All'arrivo della Abbots' Way 2011, a Bobbio, dei biker balordi sono arrivati in zona arrivi e si sono messi a fare gli stupidi, accennando dei passetti di corsa con i caschi in testa (ma erano tutti sovrappeso e con pancioni da bevitori di birra strabordanti) e mettendosi in posa oltre la linea del traguardo chiedendo di essere fotograti, molestando con questo loro i podisti in arrivo.
Un gruppetto di balordi (pirla, se vogliamo chiamarli così) a notte inoltrata ha disturbato l'andamento della 24 ore di Milano, rubando le pile che illuminavano ilpercorso, buttando all'aria le transenne e strappando le stringhe segnalatiche bianco-rosse, infine al culmine della loro follia sgangherata molestando una runner e malmenando un podista che, pure lui in gara, era accorso a difenderla.
Qualche giorno prima, Battista Marchesi impegnato nella sua impresa dei 19.100 km, proprio all'inizio della sua giornata di corsa e avendo da qualche giorno superato la soglia dei 3000 chilometri percorsi è stato selvaggiamente, aggredito, picchiato, ferito e derubato (orologio e rilevatori satellitari). Risultato del gravissimo gesto: Battista Marchesi è finito ricoverato in ospedale, con una prognosi di circa 20 giorni e la sua impresa (era il suo quarto tentativo) bruscamente interrotta.
I tre episodi citati esprimono una diversa gradazione (dalla semplice molestia alla piccola aggressione fisica all'atto delinquenziale in senso stretto, condito però di accanimento e di ferocia inusuali) d'una stessa tendenza che è quella della azione/reazione violenta e dell'aggressione nei confronti di chi viene sentito diverso da sé e che non si riesce a comprendere per ciò che fa o che dice.
E' ciò che viene ampiamente illustrato da Cesare Fiumi nel suo saggio (in realtà una raccolta di articoli giornalistici precedentemente pubblicati) dal titolo "La feroce gioventù in un paese senza più maestri (Baldini Dalai 2011) in cui - con una dovizie sconfortante di esempi da quelli più lievi a quelli veramente efferati - l'autore illustra la tendenza sempre più diffusa a passare all'atto espressa da questi giovani "feroci", senza pensieri, senza valori etici, educati con iniezioni robuste di videogiochi (il più delle volte violenti), di Grande fratello, di L'isola dei famosi, e deprivati cronicamente viceversa di valori educativi e morali a causa del fallimento delle due agenzie educative e formative più importanti di un tempo - scuola e famiglia.
I motivi che spingono all'azione questi giovani sono il più delle volte futili ed insignificanti, i gesti compiuti - a causa dell'enormità e tragicità dei loro effetti - sono dissonanti e fondamentalmente amorali (quasi mai seguiti da una barlume di consapevolezza o di analisi critica), l'accanimento è spesso scellerato.
La matrice, secondo l'autore, è identica: assenza di insegnamenti validi, la noia di una vita monotona, ripetitiva e senza sbocchi, la necessità di affermare il proprio sé in modi assolutamente scellerati, la possibilità di affermare la propria "esistenza" a farla emergere dal grigiore e dell'anonimato di ogni giorno sempre eguale, senza futuro e senza svolte.
In particolare, Cesare Fiumi si sofferma sulla reazione a corto circuito che scatta nel momento in cui questi giovani si trovano a doversi confrontare con un altro da sé che non comprendono, che li destabilizza e li mette in crisi, perchè li mette di fronte a qualcosa che non comprendono e che è completamente al di fuori del loro mondo limitato: proprio in questi casi, la reazione di rabbia è violenta e rapida, perchè c'è la necessità di riaffermare il proprio sé messo in crisi quasi a corto circuito dal contatto con una complessità (quella dell'altro) ingestibile ed inassimilabile.
Siamo nel pieno di una crisi di valori e generazionale: è difficile dire quando i guasti provocati dall'assenza di "maestri" e di genitori, come erano quelli di un temp, potranno essere riparati.
A leggere le pagine di Cesare Fiumi si ha la sensazione di essere di fronte ad una razza di mutanti alieni rispetto ai valori che ancora le generazioni precedenti erano in grado di esprimere, anche se - per fortuna - ci sono ancora dei giovani che riescono a costruire dentro di sé un mondo valoriale condivisibile.
Quella che segue è la sintesi dal risguardo di copertina del libro di Cesare Fiumi
«Scavate a destra del fico.» Ecco, quello è il posto. Dove ci sono cespi d’insalata che stanno in piedi con lo sputo, strappati a un angolo d’orto e sistemati alla meglio: infilati giù nella terra senza radici. Per mimare una qualche coltivazione che copra il Male là sotto. Anche quei due hanno acconciature che stanno in piedi con lo sputo, un cespo di capelli al gel, e pure il terzo li portava così: forse perché tra amici ci si assomiglia più che si può, per quanto amici spesso sia solo una sigla, un modo di dire, una parola comoda che tanto sta in piedi da sola, senza bisogno di fare fatica. Anche quei due sembrano non avere radici: quasi una specie mutante, generazione cresciuta nel niente, in un Paese dove s’è smesso da tempo di seminare (e di coltivare) per quelli a venire. e dove, anzi, s’è messa una pietra tombale sulla pietà e sui principi, sui comportamenti e sui doveri morali. Scavando una fossa al futuro, simile a quella dove il terzo di loro è stato appena seppellito in un sacco. Dagli altri due. «A destra del fico.» una notte d’aprile, a Varese. Tre amici litigano per un cappellino non pagato. Per il più giovane, ancora minorenne, è la condanna a morte: una mattanza da film dell’orrore. Si parte da qui, da una qualsiasi notte italiana, per raccontare – storie alla mano – la crescita zero di una generazione di spaventosi e spaventati che sta cambiando i connotati al comune sentire di un Paese che, senza più maestri e in piena emergenza educativa, osserva indolente il suo declino, rinunciando al suo futuro.
Il secondo e il terzo episodio di quelli citati nell'incipit hanno suscitato - come ovvio - un coro di accese proteste e di manifestazioni di intolleranza totale. E' normale che ciò che accada, ma - nello stesso tempo - non bisogna nemmeno indulgere troppo su questo tipo di manifestazioni che ci portano a scendere sullo stesso terreno di confronto/scontro, alla legge dell'artiglio e della clava, mentre invece - se veramente vogliamo produrre qualche significativa inversione di tendenza o quantomeno gettarne il seme - dobbiamo esprimere con convinzione la nostra appartenenza ad un consesso umano civilizzato e non dovremmo mai cessare di esercitare una funzione educativa ed invocare - laddove occorre - l'intervento degli organi preposti alla vigilanza e alla sicurezza.
La violenza ottiene soltanto l'effetto di attirare ulteriore violenza, ma non risolve il problema segnalato da Cesare Fiumi che è quello della "feroce gioventù" diseducata e senza maestri.
Per quanto mi concerne, non vorrei mai essere come quel mio amico podista che, essendo stato aggredito da un cane sciolto, da quel momento decise di andare a correre portando un lungo coltello da cucina dentro il calzettone. "Così posso difendermi", soleva dire.
Dovremmo cercare piuttosto di tornare ad essere degli educatori, cominciando da noi stessi, con un esame di coscienza impietoso sulle nostre latitanze e sulle nostre cattive abitudini che sono quelle che hanno contribuito ad alienare questi giovani da noi.
E poi dovremmo cominciare a spegnere quei televisori sempre accesi, boicottare le trasmissioni che instillano falsi valori e neo-bisogni futili, agire maggiormente sulla socialità e sull'esempio positivo, vissuto concretamente nella rete delle interrelazioni familiari, scolastiche, lavorative.
Ma reagire alla violenza con una contro-violenza di pari o maggiore entità: questo mai!
Se facessimo questo, la partita sarebbe definitivamente persa e saremmo pronti per vivere sottoposti alla legge della giungla, tutti contro tutti e vinca alla fine il più violento o il più feroce.
Ma sarà sempre una vittoria con il sapore della sconfitta.
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