(Eleonora Suizzo) Per me è tutto o forse non è niente. So soltanto che, quando indosso i miei pantaloncini, la mia canottiera e stringo bene i lacci delle scarpe mi sento forte, risorgo e la mia dimensione materiale si trasforma in eterea armonia corporea in cui energie recondite mi consentono di volare verso il mio nuovo traguardo.
Vengo spesso giudicata a causa delle mie imprese podistiche, considerate assurde, perché non do tregua al mio corpo e non consento alle mie fibre di rigenerarsi, ma la rigenerazione mentale che ottengo dalle mie imprese supera qualsiasi altra forma di catarsi fisica.
Complesso il senso di questo mio esprimere me stessa, semplice in vero.
Il fascino di oggi è la montagna che si scaglia maestosa dinanzi a noi, piccoli ed arroganti esseri umani. Attraversarla, penetrarla, cingerla in una danza di passi, piccoli, leggeri, mi inorgoglisce.
Io so come trattarla, come calpestarla e come non farmi sopraffare da lei, quest'anno.
Il sole delle prime due ore è presto offuscato dal tuonare sordo del temporale in arrivo.
Ti stavo aspettando, presagio funesto di un meteo e di una maldicenza a me contraria.
Siamo ben oltre il ventesimo chilometro e, tra qualche tornante, arriveremo al primo rifugio conosciuto. Fino ad ora il tempo è volato. La mia compagnia è premurosa e attenta e mi sento confortata. Gli applausi della gente intorno, il supporto dei familiari dei podisti è stato importante, leggo "Fiumefreddo è orgogliosa dei suoi runner" e altri striscioni di incitamento.
È una sorpresa! È la prima volta che nella mia terra desolante, i runner vengono esaltati dalla popolazione.
Tutto scorre via velocemente, dalla calura insopportabile alla pioggia battente, sudore e acqua, i vestiti appiccicati addosso.
Gli ultimi tre chilometri prima di arrivare allo sterrato sono assolutamente impraticabili, siamo rimasti in tre, e cominciamo a rassicurarci l'un l'altro.
Ridiamo pure e ci prendiamo gioco di noi stessi, esorcizzando la fatica e la nostra paura. Anche se poi io non ho mai paura. È solo sofferenza di un corpo gestito da una mente intensa e appassionata. Che strano però. Non mi sono neanche accorta del trascorrere del tempo, e non è possibile perché ho corso per 33 chilometri, tutti in salita, senza ingerire solidi, bevendo e parlando e ammirando il paesaggio intorno e combattendo con i miei conflitti interiori, pensando al bene e al male, alle persone poco attente, a quelle permalose, a quelle troppo ingenue, a quelle troppo maliziose, a quelle invadenti e a quelle buone, a chi mi ama e a chi mi odia, a chi scappa e a chi non è in grado di tenermi a bada e a chi mi vorrebbe imbrigliare. Ma io sono libera, e la mia corsa rappresenta la mia forma più pura di libertà...
Grazie...il numero 98 è il mio numero oggi e un cambio d'abito volante è l'inizio della mia seconda gara.
Lo sterrato. Oggi è freddo e mi copro bene, ma ugualmente lassù mi gelerò e grandinerà e il rumore inquietante dei tuoni non mi abbandonerà.
Una ragazza palermitana, non si cambia neanche per non perder la posizione e ha paura della sua rivale che sta per raggiungerla! Non è questa la corsa per me e mi viene da sorridere. È una dimensione diversa, si cammina su di un terreno scosceso, in pendenza elevata, il cielo è grigio, il vento è gelido, le mani si raffreddano, il cuore deve pompare più sangue e non ci sono rifornimenti con cibi solidi, stiamo andando tutti in ipoglicemia.
Gira il mondo intorno e da lassù la prospettiva è così diversa, sei il re del tuo regno, sei infinitesimale granello di vita che si muove a scatti su di un terreno inospitale. Siamo del colore del cielo anche in viso, abbiamo fame, vogliamo arrivare adesso. La ragazza è stata superata dalla sua antagonista che era decisamente più forte.
E noi? Si legge 41 ma non si vede l'arrivo. In lontananza dei suoni, vociare a un microfono. Sembra di essere sulla luna adesso e noi astronauti disorientati in cerca del rifugio.
Un cartello di legno in cui leggo "500 metri all'arrivo". Una leggera pendenza in discesa e non so che mi succede ma le mie gambe decidono per me e cominciano a correre. I ragazzi, ridendo, mi seguono, fino all'ultima salita prima del traguardo. Sono arrivata. Non piango oggi, sono piena del mio trionfo e non ne ho bisogno. Non ho sofferto il mal di montagna, ho migliorato il crono di quasi un'ora e, a parte il freddo in corpo, sono al culmine della gioia.
Un nuovo legame si è generato, un altro si è spezzato. Ho ritrovato amici smarriti, ho regalato nuovi sorrisi e conservo nel forziere, che è il mio cuore, una nuova esperienza: tesoro prezioso.

Il suo racconto è talmente intenso che non richiede alcun commento.
Doppiamente brava Eleonora per aver concluso la gara con un crono decisamente nilgiorato, malgrado le condizioni meteo avverse (anche se, per contro, il traguardo per motivi di sicurezza è stato posto un po' più in basso) e per aver scritto della sua esperienza che, come sempre, ha un doppio volto: quello che si offre all'esterno come impresa sportiva, e quello interiore dell'esperienza intima che è viaggio, attraversamento, trasformazione.
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