
Tra i due estremi - il rude congedo del frate («Uscite! Andate al diavolo!») nella Basilica di Vézelay in Borgogna, e il tripudio sull'altare del santo - si snoda il viaggio per Santiago di Compostella.
La traccia è quella che aprì per primo Godescalc vescovo di Le Puy, nel 950, e che, poi, innumerevoli piedi di pellegrini hanno scavato nel tempo e nella terra.
Questo libro racconta la lunga marcia di due uomini e una donna, cui si aggiunge in cammino un'altra donna.
Mette in campo le personalità dei pellegrini; e insieme le fatiche e le sofferenze, i malumori e i contrasti, che a poco a poco ma decisamente si stemperano e si annullano nella «pace», cioè nella resa al Camino de Santiago.
È la resa al camminare puro, è l'abbandono a ciò che da mille anni inesorabilmente si ripete identico. È la scoperta che i santuari, le rocce, i luoghi di sosta, gli orizzonti che si aprono improvvisi e suggestivi, le deviazioni solo apparentemente inattese, le statue dei santi, i ricoveri e gli ospizi («solo tre giorni si fermava il vagabondo, o si rischiava di non partire più. Era questo il ritmo dell'erranza»), il cibo antico, le risse tra pellegrini e con gli osti, il bastone e i piedi, e tutto quanto si manifesta al romeo nella dilatazione delle sue emozioni, sono l'umanamente eterna filastrocca, o poema o ballata, che accompagna, consola e ritma il cammino sempre uguale fino al santo che aspetta; là dove in realtà ad attendere è sempre una specie di morte. È dunque questo libro il resoconto narrativo di una mirabile identificazione, oltre il tempo e contro il tempo, con l'aventure dei viandanti medievali.