I bike messenger (o, per l'esattezza, Urban Bike Messenger) sono delle creature quasi "mitologiche", metà uomo e metà bicicletta, che da anni sfrecciano per le strade di tutto il mondo, destreggiandosi tra i palazzi e il traffico cittadino macinando chilometri nella giungla urbana, lottando nello smog e nelle nuvole invisibili di gas di scarico e di polveri sottili e, in sostanza, svolgendo il lavoro del corriere espresso, ma "bici-montato". I Bike messenger hanno cominciato ad operare nelle aree metropolitane degli USA (Chicago, New York, San Francisco, Los Angelee) e, dopo qualche anno sono arrivati anche in Europa e in Italia. Adesso operano in molte città italiane, di cui l'antesignana è stata Milano. Il servizio di Bike messenger è arrivato anche a Palermo con Cicloop.
Quello del bike messenger è un lavoro già - di per sé - affascinante che può trovare adepti tra coloro che amano la bicicletta e che, così, trovano la possibilità di coniugare un'attività lavorativa con la possibilità di fare ciò che piace.
Di recente è uscito un volume che in cui Roberto Peia, ex-giornalista, racconta la sua esperienza personale di BM e quella del movimento degli Urban Bike Messenger a Milano, di cui è stato un "padre" fondatore e pioniere.
Si tratta di "Tutta mia la città – Diario di un bike messenger” (Edizioni Ediciclo, 2011). Il volume, accanto al racconto di consegne e pedalate nel traffico urbano, riporta altre storie di luoghi e di personaggi della Milano a pedali: dal Vigorelli che non c’è più, alle ciclabili che non ci sono mai state; dai Tetes de Bois ai Talking Heads; dal pavè alle bici rubate… Ci si può fare un’idea del libro ascoltandone dei brani sul podcast di Fahrenheit , la storica trasmissione sui libri di Rai Radio 3.
Dal risguardo di copertina. Il primo servizio di consegne in bicicletta è milanese. Gli Urban Bike Messenger, messaggeri urbani a pedali, oggi hanno il volto di Roberto Peia, ex giornalista ora devoto alle due ruote e al suo uso metropolitano come mezzo per una mobilità alternativa ecosostenibile e silenziosa. Dopo due anni e mezzo di consegne, con alle spalle la certezza di un lavoro che è ormai garantito e apprezzato da molte aziende, l'autore ci racconta la sua esperienza a cominciare dalle corse pazze per la città, gli incontri e gli scontri; riesce così a raccontare da un punto di vista inedito, luoghi e persone, fatti di cronaca e a intrappolare nei raggi della sua bicicletta i mille volti di una Milano che è per definizione in continuo movimento. Il suo è uno stile meticcio, forgiato dalla strada, che va dal resoconto giornalistico alla narrazione pura, con un tono a volte arrabbiato a volte sognante, che fa restare il lettore attaccato alla terra per volare con la mente. La prefazione al voume è di Chris Carlsson, padre fondatore della "Critical Mass".
Una lettura indispensabile da accoppiare al bel libro di Peia è Il messaggero. Come è nata la Massa critica, scritto dall'americano Travis H. Culley (Garzanti editore 2004, tuttora in catalogo per chi osse interessato) che racconta la storia dei Bike Messenger USA e di come il loro movimento si è intrecciato con lo svilupparsi di quello della Critical Mass".
E' un libro di grande valore, perché - "dall'interno" e utilizzando il vertice di osservazione d'un bike-messenger in una delle più grandi metropoli americane (Chicago)- analizza lo strapotere del trasporto meccanizzato su gomma nelle grandi città (americane, prima, e del mondo poi) che - per volere delle grandi aziende automobilistiche - ha preso il dominio su altre modalità di gestione del movimento più economiche, più a misura d'uomo e, in definitiva, più sostenibili. Culley, in modo appassionante, nel mostrarci lo strapotere dell'auto sull'uomo, illustra quanto l'utilizzo della bici nelle città possa tradursi in un gesto autenticamente anarchico e liberatorio rispetto al vincolo delle regole economiche. Nelle grandi città americane, i bike-messenger sono stati la punta emergente del cosiddetto movimento della "massa critica" che ha cercato (e sta cercando tuttora) di condizionare le scelte degli amministratori locali, orientandole verso un ritorno all'urbanizzazione a misura d'uomo, all'idea di luoghi di lavoro raggiungibili con le proprie forze, di città fruibili a piedi o in bici, con l'effetto di una loro ripopolazione e della bonificazione dei ghetti e delle ex-aree industriali, oggi in uno stato di degrado e abbandono. Il movimento della "massa critica" - fatto di cittadini che vogliono essere dei semplici "pendolari" della bici oppure suoi fruitori "per diletto" negli spazi urbani - dimostra, con l'effetto moltiplicatore della massa di ciclisti che si radunano e che assieme e pacificamente, si muovono lungo le strade cittadine, il teorema secondo cui le vie e gli spazi urbani devono essere di tutti, non disegnati solo per le automobili fatte per trasportare singoli individui, il più delle volte arroganti. Il racconto di Culley offre una panoramica sulla storia delle origini del movimento della "massa critica" e dell'attivazione delle coscienze sul tema della necessità di svincolo dal nefasto dominio delle auto, ma anche un'interessante sintesi dei motivi per cui le città sono divenute ciò che sono.
Scheda del libro. Travis Hugh Culley guarda il mondo da una bicicletta lanciata a tutta velocità attraverso le strade della metropoli. Consegna pacchi e buste girando dai ricchi palazzi del centro alle fabbriche e ai capannoni delle periferie. Il suo è un punto di vista insolito, ma utilissimo per capire i meccanismi che governano la vita metropolitana: schemi di comportamento che non riusciamo più a vedere. Così Travis Hugh Culley non racconta solo il piccolo mondo di cui ha fatto parte, quello dei "bike messengers", ma osserva anche con sguardo lucido e spietato i flussi delle nostre città, e ci offre qualche consiglio per renderle più ospitali per gli uomini e le donne che le abitano. Da questa esperienza è nato il movimento Massa Critica.
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