Perché corriamo? Perchè ogni giorno ci sottoponiamo a così grandi sforzi?
Tanti anni fa, quando affrontai un mio percorso di conoscenza interiore e mi sottoposi ad una psicoanalisi (freudiana), questo tema fu oggetto di prolungate conversazioni con il mio psicoanalista personale-guru. Lui, applicando le categorie interpretative psicoanalitiche classiche, sosteneva che io avessi una tendenza verso l'autosomministrazione di sofferenze masochistiche e che nei continui e ripetuti allenamenti (e allora facevo di tutto dalla palestra alla corsa, alla bici e alla canoa, dedicando a svariate attività fisiche e muscolari svariate ore al giorno, mostrassi di possedere un Super-Io rigido e tirannico che mi imponeva di declinare ogni mio giorno all'insegna della sofferenza.
Nel contesto della psicoanalisi fece tuttavia fatica a spiegargli che, se potevo condividere la sua interpretazione, ritenevo tuttavia che ci fosse - per me - un intrinseco piacere che la pratica diuturna dell'esercizio sportivo mi dava.
Un piacere profondo accoppiato ad una grande ed illimata sensazione di libertà.
Mentre io correvo libero sulla spiaggia di Mondello, su e giù un'infinità di volte e senza alcuna finalizzazione, perchè allora non avevo ancora iniziato a frequentare il mondo delle corse amatoriali, nelle mie lunghissime vogate solitarie in canoa, mi rigeneravo ogni volta interiormente e sperimentavo qualcosa di simile alla felicità, benchè alla fine sentissi il mio corpo sfibrato.
E' la consapevolezza dell'autoefficacia, è anche il contatto intimo con una serie di fantasticherie che attraversano la tua mente mentre realizzi uno stato di semi-trance a causa della ripetitività dell'esercizio e della disciplina che imponi al tuo corpo, a farti raggiungere uno stato estatico e di benessere, uscendo dalla quotidianità: e il benessere che si raggiunge dipende dal fatto che, nell'esercizio sportivo, per quanto iterativo possa essere, importi una tua auto-determinazione, esercito il tuo libero arbitrio, eserciti la tua volontà, cosa che spesso non è possibile fare quando si è al lavoro o quando ci si confronta con le incombenze della vita ordinaria.
Si è liberi, in altri termini: si è liberi di decidere, in ogni momento se allenarsi ppure no. E il più delle volte la decisone propende per il sì, per infiniti motivi, ma soprattutto - sempre - per il piacere ineguagliabile - alla fine - di una cosa ben fatta che si traduce anche in una gratificazione neuronale (i circuito della dopamina) - anche se bisogna sempre ragionare in termini ampi di "mente" e non semplicemente di biochimica del cervello, accettando delle spiegazioni riduzionistiche e totalizzanti.
in fondo è sempre valido il motto "No pain, no gain", in cui il "guadagno" successivo alla sofferenza auto-inflitta non è solamente il miglioramento (o semplicemete il mantenimento della tua prestazione).
Rimasi sempre piuttosto perplesso sull'intrepatazione che il mio psicoanalista mi dava per spiegare quella che riteneva un'"eccessiva" dedizione alle pratiche sportive, ritenendo che quell'interpretazione per quanto corretta ed ineccepibile, rappresentasse soltanto una faccia della medaglia.
Per capire bene il senso della sofferenza del corridore, sia esso il corridore di punta o amatoriale, bisognerebbe leggere e meditare punto per punto il romanzo di John L. Parker, La Corsa, recentemente recensito proprio su questo magazine.
Ed ecco una riflessione di Lara La Pera, assidua collaboratrice di questo magazine, che va esattamente in questa direzione.
(Lara La Pera) Oggi mentre correvo avanti e indietro sullo stesso infinito chilometro con il cuore che batteva come un tamburo e i muscoli che bruciavano, ma con l’entusiasmo di un bambino al Luna Park, mi chiedevo perché - anno dopo anno - la gioia di correre aumenta, anche se aumentano gli acciacchi e i tempi di recupero si prolungano. Forse é perché correndo si scappa dal tempo, forse é perché in quella irrinunciabile ora e mezza di fatica quotidiana si trovano infinite energie, i pensieri cattivi diventano meno cattivi, la rabbia diventa tranquillità e mentre le gambe girano la mente vaga in una dimensione che solo chi corre conosce. Forse per questo il sapore della fatica per noi che abbiamo fatto della corsa uno stile di vita, non sarà mai amaro…
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