(Eleonora Suizzo) Mi capita ancora oggi, alla mia età - a 38 anni -, con una certa esperienza alle spalle ed una predisposizione alle relazioni umane, di non codificare correttamente i segnali che mi vengono trasmessi e di sopravvalutare l'essere umano che ho di fronte.
Forse non ho ascoltato bene questa volta, o avevo ben altro a cui stare attenta che non mi sono accorta. C'è che poi il mio animo è immenso e la mia mente vola oltre, per cui non mi curo del Nulla e credo che i comportamenti equivoci, e le finalità opportuniste, arrivino naturalmente al bivio per poi cadere nel burrone della stoltezza, per navigare nel fiume della inettitudine e, ahimè, della scarsa personalità.
Navigherò Io questa notte, in compagnia di una rotondità avvolgente alla mia destra, del buio e delle paure mie recondite, che sfidando poi tanto e troppo le mie fibre, queste possano autonomamente e, a ragione, pensare bene di abbandonarmi.
Puntualissima in occasione di questa mia quarta partecipazione alla "Filippide", al contempo felicissima di poter correre sul mio terreno, l'asfalto. Lo apprezzo dopo la mia 64 km di trail appena trascorsa e corsa [Etnatrail 2014, lo scorso 2 agosto 2014], e sento finalmente i miei piedi e le mie caviglie che ritrovano la loro strada ideale.
La settimana è trascorsa tra massaggi e terapie per rimettermi in piedi, perché non posso mancare all'appuntamento più importante dell'anno: il mio mare, il mio faro, il mio orgoglio, la mia tenacia, mi aspettano al traguardo. Non posso né tardare né tantomeno deluderli.
Per cui, raccontare una gara, quella della Filippide, come se fosse una gara qualunque, la limiterebbe e la offenderebbe. Ne racconto dunque, soltanto, il gusto e l'emozione che mi trasmette: la pace, il silenzio, il libero incedere del corpo e delle leve che non sanno far altro che muoversi con movimenti regolari, cadenzati e circolari, non c'è dimensione, non c'è tempo e non ci sono chilometri.
C'è la strada davanti, i tornanti in discesa, il grigio del cielo, un sole timido al risveglio, una coltre di nebbia all'orizzonte che nasconde il mare, non c'è freddo e neanche caldo, non un alito di vento, nessun movimento scomposto, nessun raggio di sole invadente, nessuna presenza impertinente. Due cani mi ringhiano e mi corrono incontro, non hanno buone intenzioni, mi pietrifico, e reagiscono i miei compagni di viaggio, che stamane sono tanti, allegri, compatti, uniti e divertiti.
C'è anche lo sterrato? Dopo la Montagna, mi sembra un terreno morbido, facile. La sensazione più incredibile oggi è che la mia gara finisce subito e non riesco neanche ad assaporarla come vorrei. Non ricordo momenti di sofferenza, se non la difficoltà a mantenere il passo, veloce per me, fino alla fine. Ricordo certamente un angelo buono, ma quelli fortunatamente esistono, ricordo la competitività sana e quella malsana, anche quella esiste e si alimenta di germi ignobili, rido di gioia dentro di me perché sono consapevole, fin troppo, di me stessa e delle mie potenzialità e con un pizzico di presunzione sono felicissima di salire sulla pedana di legno che è l'arrivo più insolito per una maratona, con il tempo migliore, pur con una condizione fisica pessima.
Divertirmi è correre, correre è divertirmi.
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