(Maurizio Crispi) Il caso Lance Armstrong nei giorni scorsi ha visto una veloce evoluzione verso il suo epilogo. E' stata una storia triste e malinconica: quella di un atleta che dopo aver vinto ingannando, dopo aver mantenuto la sua posizione negazionista sino allo stremo malgrado ogni evidenza, decide di alla fine di "pentirsi" e di confessare le sue colpe. Che in questo - ci si chiede - non ci sia in una certa misura un "pompaggio" mediatico, tale da far sì che anche il momento della sconfitta, il punto più basso della parabola discendente, si trasformi in una vittoria mediatica con record di audience? Potrebbe anche darsi, considerando che questo siparietto finale si è svolto negli Stati Uniti d'America dove ogni cosa si trasforma in spettacolo e qualsiasi evento può essere spettacolarizzato.
Cerro è che anche la storia di Lance Armstrong, in termini di ascesa di un atleta che è arrivato a fare cose che nessuno aveva mai realizzato prima, e della sua caduta, quando l'unico ancoraggio e l'unico modo per lasciare una traccia (come lo sono state le volate finali delle sue imprese ciclistiche) sono una confessione e una assunzione di colpa, lo si può leggere come un apologo delle pratiche dopanti nel mondo dello sport contemporaneo.
Si può leggere come un apologo che induce molta rabbia e risentimento per gli effetti svilenti che produce nell'immagine delle pratiche sportive, che si vorrebbe sempre pulita e idealizzabile.
Le vicissitudini del campione statunitense dai fasti delle vittorie all'umiliazione dell'ingiunzione da parte del CIO di restituire le medaglie proditariamente conquistate costituiscono una parabola che potrebbe dare molti insegnamenti sul doping, sui suoi effetti e sulle ricadute etico-morali che hanno le pratiche dopanti non solo sugli atleti che vi indulgono, ma anche su coloro che dello sport sono spettatori e che si convincono che quello dei campioni dpoati è lo sport, il vero sport, perchè garantisce brivido, eccitazione, intrattenimento.
E' proprio attraverso il doping "mediatico" (quello del pompaggio continuo sulla spettacolarizzazione estrema delle performance sportive) che si trasmette - a chi guarda lo sport-spettacolo - l'idea che ciascuno, anche nel roprio piccolo, passando dalla posizione di spettatore a quella di praticante potrebbe fare meglio.
Perchè no, in fondo? - l'interrogativo che alcuni si pongono. E quando ci pone un simile interrogativo il passaggio dalla fase "contemplativa" del doping alla sua pratica materiale è brevissimo, quasi instantaneo.
A partire dai cattivi maestri (i grandi campioni beccati per doping), sono tanti, tantissimi, forse troppi che nell'ambito dei diversi sport amatoriali fanno ricorso - a volte con un pericoloso bricolage farmaceutico nello stile "fai da te" - ad una o all'altra pratica dopante.
E questo è uno di quei "danni collaterali" del dopiing a cui nessuna confessione, nessun pentimento, alla maniera di Lance Armstrong, o nessuna lacrima o pianto accorato,nello stile del nostrano Schwarzer (in fondo, rispetto allo statunitense, peccatore "veniale"), potranno porre rimedio.
I grandi atleti dello sport dopati producono infiniti danni collaterali e - che questo lo abbiano ben chiaro - sono responsabili dell'effetto a catena di micro- o macro-pratiche dopanti tra gli sportivi amatoriali.
E lo sport di punta, a causa di pochi (sperando che non siano molti quelli che la fanno franca e rimangono celati), tradisce la sua mission, producendo un infinito danno a molti.
Quanti usano sostanze "proibite" per migliorare le proprie performance? Da un'inchesta recente (dati 2011) che siano oltre il 3% degli atleti e, per la maggior parte, quelli che ricorrono agli "aiutini" farmacologici sono uomini di età superiore ai 45 anni.
Lo sport più corrotto? Continua ad essere sempre Il ciclismo (almeno è quello dove le pratiche di doping sono state più frequentemente sventate).
Ecco di seguito, su questi temi, l'articolo di Matteo Simonte, comparso online su ActionMagazine.
(Matteo Simone. Fonte: Actionmagazine) Nel corso dell’anno 2011 la Commissione per la Vigilanza ed il controllo sul Doping e per la tutela della salute nelle attività sportive (CVD), istituita presso il Ministero della Salute in attuazione dell’art. 3 comma 1 della legge 376/2000, ha programmato controlli antidopoing su 426 manifestazioni sportive.
Matteo Simone, è psicologo dello sport e psicoterapeuta a Roma.
scrivi un commento …