per capire a fondo la storia delle ultramaratone nel corso del XX secolo e del motivo per cui le ultra di corsa vennero escluse in modo radicale dal consesso agonistico dominato dalle Federazioni nazionali di Atletica (e, alle loro spalle, dal CIO), relegandole a residuo di quelli che nell'Ottocento venivano chiamati "sport pedestri". 
Arthur Newton dopo aver scritto alcune splendide pagine sportive e ad aver conquistato i record britannici nelle maggiori distanze di ultramaratone, con i suoi scritti si accanì (lottando per una giusta causa) per cercare di chiarire quanto fosse vana e risibile la distinzione tra sport professionistici ed amatoriali, ma fu anche un "guru" non ufficiale per chiunque intendesse cimentarsi nell'allenamento finalizzato a correre un'ultramaratona, come Peter Gavuzzi del resto. 
E, negli ultimi anni che gli restarono da vivere, dopo che le riviste di atletica (dominate dal controllo quasi dittatoriale della federazione atletica inglese) gli preclusero la pubblicazione dei suoi articoli, la sua abitazione divenne meta di atleti che venivano a trovarlo anche da altri paesi del mondo per chiedergli consiglio e supervisione.
Purtroppo, manca una traduzione di questo interessantissimo testo in Italiano, ma la sua edizione in lingua originale é facilmente rintracciabile su Amazon.UK.
E' un libro di cui consiglio la lettura a tutti coloro che vogliano conoscere più a fondo la storia del movimento delle ultramaratone.
Ma per approfondire si può anche leggere il volume fondamentale (e lo é stato anche per Whitaker nella stesura del suo libro), Tea with Mr newton. 100.000 miles the longest protest march in history, di Rob Hadgraft (Desert Island books, 2009), pure reperibile su Amazon.

(Dalla quarta di copertina) In 1928 two extraordinary Englishmen competed in an unprecedented and fearsome event - a transcontinental road race across America that required them to run an average of 40 miles for 80 consecutive days. They were to become the most famous long-distance runners in the world: yet history has forgotten them.

Peter Gavuzzi was a young working-class ship's steward, while Arthur Newton was a middle-aged intellectual who had taken up running to make a political point. Though separated by class, education and age, they became close friends and formed a successful business partnership as endurance athletes. They raced in 500-mile relays, in 24-hour events, in snowshoes and against horses; and they became the stars of a craze for endurance events that swept across depression-era North America. But as professional runners they were eschewed by the amateur running elite.
Set against a turbulent backdrop of 1920s South Africa, 1930s Canada, war-torn France and 1950s Britain, Running for Their Lives is a story peopled with remarkable characters, unimaginable feats and tragic twists of fate. More importantly it is a homage to two inspirational and eccentric men who only now receive the recognition they so richly deserve.

 

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31 dicembre 2014 3 31 /12 /dicembre /2014 06:43

La lunga corsa di Forrest Gump: una Trans-america ripetuta più volte in tre anni consecutivi di seguito... e così facendo diventa un guru, senza saperlo...

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26 novembre 2014 3 26 /11 /novembre /2014 05:49

Il ragazzo che cavalcava il vento. Una storia di corsa e coraggio, di uomini nati per correre al paese dei TarahumaraCon la pubblicazione nel corso del 2014 del saggio-memoir-libro di viaggio sulla corsa tra i Tarahumara di Christopher McDougall, Born to Run (Mondadori, 2014), ridiventa attualissimo e stimolante leggere - o rileggere - il romanzo di Leonardo Soresi, Il ragazzo che cavalcava il vento. Storia di corsa e coraggio, di uomini nati per correre (Ponte alle Grazie, 2011)., proprioperché èambientato "al paese dei tarahumara" ed è ispirato alla corsa come stile di vita e come pratica di iniziazione a cui tutti si sottopongono, nessuno escluso (comprese le donne anche se in forma minore). Il romanzo di Soresi che nasce pure da un'esperienza personale di contatto con questi luoghi "mitici", quelli percorsi da Tarahumara e da Caballo Blanco,prende le mosse proprio da alcuni dei pericoli che insidiano i Tarahumara e di cui McDoygall accenna nel suo libro. I danni prodotti dalla civilizzazione e le forti spinte alla sedentarietà, ma soprattutto la prossimità con i narcotrafficanti che, se in passato si risolveva con un ignorarsi vicendevole, in anni successivi (e questo lo accenna McDougall sul finire della sua storia) ha cominciato ad assumere dei connotati pericolosi.
Proprio per questo rinnovato interesse, mi sento di proporre una nuova recensione per il libro di Soresi che già aveva ricevuto spazio su questo magazine sin dal 2011, quando il volume era stato appena pubblicato per "Spirito Trail". Ma è lusinghiero il fatto che pochi mesi dopo il titolo sia stato ripreso da una casa editrice italiana di rilievo e quindi messo in distribuzione con mezzi più efficaci.


Sintesi. Javier Buendia, giovane Tarahumara di 17 anni, è costretto ad assistere alla violenza dei narcotrafficanti che si impossessano della sua terra e uccidono suo padre. 
Da lì inizia una storia di riscatto che lo porterà a correre la Western States Endurance Run per far conoscere a tutto il mondo il drammatico destino degli Indios Tarahumara.

(La presentazione del volume nel sito web della Casa editrice) Il rarahipa (o anche raramuri) è un rito di iniziazione degli indios messicani Tarahumara, che abitano le strette gole del Barranca. C’è una palla da calciare, da inseguire e da calciare ancora, lungo gli impervi e riarsi tornanti del canyon. Fino a quando non cadono sfiniti tutti i concorrenti tranne uno, che viene proclamato vincitore. Tocca anche a Javier partecipare alla gara, essere dunque iniziato alla fatica e all’ebbrezza della corsa che, per il suo popolo – nato per correre –, è molto più che un’attività sportiva: è una tradizione antichissima, un tratto fondamentale dell’identità.
Questa competizione sarà per Javier una vera e propria entrata nella vita adulta: l’inizio di un percorso che lo porterà a varcare il confine degli Stati Uniti d’America per misurarsi con i migliori corridori in una gara che non sarà solo una grande sfida con se stesso e con i propri limiti, ma anche un modo per rivalersi di torti subiti, per dare voce al suo popolo e alla sua terra. 

La corsa diventa così strumento di rivalsa, libertà, espressione della propria identità e potenza.

Alcuni giudizi
"In questo libro Leonardo Soresi travasa tutta la passione per la corsa in natura e i suoi protagonisti"(Correre)

"E' prima di tutto una grande avventura quella raccontata nel primo impegno narrativo di Leonardo Soresi" (Il Messaggero Veneto)

Un brano. "Correva lassù, sopra le nuvole che ancora non avevano lasciato il fondovalle, quasi fossero un enorme gregge di pecore, e si sentiva parte di qualcosa di più grande. Era come se la lunga notte trascorsa sulle creste rocciose del canyon lo avesse condotto a tu per tu con l'infinito."


Nota sull'autore. Leonardo Soresi è nato a Udine nel 1973. Ha partecipato, tra le altre, al Grand Raid de Ile de La Réunion, alla Marathon des Sables, al The Coastal Challenge. Nel giugno del 2009 è stato il primo italiano ad aver portato a termine la Western States Endurance Run, la 100 miglia più importante del mondo tra le montagne della Sierra Nevada.
Il ragazzo che cavalcava il vento, apparso già per Spirito Trail nel 2011, è il suo primo romanzo.



Vedi anche in questo magazine l'articolo pubblicato il 23.12.2011, quando il volume era stato appena pubblicato per "Spirito Trail": Il riscatto e la crescita personale di un Indio attraverso la corsa nell'opera prima di Leonardo Soresi

 

E la recensione al volume di Christopher McDougall:  Born to Run. Uno straordinario libro - avvincente, ironico e appassionato - sulla corsa estrema. Un omaggio ai superrunner Tarahumara e al mitico Caballo Blanco che non c'è più

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19 novembre 2014 3 19 /11 /novembre /2014 22:20

Le infradito di Buddha. Attraverso un viaggio apiedi nel Ladakh uno sguardo ironico, ma serio, sulle filosofie e religioni del luogo, ma anche un elogio del lento camminareE' uscito nel corso del 2014 per i tipi di Ponte alle Grazie, il volume di Zap Mangusta, Le infradito di Buddha. Guida orientale per disorientati. 
Zap Mangusta è un famoso conduttore radiofonico, scrittore, uomo eclettico, teatro, televisione, appassionato di filosofia. Ha scritto libri di successo dai titoli dissacranti: Le mutande di KantI calzini di He
gelIl flipper di Popper, Platone e la legge del pallone. E anche questo nuovo Le infradito di Buddha non è da meno.

In questovolume va alla scoperta della filosofia e della religione dell’India, e lo fa con un viaggio a piedi, in Ladakh: un trekking che gli ha consentito di entrare in contatto diretto con l’induismo, il buddhismo, il jainismo, trereligioni che convivono in quest'area e con la filosofia indiana.

Ogni capitolo racconta una parte del viaggio e approfondisce un aspetto della filosofia orientale. Il racconto del trekking è interessante, i compagni di avventura sono un gruppo eterogeneo, persone diverse da tutto il mondo, ognuna con aspetti da scoprire, belli e meno belli. E in ogni capitolo si approfondisce un pensiero, da Patanjali a Buddha, da Nagarjuna a Mahavira.
C’è anche spazio per l’amore, con l’apparizione di una bellissima giovane donna indiana, Palmo, di cui Zap si innamora, è l’occasione per parlare del Kama, passione e amore insieme, e del Kamasutra.
Poi c’è l’esperienza di una salita alpinistica facile, su una cima di seimila metri, il Kang Ya Tze, occasione per parlare di Sri AurobindoKrishnamurti e Osho: filosofia e religione divulgate in modo intelligente.

La conclusione del libro sembra aver portato a Zap Mangusta un'Illuminazione sul valore del camminare lentamente e del rallentare: nelle ultime due pagine egli riflette che ci sono due modi di fare un viaggio.
Il primo modo vede il percorso come una separazione, qualcosa che ci divide dalla meta finale. Quindi il percorso va fatto in fretta, non è che un ostacolo, una seccatura.
Poi c’è il secondo modo di affrontare un viaggio: quello in cui il percorso è un collegamento, una linea che unisce. L’itinerario diventa il motivo del viaggio. Non c’è alcun motivo di scalpitare, perché siamo già dentro la meta.

Questa lentezza, questo incedere pacato, ha sempre fatto sorridere noi occidentali… ma quando ci si muove con troppa rapidità e con troppa disinvoltura, come facciamo noi, le cose sfilano veloci davanti ai nostri occhi e non si riesce a distinguere niente. Se invece il percorso è parte della meta, beh, all ora bisogna compierlo, camminando lentamente”.
E conclude ormai votato alla filosofia della lentezza: “Dovremmo andare tutti più piano, perché se il nostro corpo va troppo veloce diventa più debole e altrettanto esile diventa la sua capacità di centratura e di forza interiore… Ci dimentichiamo troppo spesso che il corpo è l’interfaccia dello spirito e lo spirito ha bisogno di lentezza”. 

Le infradito di Buddha. Attraverso un viaggio apiedi nel Ladakh uno sguardo ironico, ma serio, sulle filosofie e religioni del luogo, ma anche un elogio del lento camminareDal risguardo di copertina. "Grazie per aver aperto questo libro. Che c'è dentro? Non lo saprete mai, se non lo leggete. Ma vi daremo qualche piccola indicazione. Giusto per disorientarvi un po'. Se non siete disposti a deragliare di un millimetro dalle vostre rassicuranti abitudini, dal primo caffè mattutino all'ultimo film prima di andare a letto, questo libro non vi serve. Se non vi solletica l'idea di incontrare sui sentieri meno battuti dell'Himalaya filosofi orientali demolitori dell'Io, architetti della Supermente, maestri della deprogrammazione razionale, virtuosi dello zen e pensatori straordinariamente originali e spiazzanti, questo non è il vostro libro. Se non sentite il richiamo delle leggende indiane, dei punti di vista radicalmente opposti e non siete attratti dall'inatteso, rimettete pure il libro sullo scaffale. In giro troverete qualcosa di più interessante. Se invece siete curiosi, amate gli sguardi inediti e vi attira l'idea che una cultura agli antipodi della nostra possa condurci per mano in un'eccitante ricerca di prospettive nuove, allora questo libro fa al caso vostro. Date fiducia alla vostra mente, se volete che essa ricambi." (Zap Mangusta)

Un brano. "La gente nomale studia, si fidanza, cerca un lavoro, un partner con cui fare un figlio, si compra uno smartphone per comunicare con lui, poi accende un mutuo e (se glielo concedono) va all'IKEA. Anche io queste cose le ho fatte, ma ritengo che ogni tanto nella vita sia necessario compiere qualche atto di volontario deragliamento che imprima una forte deviazione alla quotidianità, modificandone il percorso. Perché? Beh, io credo che questo tipo di esperienze regali alla coscienza delle occasioni insolite per setacciarsi dentro e fare l'inventario delle proprie risorse. Dobbiamo continuare a evolverci. Non è questo il formidabile karma del genere umano?...
Perché proprio l'Himalaya? Forse avrei potuto sciegliere qualcosa di meno impegativo, ma certe volte sembra che la vita ci dia una spintarella sul deltoide per condurci dove le pare. Che poi è sempre il posto migliore in cui avremmo dovuto trovarci, al momento.

Zap Mangusta – “Le infradito di Buddha”, Ponte alle Grazie 2014 – 15 euro

 

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16 novembre 2014 7 16 /11 /novembre /2014 05:53
Born to Run. Uno straordinario libro avvincente, ironico e appassionato sulla corsa estrema. Un omaggio ai superrunner Tarahamura e al mitico Caballo Blanco che non c'è più
(Maurizio CrispiNel panorama dei tantissimi libri sul running, comparsi negli ultimi anni nel mercato librario, il volume scritto da  Christopher McDougall, Born to Run. Un gruppo di superatleti, una tribù nascosta e la corsa più estrema che il mondo abbia visto (Mondadori, Collezione Strade Blu, Non Fiction, 2014; edizione originale: 2009) possiede delle qualità straordinarie ed è destinato, probabilmente, a divenire un "cult" per tutti gli amanti della corsa - e non solo. Notizie dall'interno e dall'esterno da luoghi esotici del pianeta corsa, derivanti da una ricerca appassionata condotta da uno che non è solo giornalista, ma anche runner di discreto livello e curioso sperimentatore.
Cos'é dunque, innanzitutto? Difficile da dire, perchè riesce ad essere tante cose contemporaneamente e su livelli che s'intersecano e s'intrecciano. E' la storia di un'avventura di viaggio, ma anche di un'esperienza personale attraverso il running, una rassegna dei più "pazzi" rappresentanti delle corse di lunga durata, un esempio notevole di "gonzo" journalism, depurato di tutti gli aspetti stupidi e demenziali alla maniera di Hunter S. Thompson, ma anche omaggio profondo alle culture antiche dei popoli corridori e, quindi, per questo motivo, anche saggio di rilevanza antropologica in alcune sue parti.
Si legge dall'inizio alla fine con estremo interesse, appassionandosi: è uno di quei libri che si è dispiaciuti di dover portare a termine, perché si vorrebbe poter rimanere ancora a lungo in compagnia di quella storia che è, nello stesso tempo, una molteplicità di storie talmente caleidoscopiche che danno la vertigine.
Born to Run. Uno straordinario libro avvincente, ironico e appassionato sulla corsa estrema. Un omaggio ai superrunner Tarahamura e al mitico Caballo Blanco che non c'è piùQual'è l'elemento rivelante e rivelatore che Born to Run porta avanti? Attraverso le esperienze personali e anche con la giustapposizione d'una quantità di storie, di personaggi e di popoli diversi, la tesi fondamentale è che siamo "nati per correre" e non semplicemente per camminare e che la spinta al cambiamento radicale che portò l'uomo di Neanderthal all'estinzione e l'Homo sapiens a prevalere fu proprio la capacità di correre per lunghe distanze, che lo rese competitivo nella caccia alle prede nelle grandi pianure. Tutto ciò è raccontato non semplicemente sulla base di opinioni che, per quanto affascinanti, rimangono pur sempre opinioni, ma riportando all'attenzione del lettore inoppugnabili evidenze e testimonianze. E, in tutto questo, uno degli assi fondamentali è il viaggio alla scoperta del popolo corridore dei Tarahumara e la sfida didar vita ad una corsa estrema proprio nei territori naturali di questo popolo, utilizzando come intermediario un mitico personaggio, n runner bianco che da tempo aveva sposato la causa dei Tarahumara, che ammirati dalle sue gesta e dalle sue grandi capacità lo avevano "adottato", fregiandolo dell'appellativo di "Caballo Blanco" (al secolo Micah True) di cui, alla fine del volume, Christopher McDougall ci racconterà la storia che lo portò ad essere un runner a partire dalla condizione di pugile girovago che accettava incontri per scommessa (qualche tempo dopo la pubblicazione del volume Caballo Blanco, in circostanze fortuite è morto, proprio mentre correva).
Tra i tanti aspetti rilevanti emergono inoltre le diete "rivoluzionarie" per il runner a partire dall'esempio fornito dall'alimentazione base degli stessi Tarahumara, oppure tutte le approfondite e avvincenti (nonché convincenti) digressioni sulle cosiddette "scarpe tecniche da corsa" in quanto dispositivi che portano inesorabilmente all'infortunio poiché privano il piede, struttura complessa, delle sue naturali capacità di ammortizzamento e soprattutto della sua sensibilità propriocettiva, ottundendola alla lunga, e sulla bellezza (e i vantaggi) del correre a piedi scalzi, oppure al massimo utilizzando dei leggerissimi sandali (che - quasi come rito d'iniziazione - i Tarahumara si fabbricano da sè.
Il tutto supportato da interviste a personaggi competenti ed informati che, in barba al "verbo" delle ditte produttrici di scarpe da corsa esprimono la loro opinione supportata se non da evidenze scientifiche da elementi statistici che sembrano parlare chiaro, tanto da indurre alcune ditte a "cavalcare la tigre" con la l'avvio di linee di produzione innovative, come è stato nel caso delle cosiddette "Fivefingers", prodotte dalla VIBRAM.
Born to Run. Uno straordinario libro avvincente, ironico e appassionato sulla corsa estrema. Un omaggio ai superrunner Tarahamura e al mitico Caballo Blanco che non c'è piùIl libro negli Stati Uniti ha avuto un enorme successo ed è rapidamente diventato "cult". In Italia forse un po' meno, anche se ci sono alcuni esperti e preparatori che stanno cominciando ad attenzionarlo.
Secondo me, tutti coloro che amano la corsa dovrebbero leggere e meditare. 
(Dal risguardo di copertina) «Nel giro di poco tempo avrei avuto a che fare con un omicidio, con guerriglie tra narcotrafficanti e con un uomo senza un braccio che correva tenendo una ciotola di formaggio sulla testa ... In seguito mi sarei imbattuto in un Batman scalzo, nel Nudista, nei Boscimani Kalahari, nel Mutilato delle Unghie dei Piedi... e, infine, nell'antica tribù dei Tarahumara e nel loro tenebroso discepolo Caballo Blanco. E tutto ciò mi è capitato solo perchè nel gennaio del 2002 feci al mio medico una semplice domanda: "perchè mi fa male il piede?
Christopher McDougall, giornalista, ex inviato di guerra e runner dilettante, in questo libro ci racconta il suo viaggio avventuroso sulle tracce dei Tarahumara, una popolazione che vive nei selvaggi Copper Canyon dello stato messicano di Chihuahua. I Tarahumara - "il popolo più gentile, più felice e più forte della terra" - sono i più grandi runner di tutti i tempi, capaci di correre decine di chilometri in condizioni estreme senza apparente fatica e senza subire infortuni. Il loro segreto consiste in una dieta frugale ma perfettamente equilibrata (se escludiamo il topo alla griglia e un distillato locale piuttosto alcolico di cui sono ghiotti), in una tecnica della corsa particolarmente efficace e in un atteggiamento mentale più simile alla saggezza del filosofo che all'aggressività a cui i nostri campioni ci hanno abituato.
Born to Run. Uno straordinario libro avvincente, ironico e appassionato sulla corsa estrema. Un omaggio ai superrunner Tarahamura e al mitico Caballo Blanco che non c'è piùCoinvolgente e ironico, McDougall punteggia il suo racconto di aneddoti su grandi corridori del passato come Emil Zatopek o Roger Bannister, e di singolari scoperte, arricchite di consigli tecnici e dati scientifici, sul mondo delle ultramaratone. Sapevate che la dieta ideale per un ultramaratoneta è quella vegetariana? E che più le scarpe da running sono ammortizzate più sono pericolose, e che quindi il modo migliore di correre è indossare le scarpe peggiori? E avreste mai immaginato che i corridori raggiungono il picco della velocità a 27 anni, dopo di che comincia un lento ma inesorabile declino? Ma anche che a 65 anni, grazie all'allenamento, possono ottenere le stesse prestazioni di quando ne avevano 19?
Pieno di personaggi incredibili, di prestazioni atletiche strabilianti ed inesauribile fonte di ispirazione per ogni amante della corsa, Born to Run racconta un'avventura epica, ma soprattutto sfata il luogo comune che vede in noi umani dei camminatori, rivelandoci che - in realtà -, sorprendentemente, siamo nati per correre.
Christopher Mc Dougall è stato corrispondente di guerra per l'Associaciated Press e collabora con "Men's health". Finalista per tre volte del National Magazine Award, ha scritto per "Esquire", "The New York Times Magazine", "Outside", "Men's Journal", e "New York".
E' lui stesso runner e si allena correndo tra le fattorie Amish attorno a casa, nelle campagne della Pennsylvania. 
Christopher McDougall è su Facebook con una sua pagina, nel cui contesto è possibile trovare un'incredibile quantità di link che consentono di approfondire alcuni dei temi da lui trattati.

 

 

 

 


 
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15 novembre 2014 6 15 /11 /novembre /2014 05:18

La Mia Corsa... continua. Luca Panichi racconta se stesso e la sua corsa contro il cancro(Maurizio Crispi) Luca Panichi è un atleta di grandi risultati. Nato a Firenze il 20 dicembre 1969, si è dedicato precocemente all'Atletica, sino ad arrivare - all'esperienza per lui esaltante della maratona, partecipando alla maratona di New York (2001), dove ebbe l'emozione di classificarsi 47° assoluto, con il crono di 2h27'00 anche se il suo personal best nella distanza lo aveva conquistato qualche anno prima - nel 1996 - proprio nella sua Firenze, con il crono di 2h24"10. Ma figura anche nel suo palmarés un bellissimo tempo di 1h06'00 sulla Mezza, ottenuto alla Stramilano del 1993, per non parlare del 29'52"30 a Bagni di Lucca sui 10.000 nel 1992.
E' dunque un atleta a pieno tondo che, successivamente, si è dedicato - pur continuando a correre - all'attività di preparatore atletico con i settori giovanili, giungendo ad occupare anche la posizione di Responsabile Tecnico FIDAL per la Corsa in Montagna della Regione Toscana, ma è stato anche coach e preparatore di atleti di rilevanza nazionale, come è il caso di Barbara Cimmarusti che egli personalmente ha accompagnato per la partecipazione al Campionato europeo 100 km del 2013 (svoltosi a Belves, Francia).

Per lui il 14 dicembre 2012 è stato una data fatidica, perchè - dopo un periodo di incerti malesseri e acessi di stanchezza inspiegabile - gli è stato diagnosticato un tumore.
All'apprendimento della notizia, hanno fatto seguito momenti drammatici e di scoramento, ma non è passato molto e Luca si è messo in assetto di gara, pronto a raccolgliere la sfida più importante, animato dalla speranza di potercela fare, di poterla spuntare contro un avversario potente.

Luca Panichi ha deciso di raccontare se stesso e la sua gara contro la malattia in un libro che ha scritto con la collaborazione di Vania Piovosi, basandosi su quanto ha preso scrivere quotidianamente in un suo blog appositamente creato, "La mia vita di corsa", che ha rappresentato la base da cui sono stati poi tratti i materiali per la costruzione del volume
Nel suo libro, dal titolo "La Mia Corsa... continua", Luca ci raconta la sua storia di uomo e di atleta, intersecata con quella dell'avvento della malattia e dei vari passi intrapresi nella lotta disperata contro di essa: una decisione coraggiosa la sua, ma motivata dalla necessità di lasciare una testimonianza sul fatto che gli insegnamenti che ciascun atleta trae dalla sua pratica sportiva possono essergli utili e preziosi per affrontare successive difficoltà nella vita.
Una testimonianza che è indirizzata a tutti coloro che hanno creduto in lui, ad amici e a parenti, ma soprattutto, ai due figli amatissimi, Federico e Irene. 

La Mia Corsa... continua. Luca Panichi racconta se stesso e la sua corsa contro il cancroFiducia, speranza fede, amore e grinta: ecco le qualità e le virtù che Luca Panichi sta mettendo in atto giorno per giorno in questa sua ultima e fatidica battaglia. 
Ma anche l'amicizia e la capacità di dare e ricevere: come testimoniano le numerose voci raccolte in un apposito capitolo, dove tanti dicono la prorpia su Luca, usando parole di stima, affetto, incoraggiamento. Tutte le cosrse, anche quelle più terribili come è la corsa contro il cancro, hanno bisogno di un pubblico di fan che con i suoi incitamenti trasmetta un messaggio positivo e di solidarietà, all'atleta che è impegnato nella sua battaglia solitaria.

Il volume è introdotto da una breve introduzione di Stefano Mei, amico di Luca Panichi nella vita e nello sport.

Il volume di Luca Panichi è stato già presentato a Bologna in una delle tre giornate della manifestazione "Run for The Cure" che ha avuto luogo tra il 26 e il 28 settembre (alla sua 8^ edizione), ma ha già ottenuto nel web molte ed entusiastiche recensioni.

Il ricavato delle vendite del volume andrà al Reparto di Oncologia dell'Ospedale Santa Maria Annunziata di Firenze e all'Associazione "www.pierogiacomelli.com". 

 

 

Intervista con Luca Panichi

 

 
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26 settembre 2014 5 26 /09 /settembre /2014 06:11

Essere Corsa. Il volume di Pietro Cristini, espressione di 50 anni di passione per la corsaE' disponibile nelle librerie (oppure online) il libro di esperienze podistiche di Pietro Cristini, Essere Corsa, Edizioni del Faro (Trento), in edizione rinnovata (2014). E' un libro davvero interessante che riguarda lo sport ed in specifico l'atletica ed i suoi vari aspetti.

La vendita del libro ha finalità solidaristiche destinando i proventi ad iniziative di integrazione per soggetti affetti da sindromi particolari come specificato nell'allegato comunicato. 

Ed è, soprattutto, un libro per chi corre o ama la corsa 

(Pietro Cristini) Da oggi è disponibile sul mercato editoriale la nuova edizione di Essere Corsa che si presenta con una rinnovata veste grafica (Editore Del Faro Trento) rispetto alla prima che aveva ottenuto una segnalazione speciale al 44°Concorso letterario CONI ed un un secondo classificato al XIV Premio Letterario Nazionale di Ostana (Cn),  riscuotendo un discreto successo nel mondo podistico amatoriale e della critica.
Edizione che si presenta ampliata ed aggiornata e, spero, migliorata nella forma ed in alcuni contenuti. 
Rimane il titolo originale a cui sono affezionato che è identico a quello del sito internet di riferimento (www.esserecorsa.it) allestito appositamente per accogliere novità ed aggiornamenti perché un testo sulla corsa non è mai realmente terminato. 
I contenuti, frutto di un’esperienza cinquantennale a contatto con il mondo della corsa sono rivolti ai suoi tanti volti: da quelli squisitamente tecnici come le principali metodiche di allenamento, alle visioni sulla corsa di resistenza di grandi maestri come Lydiard e Van Aaken,a i possibili caratteri di una corsa perfetta, alle probletiche connesse con il contatto con gli agenti atmosferici, alle riflessioni su cosa si pensa correndo, all’allenamento mentale, alle corse estreme, passando per temi come la corsaterapia di cui si avvale il Progetto Filippide, il momento poetico, la dimensione spirituale.
Il testo si completa poi con un ampio ed aggiornato dizionario dei termini tecnici più comuni ove trovano spazio la specialità dei trails con notazioni sulla “Tre rifugi Val Pellice” e sul “Tour Monviso Trail“.
Le tabelle finali “A quale velocità corro” ed “Sviluppo massima frequenza cardiaca per età“ possono essere considerate utili supporti per chi vuol praticare la corsa con consapevolezza e sicurezza.
Il volume si chiude con la “Ballata del runner” che racchiude considerazioni su un particolare modo di intendere e praticare la corsa  
Il ricavato del mio scrivere, dedotte le spese di “produzione”, finanzierà, come la prima edizione, progetti che pongono la corsa come strumento di integrazione per soggetti affetti da sindromi particolari di cui si occupa, ad esempio, con successo il Progetto Filippide sul territorio nazionale, città di Torino compresa, attraverso l’OnlusAutismo e sport”di cui sono attualmente direttore tecnico.
Un libro no-profit, una goccia per alimentare un immenso mare di bisogni.  
Questa edizione si presenta sul mercato attraverso due soli canali di vendita, scelta obbligata per chi - come me - non è legato ad un editore dotato di budget promozionali.
Il libro può quindi essere richiesto al seguento recapito mail: cristinipietro@hotmail.it o direttamente all’editore cliccando qui).(http://www.edizionidelfaro.it/libri/essere-corsa).
Il costo del libro è di 17,00 
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19 settembre 2014 5 19 /09 /settembre /2014 09:11
Nel suo libro, Alberto Sciamplicotti tenta di dare risposte alle domande: Cos'è l'avventura oggi? E' possibile viverla senza mistificazioni? Quali avventure?E' uscito di recente il volume di Alberto Sciamplicotti, La seduzione dell’avventura. Piccole scuse per fughe verso l'ignoto (Ediciclo 2014), già recensito su questo magazine (clicca qui).

In un'intervista che ha rilasciato in occasione dei suoi 70 anni, Reinhol d Messner ha dichiarato che il suo stile di alpinismo ha fallito, sono rimaste solo due forme di pseudo-alpinismo, secondo lui, che nulla hanno a che vedere con il vero alpinismo, uno è il puro gesto sportivo l’altro è il turismo.
Come dargli torno? Entrambi questi alpinismi, quello della salita più veloce e quello delle spedizioni commerciali, non riescono più ad appassionare, se non gli sprovveduti, i superficiali e coloro che sono attratti dall'apparenza. Manca il gesto esplorativo, manca l’avventura.
Li libretto che Alberto Sciamplicotti, alpinista romano, ha pubblicato con Ediciclo, è una raccolta di pensieri sul concetto di avventura.
Cos’è l’avventura?
Ed è ancora possibile l’avventura?
Secondo Sciamplicotti l’avventura è composta di due parti, uno esterna a noi e una interna a noi.
C’è avventura se il territorio è un territorio da esplorare, sconosciuto e misterioso.
Mari, deserti, alte montagne.
E c’è avventura se noi viviamo in modo avventuroso, con la capacità di spaesarci, perderci. Se il primo aspetto va a diminuire, perché c’è rimasto ben poco da esplorare in questo mondo, si può ancora vivere l’avventura se noi ci predisponiamo mentalmente all’avventura: lasciamo a casa mappe, gps, strumenti. E anche vicino a casa, abbandoniamo i sentieri segnati per scoprire un bosco o una valle fuori sentiero. 

Avventura, per Sciamplicotti, è affrontare un'incognita, e uscire indenni dal confronto. Perché in caso contrario si parlerebbe di dis-avventura.
Altra riflessione di Sciamplicotti è nel confronto tra avventura e gesto sportivo. Sono l’esatto contrario, lo sport è privo di incognite e si svolge in tempi ben definiti, spesso tempi brevi, certamente sempre più brevi di una vera avventura (all'infuori delle gare di endurance, nelle diverse discipline praticabili, il cui successo al giorno dopo deriva dal fatto che garantiscono la possibilità di vivere l'avventura in luoghi non lontani da quelli dove si svolge il nostro quotidiano. In quest’ultima il tempo si dilata, non è quasi mai controllabile.
L’avventura però deve essere fattibile e praticabile: non si deve sempre andare alla ricerca dell'estremo. Essere sempre sconfitt,i non ci fa essere veri avventurosi.
Ecco che l’avventura mentale è possibile anche dietro casa, con risultati quasi altrettanto forti della traversata del Polo Nord. Nella vita qualche volta è utile e necessario osare l’avventura, questo è il mio pensiero e sicuramente la pensa come me anche Alberto Sciamplicotti.

(Dal risguardo di copertina) L’avventura è il viaggio della vita, l’andare verso l’incognito conoscendo solo il punto di partenza. Un’irrequietezza che da sempre ha agitato l’animo dell’uomo fin da quando, nel bel mezzo delle savane africane, ancora non uomo ma non più nemmeno scimmia, provava ad alzarsi sulle
zampe posteriori per poter vedere oltre quel mare d’erba, per provare a intuire cosa c’era oltre l’orizzonte. Attraverso riflessioni costellate di racconti e aneddoti, dall’avventura dell’esploratore polare Ernest Shackleton a quella
vissuta sull’Everest dallo sciatore giapponese Yuichiro Miura, dal viaggio in aerostato di Andrée alle traversate oceaniche in barca a vela di Bernard Moitessier, l’autore Alberto Sciamplicotti prova a dipanare quel filo che lega
l’esistenza dell’uomo al desiderio di scoperta e di avventura. Una ricerca senza fine perché sempre nuova.
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1 settembre 2014 1 01 /09 /settembre /2014 17:26

Il-corridore.jpg(Maurizio CrispiIl libro di Marco Olmo e di Gaia De PascaleIl corridore. Storia di una vita riscattata dallo sport (Ponte alle Grazie, 2012), contiene l'appassionante racconto in prima persona della vita di Marco Olmo. Da un certo punta di vista, si pone in continuità con il volume di Franco Faggiani, frutto di una serie di interviste fatte a Marco Olmo, durante un intero anno di corsa e di vita, e scritto e pubblicato quasi in sovrapposizione alle riprese del bel documentario (pure uscito nel 2008) di Paolo Casalis e Stefano Scarafia che venne presentato nel settembre di quell'anno a Chamonix in occasione di The North Face®Ultra-Trail du Mont-Blanc®, con il titolo "The Runner - Il Corridore". Il volume di Faggiani, che si intitola "Correre é un po' volare. Conversazioni con Marco Olmo", è stato - come riconosce Gaia De Pascali nei doverosi ringraziamenti a fine volume, un prezioso punto di partenza.
Questo scrissi a suo tempo in una breve presentazione del volume di Faggiani sul sito della IUTA

Un uomo normale che fa cose straordinarie. Questa la definizione più calzante di Marco Olmo, l’ultramaratoneta piemontese che a 61 anni continua a salire sul podio delle più prestigiose gare internazionali. Quelle che attraversano montagne e deserti, quelle che impongono terreni, dislivelli e temperature impressionanti.  Per gli specialisti dell’ultra trial Marco Olmo è un autentico mito, anche se a lui questa definizione non piace. Un mito - prima ancora che per i suoi risultati decisamente eclatanti - per il suo coraggio, la sua tenacia, le sue caratteristiche atletiche e soprattutto umane. 
Per la prima volta in assoluto Marco Olmo si racconta, dopo aver esplorato i cassetti intimi della memoria e della sua vita molto riservata. 
Un libro scritto con toni vivaci, frutto di una serie di conversazioni fatte camminando per i sentieri nei boschi, seduti nel giardino di casa e a margine delle competizioni più importanti.
Tre i capitoli per un totale di 158 pagine: l’uomo, la preparazione, l’azione. Una sezione centrale è occupata da fotografie inedite e spesso insolite. Il testo si presenta in forma di intervista, in cui affiorano a ritmo incalzante sensazioni, ricordi, consigli, timori, curiosità, piccoli colpi di scena.

Ma questo libro che mi auguro tutti i runner (e non solo quelli) dovrebbero provare a leggere c'è molto di più. Si scava più in profondità e viene fuori un Marco Olmo, che assume quasi i contorni di un personaggio hemingwaiano (ma ho in mente specialmente Santiago, il fiero protagonista del breve, fulminante, romanzo "Il Vecchio e il Mare"). Infatti, nella storia che in quest'opera abbiamo il piacere di leggere  si definisce e si circostanzia ancora meglio il concetto della corsa come "occasione di riscatto" che nell'opera di Faggiani già compariva, senza che peraltro ciò che vi stava dietro venisse approfondito perchè Faggiani mirava soprattutto a presentare lo sportivo.

La storia di Marco Olmo si legge bene, appassiona: soprattutto nel modo in cui si delinea il lento percorso di avvicinamento che, attraverso esperienze diverse e molti sogni, lo ha portato ad intraprendere l'umile fatica del corridore sulla lunghe distanze, quasi mai sull'asfalto, soprattutto tra le montagne e su per esse sino al cielo e nei deserti, sino a farlo diventare un "faticatore del cielo, dei monti e delle sabbie", ma sempre umile e modesto.
Presto divenuto, uno dei numero uno dell'ultratrail di alcuni anni fa, ma quasi per caso, senza aver mai desiderato con forza spasmodica: i risultati per lui sono arrivati così, quasi naturalmente e per giunta ad un'età di inizio del running non più giovanissima, ma sempre in applicazione della sua caparbietà, mai disgiunta da un atteggiamento prudente senza sconfinamenti nel superominismo.
Marco Olmo ha scritto delle belle - bellissime - pagine nella storia dell'ultratrail, ma sempre con una immancabile nota di malinconia a condire le sue vittorie e i suoi momenti più fulgidi e con la lucida consapevolezza che tutto finisce e che i successi che si collezionano sono destinati a rimanere soltanto nel ricordo (e nei trofei collezionati) e che dopo aver tagliato l'ultimo traguardo da vincente (che riscatta vincendo la sua condizione di perdente), potrebbe anche non esserci un altro traguardo da poter tagliare in pole position o addirittura da poter tagliare in assoluto.
C'è dunque sempre - serpeggiante - l'idea della fine e della perdita, anche se la forza che lo ha spinto a correre è scaturita dalla necessità di sopperire a quel senso di perdita e al desiderio di poter concretizzare in qualche modo i propri sogni: arrivare quasi a toccare il cielo salendo in vetta alle montagne impervie, essere inebriato dall'orizzonte luminoso dei deserti, accettare le sfide più difficoltose delle più impegnative gare in natura, con determinazione e con la sua "natura da mulo", un mulo che a testa bassa e con cocciutaggine tira avanti, senza cedere e senza incertezze, malinconico e pensante, pieno di cose da dire e da raccontare senza nessuno sfoggio da miles gloriosous (che oggi purtroppo contraddistingue taluni runner delle più giovani leve), ma con l'umiltà del pellegrino che tanti viaggi e tante imprese ha affrontato alla ricerca di se stesso e per incontrare anche per un solo attimo i suoi sogni più radiosi.

Il libro che è scaturito dalla fatica congiunta di Marco Olmo (nella parte del narratore) e di Gaia De Pascale che ha orientato il discorso sulle tematiche più interessanti, ha ricevuto mentre era in fieri, il contributo in termini di preziosi consigli (che hanno consentito proficue correzioni di rotta) da parte di amici runner e non, quali Luisa Balsamo, Andrea Martini, Simone Regazzoni, Dario Viale.

E' un libro imperdibile per chi ama la corsa sulle lunghe distanze e l'Ultratrail, ma anche il tema delle sfide con se stesso.
Molti dei pensieri espressi da Marco Olmo meriterebbero una citazione testuale tanto sono profondi. Ma é ben difficile fare una scelta di quelli da citare: nelcorso della lettura,prima di scrivere questa recensione, avevo preso a segnarne alcuni che ritenevo idoneo per una citazione testuale, ma poi poi mi sono reso conto che così procedendo avrei segnato tutto il libro e ho lasciato perdere, limitandomi soltanto a fare delle piccole annotazioni qua e là per la mia memoria personale. E, quindi, è bene lasciare che ciascuno trovi nel suo racconto i suoi stimoli alla riflessione e i punti di contatto con quella che nella sua semplice verità é un'esperienza di vita universale. 
La storia di Marco Olmo è talmente emblematica che Gaia de Pascale ha dedicato a lui, quasi un intero capitolo (e uno dei primi) della sua successiva opera sulla corsa e sul correre, Correre è una filosofia. Perché si corre (Ponte alle Grazie, 2014).

 

(Dal risguardo di copertina) All'inizio di questo racconto c'è un uomo che si guarda allo specchio e si chiede: "Sono davvero io quel vecchio lì?" Il suo corpo non nasconde affatto il peso dei suoi sessantatré anni. Nessuno direbbe mai che ha la stoffa del campione. Del vincitore che non ti aspetti. E non in uno sport qualunque, ma nell'ultra trail, una disciplina estrema che significa decine, centinaia di chilometri di corsa sui terreni e nei climi più impervi, sulle Alpi o nei deserti. Marco Olmo è stato boscaiolo e camionista, infine operaio per ventun anni in una grande cementeria della provincia piemontese. Poi, all'improvviso, è iniziata la sua straordinaria avventura di corridore.
Apparentemente un po' tardi per la sua età. Ma Olmo viene dal "mondo dei vinti", dal mondo delle montagne sconfitto dalla civiltà industriale. La sua traiettoria è ben di più di un eccezionale exploit sportivo, è un'occasione unica di riscatto, una vittoria profondamente umana. È da lì che il corridore distilla, misura lentamente la sua forza. Marco Olmo si guarda allo specchio, si conta le rughe. "Quel vecchio lì", magro e capace di sopportare fatiche immani, non ha intenzione di fermarsi, e già immagina la prossima gara. "Conosco il mio corpo, e so dove mi può portare. Lontano"

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Presentazione

  • : Ultramaratone, maratone e dintorni
  • : Una pagina web per parlare di podismo agonistico - di lunga durata e non - ma anche di pratica dello sport sostenibile e non competitivo
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  • Ultramaratone, maratone e dintorni
  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.
  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.



Etnatrail 2013 - si svolgerà il 4 agosto 2013


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Il perchè di questo titolo

DSC04695.jpegPerchè ho dato alla mia pagina questo titolo?

Volevo mettere assieme deio temi diversi eppure affini: prioritariamente le ultramaratone (l'interesse per le quali porta con sè ad un interesse altrettanto grande per imprese di endurance di altro tipo, riguardanti per esempio il nuoto o le camminate prolungate), in secondo luogo le maratone.

Ma poi ho pensato che non si poteva prescindere dal dare altri riferimenti come il podismo su altre distanze, il trail e l'ultratrail, ma anche a tutto ciò che fa da "alone" allo sport agonistico e che lo sostanzia: cioè, ho sentito l'esigenza di dare spazio a tutto ciò che fa parte di un approccio soft alle pratiche sportive di lunga durata, facendoci rientrare anche il camminare lento e la pratica della bici sostenibile. Secondo me, non c'è possibilità di uno sport agonistico che esprima grandi campioni, se non c'è a fare da contorno una pratica delle sue diverse forme diffusa e sostenibile. 

Nei "dintorni" della mia testata c'è dunque un po' di tutto questo: insomma, tutto il resto.

Archivi

Come nasce questa pagina?

DSC04709.jpeg_R.jpegL'idea motrice di questo nuovo web site è scaturita da una pagina Facebook che ho creato, con titolo simile ("Ultramaratone, maratone e dintorni"), avviata dall'ottobre 2010, con il proposito di dare spazio e visibilità  ad una serie di materiali sul podismo agonistico e non, ma anche su altri sport, che mi pervenivano dalle fonti più disparate e nello stesso tempo per avere un "contenitore" per i numerosi servizi fotografici che mi capitava di realizzare.

La pagina ha avuto un notevole successo, essendo di accesso libero per tutti: dalla data di creazione ad oggi, sono stati più di 64.000 i contatti e le visite.

L'unico limite di quella pagina era nel fatto che i suoi contenuti non vengono indicizzati su Google e in altri motori di ricerca e che, di conseguenza, non risultava agevole la ricerca degli articoli sinora pubblicati (circa 340 alla data - metà aprile 2011 circa - in cui ho dato vita a Ultrasport Maratone e dintorni).

Ho tuttavia lasciato attiva la pagina FB come contenitore dei link degli articoli pubblicati su questa pagina web e come luogo in cui continuerò ad aprire le gallerie fotografiche relative agli eventi sportivi - non solo podistici - che mi trovo a seguire.

L'idea, in ogni caso, è quella di dare massimo spazio e visibilità non solo ad eventi di sport agonistico ma anche a quelli di sport "sostenibile" e non competitivo...

Il mio curriculum: sport e non solo

 

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