Fa sempre piacere proporre le riflessioni di Guido Ulula alla Luna, medico nella vita e guida de La Compagnia dei Cammini.
Questa lunga riflessione riguarda il "Cammino" di chi non ha un lavoro...
(Guido Ulula alla Luna) Strana Costituzione quella italiana. Al primo punto afferma che la nostra è una repubblica basata sul lavoro.
Ma solo il 30% dell’intera popolazione lavora.
Ma il 40% dei nostri giovani è attualmente senza lavoro.
Ma nella fascia in età lavorativa ci sono 3 milioni di disoccupati, altrettanti di demotivati che non lo cercano più il lavoro, centinaia di migliaia di esodati, un numero crescente di cassaintegrati.
E i milioni di precari?
Per non parlare del fatto che la stragrande maggioranza di noi non fa un lavoro che gli piace, ma è obbligato per mangiare a fare quello che trova.
Per non parlare del fatto - come sostiene Jeremy Rifkin nel libro “La fine del lavoro” -che, per il semplice ed inarrestabile progredire dell’automazione, lavoreremo sempre meno ore al giorno.
E allora?
Forse è meglio riflettiamo tutti quanti su quali basi rifondare il nostro stare al mondo.
Se continuiamo a legare la nostra dignità di esseri umani all’avere o non avere un lavoro, ci condanniamo con le nostre stesse mani a frustrazione, rabbia, depressione.
Occorre che a dare un senso alla nostra esistenza siano fattori diversi, profondi, universalmente riconosciuti, possibili da realizzare.
Ad esempio, la Costituzione americana parla di diritto alla felicità.
La felicità si identifica col denaro che possediamo?
Sappiamo tutti che non è così, anche se il benessere economico può darci sicurezza e quant’altro.
E se mettessimo al primo posto la conservazione della salute, nostra e del pianeta che ci ospita?
Se dessimo il giusto valore agli affetti, all’amore, alla collaborazione, alla convivialità, visto che per noi mammiferi questa è la base del nostro essere?
E se capissimo finalmente che non si vive per lavorare, ma che lavorare serve solo a darci i mezzi per esprimere il nostro talento e perseguire le nostre curiosità?
C’è un cammino da fare collettivamente per cambiare mentalità molto radicate.
Ed è un cammino non solo metaforico o di valori.
Da qualche anno sto capendo che il praticare il camminare, l’andare a piedi, non è solo un qualcosa di piacevole e che porta salute.
Ne comprendo via via una ricchezza ben più sostanziale, che mi aiuta a concepire una filosofia di vita diversa da quella in cui mi sono trovato a crescere.
Al contrario dei miti della velocità, della forza, del raggiungere una meta ad ogni costo, miti portanti della civiltà consumista e competitiva che ci caratterizza, il viandante sperimenta coi suoi passi lenti un rapporto con la natura e con i suoi sensi ben più equilibrato e soddisfacente.
La complessità di problemi che abbiamo davanti non ci permette di immaginare una bacchetta magica per risolvere le crisi economiche ed ambientali che ci sovrastano.
Anche su questo il viandante impara che è con un passo dopo l’altro che si costruisce un nuovo percorso.
Un’ultima cosa, piccola piccola ma concreta concreta.
Ho un amico cassaintegrato da un anno che mi ha raccontato d’aver utilizzato il tanto tempo libero andando a camminare nella natura.
Gli è servito a non impazzire dalle preoccupazioni, a non chiudersi in se stesso, a socializzare.
Dobbiamo imparare che il nostro benessere è la cosa più importante.
Guido Ulula alla Luna
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