L'overtraining (super- o sovra-allenamento, in Italiano) è in agguato e, in maniera insidiosa, può colpire - senza che se ne rendano conto tutti quegli atleti - agonisti e non - che si impegnano quotidianamente in allenamenti particolarmente pesanti (citiamo a titolo di esempio i triathleti oppure gli ultramaratoneti).
Cosa si intende per overtraining? Si tratta sicuramente di una patologia somatica e psichica da mancato adattamento allo stress e da eaurimento delle risorse fisiologiche e mentali.
Ma prendiamo a prestito la definizione di Marco Siffi, al cui articolo si rimanda, per una lettura più approfondita).
L'overtraining è uno squilibrio dell'allenamento che si verifica quando l'attività fisica praticata è troppo intensa, tanto che l'organismo non riesce, nei tempi di recupero, a eliminare la fatica accumulata. Questo squilibrio adattativo, conosciuto anche come sovrallenamento, provoca un continuo stato di stress psicofisico, che culmina nella staleness syndrome (rifiuto di allenarsi), danneggiando le prestazioni atletiche e rendendo più vulnerabile l'organismo a eventuali infezioni. E'possibile ritenere che un atleta incapace di recupero completo entro le 72 ore dall'impegno fisico massimale sia affetto da sindrome da sovrallenamento. L'overtaining è un fenomeno capace di colpire oltre il 65% degli atleti nel corso della loro carriera competitiva.
Quali ne sono i sintomi?
Sempre secondo Marco Siffi, citando i più comuni, possiamo avere, da soli o in concomitanza, in costellazioni più complesse:
- Performance ripetutamente scadenti non spiegabili;
- Sensazione di affaticamento, dolori muscolari, depressione;
- Aumentata vulnerabilità alle infezioni e disturbi gastrointestinali;
- Disturbi del sonno e perdita di peso;
- Lesioni da sovraccarico;
- Aumento della frequenza cardiaca a riposo e della pressione arteriosa;
- Variazioni dell'ematocrito;
- Modificazioni del tasso di emoglobina;
- Diminuzione del livello di testosterone;
- Modificazione del rapporto testosterone/cortisolo a favore di quest'ultimo.
- Si aggiungono anche le cosiddette "fratture da stress", particolarmente frequenti tra gli atleti e i militari, risultato di sollecitazioni meccaniche ripetute ed eccessive a livello dell'osso, nei runner di lunga lena essendo colpiti soprattutto il metatarsale e il tibiale (si veda l'articolo di D. S. Patel, N. Kapil, M. Rott, Fratture da stress: diagnosi, trattamento e prevenzione, in Minuti, 199, sett. 2011, XXXIV, (, pp. 5-17).
Di fronte ad una sintomatologia, sospettata da "overtraining", non si può nemmeno lontanamente ipotizzare di poter curare la parte ammalata, tralasciando il tutto.
Anche sulla base delle mie personali esperienze, ma anche attigendo dalle mie competenze di psichiatra e psicoterapeuta, ritengo che quando si verificano "incidenti" (che non sono mai semplici problemi meccanici o "guasti" del motore), bisogna essere capaci di vedere "oltre" il "sintomo" e cercare di capire (e accettare) che, se qualcosa non va nella macchina, ciò dipende dal "guidatore" che è in difficoltà o sovraffaticato (overtrained) e ha bisogno di tempi di recupero più lunghi o di uno stacco o di un disambientamento da uno schema di vita divenuto troppo rigido.
Quando si usavano i cavalli come mezzo di comunicazione veloce (oltre all'ordinario servizio postale lento, esisteva anche un sistema di trasporto rapido soprattutto per fare viaggiare dispacci militari ed editti di re e governanti), gli animali lanciati al galoppo potevano reggere per un numero limitato di chilometri, dopo i quali - per mantenere la media dello spostamento - occorreva cambiare cavalcatura in un'apposita stazione di posta e ripartire con un cavallo fresco, ben pasciuto e riposato adeguatamente.
Nelle gare di endurance a cavallo, una delle regole-base impone al cavaliere di controllare periodicamente la frequenza cardiaca del proprio cavallo (a mezzo di fonendoscopio): e quando la frequenza supera un certo range, la regola impone che il cavaliere scenda dalla sella e prosegua al passo, a piedi, accanto alla sua bestia sino a che le pulsazioni entrano nel range di accettabilità di tale parametro.
Il rischio, se non si segue tale procedura, è che il cavallo schianti a terra morto.
Per tornare a noi, bisogna saper leggere i segnali e saperli interpretare nel modo giusto e non cadere nella trappola di considerarli soltanto fastidiosi inconvenienti meccanici che con terapie mirate e locali possono essere rimossi.
Il disagio nel "guidatore", che è a monte, produrrà sempre nuovi sintomi limitanti o continuerà ad intensificare quello su cui cerchiamo di agire, inevitabilmente, in un gioco "simmetrico", potenzialmente senza fine oppure sino a quando non si verifchi una "rottura" di grave entità o invalidante.
Sino all'eventuale rottura.
Se si accetta la limitazione che il nostro corpo ci impone e si è capaci di fermarsi e di riconvertirsi transitoriamente ad attività più pacate e maggiormente "sostenibili", in quanto tengono conto del nuovo limite, il sintomo probabilmente - e anche abbastanza rapidamente svanirà, grazie anche alla cosiddetta vis sanatrix naturae, riportandoci ad una condizione di equilibrio dalla quale sarà possibile ripartire.
Il caso che segue che Pebbe Carella, triathleta e laureando in Scienze Motorie, ha postato nel Gruppo di discussione Facebook La resistenza mentale nelle ultramaratone e nell'endurance in genere è veramente paradigmatico.
Eccolo
Ovetraining: andata e ritorno dall'inferno
(Beppe Carella) Pratico triathlon a livello amatoriale (nuoto-bici-corsa) ma non mi sono mai cimentato nel tanto agognato Iron Man (3,8 km, 180 km, 42 km). Circa 7 anni fa mi sono imbattuto nel peggiore dei guai per un atleta. Tutto è cominciato con uno stiramento ad un tendine, stop forzato e tanto nervosismo. La voglia di riprendere e recuperare la forma persa mi mise letteralmente ko! Non me ne rendevo conto, mi allenavo sempre di più e mi sentivo sempre più teso e demotivato fino a quando alla fine di ogni allenamento avevo 40 °C di febbre. Un bel giorno non riuscivo ad alzarmi dal letto, non avevo forza nelle gambe con sensazione di migliaia di spilli nei muscoli e 35,2 °C di temperatura con costante presenza di fascicolazioni per tutto il corpo ( i muscoli si muovevano per conto loro). Dopo settimane di riposo forzato la situazione migliorava ed io riprendevo gli allenamenti. Punto e a capo, anzi i disturbi erano più forti. Girai medici, specialisti, fino a quando mi fu diagnosticata la spasmofilia e/o fibromialgia. Un direttore di un centro di medicina dello sport mi disse che dovevo veicolare la mia energia altrove e non alla disciplina sportiva che amavo tanto, mi suggerì di riprendere gli studi quando avevo 35 anni. Sicuramente c’era un interessamento fisico, biologico ma lo stato emotivo era fortemente coinvolto. Qualcuno ha definito tale situazione come disagio “somatopsichico”. Sospendere gli allenamenti per uno sportivo è come voler fermare un treno in corsa, tutta quella energia da qualche parte deve sfogarsi. Nel mio caso l’energia prodotta giornalmente anziché manifestarsi esternamente con le sedute di allenamento, implodeva con la mia angoscia. Erano passati diversi mesi senza allenarmi, dovevo ritornare ai banchi di scuola e non la presi bene la cosa ma stranamente fui sorpreso quando superai a pieni voti il test di ingresso al corso di laurea in scienze motorie.
Sono passati alcuni anni, mi sento benissimo, le fascicolazioni non le ho più da tempo, ho ripreso ad allenarmi, ho migliorato il mio stato di forma pre-infortunio e sto per laurearmi, manca solo la tesi (Motivazione ed aspetti psicologici per gli sport di endurance). Credo di aver vinto io.
Non sono un ultramaratoneta ma l’overtraining può colpire chiunque.
Aggiunge Beppe Carella, a conclusione delle sue riflessioni: Desidero che il mio contributo possa essere condiviso affinchè possa essere evitata la mia odissea qualora si presentassero i sintomi da parte di qualcuno. L'overtraining è subdolo, non bussa alla porta e non si presenta come uno stiramento o strappo muscolare. Può comparire anche dopo alcuni giorni da un evento e/o periodo di carico estremo. L'abbassamento delle mie capacità fisiche mi mise nella condizione di "subire" stress di poco conto: alzarmi dal letto per andare al lavoro, rispondere al telefono che squilla, vedere un film d'azione, organizzare la giornata e perfino osservare la gente che attivamente ed energicamente lavorava.
Vedevo la mia vita dietro un vetro opaco e per fare cose semplici dovevo ripetere mentalmente ogni passaggio (chiamo l'ascensore, apro la porta, chiudo la porta, quale piano?, l'ascensore si muove, ... e coì via).
E' stata davvero dura...
scrivi un commento …