Ho notato che ultimamente si bada molto a fare apparire la quantità a discapito della qualità. Sembra ormai che correre 10 km sia una cosa facile.. sembra quasi che correre una mezza maratona o una maratona sia normalità. Nascono ultramaratoneti e maratoneti ogni secondo, dall'oggi al domani.
Una pura follia secondo il mio modesto parere!
Sinceramente, considero anche solo 5 km una distanza impegnativa: molto spesso ci si dimentica che le lunghe distanze (corse in maniera intelligente) sono frutto di anni di lavori di qualità e, sopratutto, di adattamento del nostro fisico allo sforzo appunto nelle "lunghe".
Non è detto che ogni fisico sia predisposto alla lunga distanza... e non è detto che chi corre tanti chilometri sia più bravo di chi ne corre meno.
Capire il proprio fisico è fondamentale.
(Maurizio Crispi) Questo afferma Nicola Zuccarello, nelle cui parole mi sono imbattuto sulla bacheca di Facebook.
E' vero! C'é un numero crescente di runner che sono contagiati dal virus delle ultradistanze (sia su strada - in linea e a tempo -, sia nel campo del trail/skyrunning.
Occorrerebbe uno studio apposito per sviscerare le motivazioni profonda di questa speciale "ossessione" che è tuttavia - a mio avviso- una "manificent obsession", senza ombra di dubbio.
Lo sta facendo lo psicologo dello sport Matteo Simone, intervistando più di cento ultrarunner (alcune di queste interviste sono state pubblicate su questo magazine), proponendosi di ricavare dalle interviste alcune configurazioni di carattere generale, per spiegare il fenomeno.
Si possono azzardare alcune spiegazioni di carattere generale.
Le ultramaratone piacciono perchè più di ogni altra corsa si configurano come una situazione di avventura e di impresa, detto in breve.
Una situazione in cui gli ultrarunner, spesso gente comune che non ha seguito dei particolari percorsi di "iniziazione" sportiva, si vuole cimentare con una situazione che presenta elementi di ignoto (ricordiamo la tentazione odisseica di procedere oltre le Colonne d'Ercole) ma che si sente di poter padroneggiare, meglio che una distanza breve, poiché ad essere chiamate in causa sono le qualità mentali che supportano gli sforzi di lunga durata e le situazioni in cui la sopravvivenza è messa a repentaglio e qui ci può venire in aiuto Pietro Trabucchi che ha studiato in lungo e in largo il concetto di resilienza applicato agli sforzi di lunga durata.
C'è anche il fatto che, guardando ai più performativi tra gli ultrarunner, si ha maggiormente la possibilità di emergere con le proprie forze, sneza avere alle spalle un team sportivo che dia il supporto tecnico e logistico, come è nel caso degli top runner specialisti delle distanze brevi.
Nel campo dell'ultramaratona, è questo è un dato di fatto che vale per il 95% degli atleti che vi si impegnano, vige il principio del "fai-da-te": siamo di fronte ad un riedizione, mutatis mutandis, di "quei temerari sulle macchine volanti".
In più, senza dilungarmi più di tanto, c'è da aggiungere che in realtà le ultramaratone non rappresentano uno "strappo", rispetto alle regole codificate del mezzofondo e del fondo, quali sono emerse e si sono configurate con la nascita delle Federazioni di Atletica e con la forte spinta del Comitato Olimpico Internazionale delle origini e degli analoghi nazionali che hanno privelgiato alcune discipline e hanno decretato la morte di altre - più antiche - perché non conformi o perché considerate discipline professionistiche.
Si può ricordare qui, incidentalmente, che con l'esordio dell'interesse per la corsa pre-olimpica negli ultimi decenni del XIX secolo ad emergere furono le competizioni su lunghe e lunghissime distanze: praticate da coloro che furono i veri - e oggi purtroppo dimenticati e misconosciuti - pionieri dell'ultramaratona.
Ciò che interessava della corsa a quei tempi era la possibilità di percorrere nel minor tempo possibile grandissime distanze il che apriva la via alla spettacolarizzazione dell'evento e lasciava libero campo agli scommettitori.
Basta cercare in giro e si potranno trovare molti libri che parlano di questa passine per le ultramaratone e di sfide bizzarre di cui ancora oggi rimangono tracce, come la sfida dell'uomo contro il cavallo, oppure uomo-treno.
La codifica della maratona olimpica, epitome della distanza più lunga da correre e da misurare ufficialmente (e da statisticare, quindi) pose fine a questi sviluppi. In Gran Bretagna, in linea di massima, questo gap non si verifico e le ultramaratone crebbero con una loro vita a parte, al di fuori del mondo dell'atletica dominata dall'intelligentsia della British Athletics Association (con un grande e costante interesse per le competizioni sulla distanza di 100 miglia).
Per concludere questa veloce rassegna a volo d'uccello, che vale più che altro come stimolo ad ulteriori approfondimenti, si può accennare al fatto che i più forti ultramaratoneti devono essere degli ottimi maratoneti e per essere degli ottimi maratoneti occorre avere tempi eccellenti nei 5000 e nei 10.000 metri: basti pensare al caso, rimasto unico nella storia dei Giochi Olimpici moderni, di Emil Zatopek.
E vi sono nazioni moderne (come, ad esempio, il Giappone) che selezionano gli atleti da allenare nelle ultradistanze, tenendo come riferimento di base la loro capacità di correre la maratona in tempi eccellenti anche se non da podio.
Quindi, per rispondere ad una delle questioni sollevate da Zuccarello, l'approccio all'ultramaratona può essere quantitativo (nel senso che alcuni vogliono sperimentare un costante incremento delle distanze sulle quali mettersi alla prova), ma può essere nello stesso qualitativo, nel senso che per ottenere risultati di fascia superiore (il discrimine in una 100 km potrebbe essere il crono di 10 ore) occorre fare degli allenamenti qualitativi e non limitarsi semplicemente all'accumulo di chilometri di corsa ad andatura costante.
Allenamenti di qualità che, in parte possono essere rappresentati da un costante (anche se non prevalente) allenamento su sentieri in natura: quindi, per questo motivo la distinzione tra ultratrail e ultramaratona è artificosa.
Si nota che spesso gli ultratrailer riescono ottimamente nelle gare su strada.
Su questo, caro Nicola, tuttavia siamo d'accordo: "Non tutti sono predisposti alle lunghe distanze. Capire ilproprio fisico é fondamentale"
Io aggiungerei però che, accostandosi all'esperienza delle ultramaratone, diventa fondamentale "capire la propria mente", poiché ad essere chiamate in gioco sono delle qualità squisitamente mentale, ben più importanti del semplice allenamento fisico, sia che si tratti di alleamento cumulativo sia che si tratti di allenamento di qualità.
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