(Fonte: Walter Todaro, su SeregnoInforma) Monica Casiraghi e Roberta Orsenigo. Una operaia, l’altra giornalista, entrambe brianzole: il 22 aprile corrono il Mondiale di cento chilometri a Seregno. La loro «ricetta» per vincere: «La “cento” è una corsa con te stessa e con il tuo dolore».
«Per vincere devi lasciare le ossa sulla strada. Niente è impossibile». Testa da marine in un fisico esile con i capelli biondi raccolti in una coda. Quarantadue anni di Missaglia, Monica Casiraghi, campionessa mondiale ed europea di cento chilometri (che vuol dire oltre cento mila passi di corsa) ha le idee chiare: «Quando corri una cento chilometri sei tu e la fatica. Devi reggere fino al traguardo». E, con questo spirito, Monica, domenica 22 aprile, sarà al via della cento chilometri a Seregno. Per andare, ancora una volta, oltre i propri limiti. E, quest’anno, alla ricerca del titolo di campione mondiale ed europeo.
L’anno scorso in Olanda, ai mondiali di Winschiten, non c’era («Ero impegnata in una gara di cento miglia, 160 chilometri, sull’Isola di Mors in Danimarca»), «ma quest’anno non potevo non correre l’ultimo campionato del mondo nella “mia” Seregno». Appendi le scarpette al chiodo? «No, non ci penso nemmeno. Il mio obiettivo è vincere il mondiale di 24 ore a settembre in Polonia. Nel 2010 sono arrivata secondo con il record italiano, 232 chilometri. Ma non voglio lasciare con un secondo posto. Ci penso, lo sogno il mondiale di 24 ore. E poi nessuno al mondo ha mai vinto il mondiale di cento e di 24 ore». «Tigern Kassi», dove «Kassi» sta per Casiraghi. Così la chiamarono i russi nel 2003 agli europei di Chernogolovka quando Monica conquistò l’argento e fermò il cronometro a 7 ore e 28, record italiano ancora imbattuto.
Per i comuni mortali già pensare di portare a termine una maratona sembra un’impresa epica. Ma per lei no. A sentirla parlare sembrerebbe una cosa facile, che non costa poi così tanta fatica: «Quando sto bene sette ore volano. È meno faticoso di una giornata di lavoro», dice con un sorriso. L’unico «aiutino» che si concede arriva dal suo iPod: Vasco Rossi, l’inseparabile amico che non l’abbandona mai, nemmeno nei momenti di massima fatica. E da sua mamma, «la Pinuccia», la sua prima fan.
La Cento è una corsa con te stessa e con il tuo dolore. Quasi trenta le maglie azzurre vestite ai mondiali e agli europei per la Casiraghi. La prima nel 1999. Per Roberta Orsenigo, invece, il prossimo 22 aprile, sarà l’esordio in Nazionale. Quarantacinque anni, di Paderno d’Adda, una decina di chilometri da dove vive Monica, Roberta lo scorso ottobre ha esordito col botto nella sua prima «cento»: con il tempo di 8 ore e 42 minuti ha vinto la terza edizione della cento chilometri delle Alpi, da Torino a Saint Vincent, sul percorso che ha ospitato la prima ultramaratona d’Italia nel lontano 1963.
Monica fa l’operaia in un'officina meccanica («Nove ore al banco di rettifica, dalle 7.30 alle 17.30») e corre «da sempre, racconta. A 21 anni ho realizzato il mio grande sogno: a New York ho corso la mia prima maratona e non mi sono più fermata». Nel 2001 a Cleder, in Francia, conquista la prima medaglia italiana individuale nella cento chilometri, un bronzo, poi il mondiale nel 2003 e, due anni dopo, il titolo europeo.
Roberta è giornalista presso un giornale locale e fa la mamma. Ha ripreso a correre da poco, nel 2006, e ha vinto la «Monza–Resegone» nel 2009 (con un secondo posto nel 2010) e la maratona «Milano – Pavia» nel 2010. Quest’anno poi, oltre alla vittoria alla «Torino - Saint Vincent», la Orsenigo è arrivata davanti a tutte anche nella «50 Km lungo l'Adda» e nella «6 Ore» di Seregno.
Entrambe, in queste settimane, hanno in mente un solo obiettivo: prepararsi al meglio per la «cento» mondiale. E per farlo, da un anno, si allenano e corrono insieme. A luglio hanno corso la «Marathon Trail» del lago di Como, 106 chilometri da Como a Menaggio, passando per tutte le montagne più importanti della zona. «Dopo 19 ore di corsa, sulla discesa finale, al buio in mezzo a un bosco, eravamo quarte - ricorda Roberta - Monica mi chiese di tirare ancora. “Non voglio restare giù dal podio”, urlò. Io non ce la facevo più, mi sono messa a piangere per la rabbia. Monica, però, non mollava, insisteva. Così ho spento la luce della lampada frontale, ho raccolto tutte le mie energie e sono partita in quarta con Monica alle spalle. “Se mi ammazzo mi avrai sulla coscienza”, le ho gridato. Abbiamo chiuso al terzo posto». Per correre cento chilometri servono cuore, gambe, fiato ma soprattutto testa. «Devi avere una forte motivazione – prosegue Roberta - perché a volte, quando la fatica sembra insostenibile, ti chiedi “Cosa ci faccio qui?”. E la risposta è che devi farlo perché per mesi ti sei alzata alle cinque e mezza del mattino per essere sulla strada». Ma come fai a trovare queste risorse dentro di te? «Quando fai una “cento” devi crederci e sconfiggere la paura, interviene Monica. Spesso ho vinto solo con la testa. Nel 2006, ad esempio, in Olanda mi sono aggiudicata un europeo in volata dopo sette ore e mezza di corsa. O ancora l’anno scorso a Seregno. A metà gara ero in testa, ma stavo andando in crisi. Non ne avevo più. Però quando Francesca Marin mi ha superata, l’ho guardata negli occhi e le ho detto: “Ti aspettavo”. E non l’ho mollata. In quel momento lei, che fisicamente stava meglio di me, ha avuto un crollo psicologico. A dieci chilometri dall’arrivo mi disse: “Sei arrivata fino a qui, adesso devi vincere”. E sono andata al traguardo da sola».
A cosa pensate durante la gara? «A niente, risponde Roberta. A volte, addirittura, durante la gara ho delle crisi di sonno. La corsa è un check-up continuo con il mio corpo finché a un certo punto non provo più niente. Ci sono solo io e la strada. Solitudine e dolore sono i miei compagni di viaggio. Devi imparare a stare solo per tante ore e ad accettare il dolore. E a superare le crisi, le difficoltà. Come nella vita».