Elena Cifali (ASD Movimento é Vita Gela) ha partecipato, assieme ad un nutrito grppo dei suoi compagni di squadra alla 18^ edizione della Maratona di Roma Acea. E' stata per Elena una grande esperienza e, di fatto, il primo "battesimo" alle grandi maratona su strada. Un passaggio di non poco conto, considerando che le prime maratone corse da Elena nel corso del 2012 (Ragusa, Siracusa) sono state maratone con poche decine di runner (ragusa) e alcune centinaia (Siracusa) con l'effetto di avere soltanto pochi maratoneti spalmati sull'intero percorso di gara. Analogo è stato il caso delle diverse mezze maratone che Elena ha corso. Tutte le sue esperienze di corse su strada sinora sono state quelle di gare vissute in quasi-solitudine, senza molta differenza in termini di contesto dagli allenamenti fatti in solitaria o in compagnia, se non per il fatto di indossare un pettore e di avere quel quid in più in termini di grinta e di motivazione a correre senza fermarsi per l'interas distanza: esperienze di solitudine, di silenzio, di confronto muto con la fatica e la sofferenza, se non per quegli intermezzi in cui arrivava gradito il supporto di occasionali compagni di viaggio. L'esperienza con la Maratona di Roma è stata invece su di un regiswtro completamente diverso, sia per la kermesse che si respirava ad ogni passo, sia per il fatto di vivere uno spettacolo in cui i maratoneti sono nello stesso tempo spettatori e attori, sia infine per l'esperienza impareggiabile di correre nella moltitudine, vivendo la sensazione di far parte di un unico corpo vivente con unsolo cuore pulsante all'unisono. Ma Elena ha anche vissuto il rovescio della medaglia, rispetto al suo modo consolidato di correre in solitudine e nel silenzio. "Bello sì, - mi ha detto al termine della Maratona, coccolandosi la bella medaglia commerativa - ma preferisco le Maratone in cui siamo soltanto in pochi e correre i 42,195 è come fare un allenamento, magari un po' più lunghetto e indossando un pettorale".
Elena Cifali ha concluso la maratona in 4h13'39.
Ma lasciamo che sia la stessa Elena a raccontarci della sua esperienza alla Maratona dell'Urbe.
(Elena Cifali) Da mesi aspettavo di poter correre la maratona di Roma, mesi e mesi di lavoro, di allenamenti, di aspettative e di ansie.
E finalmente il momento è arrivato.
E’ l’alba di domenica mattina, sono a pezzi: ho trascorso una nottataccia, fatta di mal di testa e di malessere generalizzato. Mi sento uno straccio, proprio oggi che devo correre mi sento così?
Vabbè, ormai sono in ballo ed allora balliamo! Faccio colazione con cornetto, cappuccino con contorno ddi Oki, nella speranza che la testa la finisca di martellare. Le farfalle allo stomaco si sono trasformate in rinoceronti che danno cornate e destra e a sinistra, l’emozione, l’eccitazione, l’ansia e la paura si sono mescolate durante questa lunghissima notte insonne. I miei sentimenti sono confusi, non so più se essere felice o arrabbiata!
Decido di darmi una calmata e cerco un po’ di concentrazione lungo il tragitto che dall’albergo mi porta in metropolitana. Le strade di Roma sono stracolme di maratoneti, impossibile non notarli, ognuno col suo immancabile zainetto sulle spalle.
La città si anima già dalle prime luci dell’alba, risa e schiamazzi ovunque, un’aria di festa si respira ad ogni angolo della strada!
Amo Roma, ho iniziato ad amarla quando da ragazza mamma e papà mi regalarono un meraviglioso viaggio in loro compagnia.
Ricordo come se fosse oggi una stupenda gita scolastica e poi, anni dopo, in compagnia dei fidanzato di allora (oggi mio marito), in un assaggio del futuro viaggio di nozze.
L’ultima volta in insieme ad alcune amiche, conosciute 20 anni prima durante il mio soggiorno in collegio a Catania. Ogni volta riscopro una Roma magica, sempre uguale e, per questo, sempre bellissima.
Poche fermate e siamo già al centro, adesso ci siamo proprio, si vede il luogo da cui partiremo, è fatta!
Ad accompagnarmi, come sempre, ci sono mio marito e mio figlio che saluto poco prima di entrare dal cancello per il deposito degli zaini.
Da adesso sono “sola” con Salvo (insostituibile compagno di avventura), Orazio, Rino che festeggia nel migliore dei modi il suo compleanno, Francesco e Tiziana.
Per tutti e sei la parola d’ordine è: “fare pipì”: ci sono centinaia di bagni chimici, ma le file per accedervi sono proibitive. Non posso farne a meno, mi toccherà aspettare un tempo interminabile prima di poter entrare, e sono già le 8:55: ancora 5 minuti e poi ci sarà la partenza ed io non l’ho ancora fatta!
Un paio di volontarie stendono una coperta termica tra un bagno e l’altro ed allora decido che posso farla proprio li dietro, incurante degli sguardi altrui… Si è fatto tardi e non posso rischiare di mancare la partenza!
Tutto intorno a me un fortissimo odore di crema preparatoria, di sudore. Io lo chiamo “l’odore della corsa”.
Si è fatto tardissimo, i cancelli di ingresso alle griglie sono già aperti, la mente si sgombra, mi rilasso, il sorriso si accende sul mio volto e mi incammino verso il luogo in cui altri 16.100 atleti aspettano di partire. Un brivido mi attraversa quando dal megafono ascolto la voce di uno speaker:
Buongiorno, Maratoneta! Tra poco correrai lungo millenni di storia! - tuona la sua voce amplificata dal fantascientifico sound system collocato in zona partenza.
Ecco cosa ho sognato nelle ultime settimane, correre lungo millenni storia, correre e calpestare quella città percorsa da centinaia di condottieri, da eserciti vincitori in trionfo e da orde di invasori: la capitale non deluderà le mie attese.
Tra applausi, urla si parte Viaaaaaaa! ben 16.100 maratoneti iniziano a muoversi tutti insieme, passo dopo passo, dapprima camminando e poi piano piano correndo: migliaia di cuori che battono all'unisono, di sogni, di speranze, di vite si sono date appuntamento davanti al Colosseo oggi per “essere felici”.
Accanto a me Salvo: cerco di non perderlo di vista neppure per un istante, consapevole che - se ciò accadesse - ritrovarlo tra tutte quelle gambe in movimento non sarebbe per nulla semplice e questa gara vorrei farla proprio con lui che è stato il primo in assoluto a credere nelle mie capacità, il primo che si è preso cura di me come atleta e che con i suoi suggerimenti, consigli, e piccoli programmi di allenamento ha trasformato una ragazza come tante in una maratoneta! Lo guardo negli occhi senza parlare sicura che lui saprà leggere nei miei tutta la riconoscenza che ho nei suoi confronti.
Il tempo per i pensieri è finito, adesso bisogna correre! Impresa non semplice, perché devo fare attenzione a non finire addosso a qualcun altro, a non cadere, a non farmi calpestare, a non finire sulla traiettoria degli altri runner. Il mio mal di testa d’incanto svanisce, sono concentrata su ciò che sto facendo, ascolto il battito delle scarpe di migliaia tra uomini e donne e mi sembra di assistere ad un meraviglioso concerto. Il respiro mio e di tutti gli altri attorno a me somiglia ad una dolce melodia, ad un canto ammaliatore che ipnotizza gli animi.
Dietro di me sento cori di voi che leggono la scritta sulla mia maglietta “La fatica è momentanea, la gloria dura per sempre”, in molti mi fanno i complimenti, in tanti la commentano e tentano un approccio, una ragazza incita il suo compagno a ricordarla in modo da poterla stampare a loro volta sulle loro magliette. La leggono talmente in tanti e la ripetono talmente in tanti che inizio tutta una serie di riflessioni sul suo significato. La fatica che faccio calpestando i sampietrini è molta, ad ogni passo devo regolare l’angolazione del piede e subito se ne accorgono (oltre che le miei caviglie e le mie ginocchia) i miei alluci che iniziano a dolermi, li troverò neri dopo la doccia post gara!
Sono ancora al secondo chilometro quando incontro l’amica Inge Hack: é una gioia immensa nel rivederla, ci scambiamo un bacio mentre corriamo, ci chiediamo come va, qualche metro insieme e poi ci allontaniamo. Da lontano sento che mi urla che per oggi non vuole più vedermi (se dovesse raggiungermi significherebbe che qualcosa è andato storto e che ho dovuto rallentare). Ancora poche centinaia di metri e a raggiungermi è un’altra amica: Anna Cavallo, adesso siamo proprio tutte qui le tre donne che hanno diviso il podio della maratona di Ragusa. Anche con lei poche parole, tanto incoraggiamento e poi proseguo la mia corsa.
I ristori sono regolari, abbondanti, fa caldo, il sole è alto e mi attacco al ciuccio dei sali come un neonato alla mammella dell’adorata mamma. Gli spugnaggi sono ambitissimi, afferro la mia spugna e non la mollerò più sino alla fine, mi bagno spesso polsi e nuca, ogni tanto anche la testa e il volto. Il sudore scorre copioso sul mio viso e sento la pelle salata tirare.
Intanto i chilometri passano e non sento nessuna fatica: è come se non stessi correndo affatto, il respiro è regolare, le gambe girano come dovrebbero e in men che non si dica ho già fatto 21 km! Sono già a metà dell’opera, felice e fiera di me. Intanto sento moltissime ambulanze che soccorrono gli atleti che, per vari motivi, non ce la fanno e sono sopraffatti da un malore. Davanti a noi uno si sente male, ma stordito com’è non se ne rende nemmeno conto, barcolla passo dopo passo, temiamo che da un momento all’altro crolli per terra, Salvo insieme ad altri lo soccorrono e lo adagiano sul caldo asfalto. Io proseguo la mia corsa, non voglio fermarmi, non voglio assistere al fallimento – quando corri una maratona, corri non solo con le gambe, ma soprattutto con la testa, e i malori altrui non aiutano di certo.
Già dal 10° chilometro avverto una fitta al fianco sinistro che adesso inizia ad essere più presente. Non voglio preoccuparmi e decido di non dire nulla al mio compagno di corsa, continuo come se nulla fosse ed inizio a pensare che correre è come partorire. Quando si è stesi sul lettino della sala parto, in preda ai dolori, in pieno travaglio, l’unico desiderio è che tutto ciò finisca al più presto. Si desidera che tutto il dolore svanisca, si giura che mai e poi mai si vorrà ripetere tale dolorosissima esperienza (è la fase della fatica). Ma quando dopo lunghissime ore tieni stretta al petto la tua creatura ti dimentichi di tutto (è il momento della gloria). Ed allora non vedi l’ora di farne un altra!
Questi e tanti altri sono i pensieri che si affollano nella mia mente, ma il dolore al fianco non è solo, è accompagnato da quello alle ginocchia. Decido di comunicare il mio malessere a Salvo, il quale mi guarda con preoccupazione. Mi fermo durante un rifornimento sotto la tenda del pronto soccorso e mi faccio spruzzare lo spray su caviglie, polpacci e ginocchia, ringrazio il giovane infermiere regalandogli un sorriso e allontanandomi gli urlo: “Che Dio ti benedica!”, e già perché l’effetto benefico si fa sentire immediatamente. Mi sento come nuova e sono già al 30° km. Ancora 12 chilometri e la mia impresa sarà terminata, 12 km durante i quali - quasi senza accorgermene - riesco a superare più di 800 atleti. In tanti si arrendono, in tanti camminano. Un tipo di Napoli spiega ai suoi compagni che i veri atleti si vedono dopo il muro del 33 km, ed allora decido che per me stavolta non ci sarà nessun muro!
Durante questa fase più volte invito Salvo ad andare avanti, a lasciarmi, lui è più veloce e lo sto penalizzando. Al 37° km mi lascia, mi saluta a malincuore: lo vedo allontanarsi, si fa strada faticosamente, c’è ancora troppa gente e non si riesce a superare con facilità, ma pazienza è il prezzo che si deve pagare quando si partecipa ad una delle maratone più importanti del mondo.
Abbiamo attraversato tutta la città, siamo passati davanti ai più importanti monumenti di Roma, abbiamo calpestato senza offendere tutte le più belle strade. Mi sorprende davvero il calore delle persone che assistono alla manifestazione: in più occasioni ho incitato con le mani, con gli applausi e con le urla coloro che al di la delle transenne ci guardavano passare. Dai balconi dei palazzi, scendevano sulle nostre teste grida di incoraggiamento, mentre anziani affacciati applaudono entusiasti questo serpentone umano lungo chilometri che si dispiega e si agita sotto i loro piedi.
A Roma non hai tempo di pensare al muro del 33 km, sei così gasato che tiri dritto verso la meta.
Un bimbo allunga la sua manina per battere il cinque ai maratoneti: lo tocco delicatamente, quasi religiosamente per paura di fargli male. E’ emozionante l’entusiasmo che vedo nei suoi piccoli occhi chiari, la sua innocenza è tale da farmi provare una fitta al cuore. Penso al mio grande amore, a mio figlio Luca e penso che sarebbe bellissimo poter correre insieme a lui gli ultimi metri, mano nella mano. Chissà, magari un giorno anche lui capirà, amerà e condividerà questa passione così travolgente.
Intanto la meta è vicina, il mio GPS segna 40 km e qui ritrovo il gruppo di napoletani, uno di loro è stremato - gli altri lo incoraggiano - ma ha il viso stravolto, lo incito anche io con delle parole che dovranno servigli a distrarsi più che a riprendersi “Alza le gambe, muovi quel culo e corri!”, arriveranno pochi minuti dopo di me al traguardo tenendosi per mano.
Mi sento chiamare “Elenaaaaaa!” è lui: Ezio, con la macchina fotografica ed un sorriso meraviglioso che mi incita, non avrei mai immaginato di incontrarlo proprio adesso, a breve sarò di nuovo tra le sue confortanti braccia.
Adesso che sono quasi arrivata mi spetta l’ultimo chilometro quasi tutto in salita, ma io che di salite ne faccio di continuo non me ne curo. So solo una cosa: ce l’ho fatta, ho conquistato il Colosseo!
Sono riuscita a finire la mia terza maratona in poco più di due mesi. Sono felice, soddisfatta, fiera di me. Mi amo, amo quello che ho fatto, amo le persone che hanno contribuito a far si che ciò si sia avverato.
Mancano solo 100 mt, ad un tratto vedo Maurizio Crispi, lo chiamo con quel poco di fiato che mi rimane e lo vedo sollevare la macchina fotografica: avrò anche una sua foto mentre volo verso l'arco gonfiabile dell'arrivo.
Alzo le braccia e le mani in segno di vittoria, oltrepasso il traguardo e mi godo la mia medaglia.
La bacio e la ribacio come si fa con l’amato.
Intorno e davanti a me si stende un campo di battaglia: non morti o feriti come dopo una lotta cruenta, ma soltanto maratoneti esausti oppure semplicemente intenti a godersi cinque minuti di meritato riposo. In molti sono sdraiati a terra, in molti necessitano di cure mediche. Incontro Salvo, arrivato alcuni minuti prima di me, ci salutiamo e ci facciamo festa come se non ci vedessimo da anni; quindi, ci incamminiamo verso l’uscita dove i nostri cari ci aspettano, i passi sono lenti, affaticati, doloranti, siamo tutti sudati e salaticci di sudore rappreso, ma nessuno dei due avrebbe voluto essere da nessun’altra parte del mondo se non lì, in quel momento ed in quella situazione. Un legame forte, sincero ed autentico che supera qualsiasi difficoltà e che si muove per chilometri e chilometri.
Io sono felice, ho partorito la mia creatura ed adesso non vedo l’ora di metterne al mondo un’altra.
| F1332 - CIFALI ELENA | MOVIMENTO E' VITA | = | | --- np --- | --- np --- | --- np --- --- np --- | --- np --- --- np --- | Tempo | --- np --- | --- np --- | --- np --- | Via Ostiense (5K) | 5000 | 5898 | 597 | 5892 | 00:30:41 | 00:28:43 | | 6.08 | Lungotevere Testaccio (10K) | 10000 | 6632 | 655 | 6626 | 00:59:09 | 00:57:10 | 00:28:27 | 5.54 | Lungotevere Marzio (15K) | 15000 | 6974 | 662 | 6968 | 01:27:42 | 01:25:44 | 00:28:33 | 5.50 | Viale Caorso (Half Marathon) | 21097 | 7274 | 667 | 7268 | 02:03:53 | 02:01:55 | 00:36:10 | 5.52 | Lungotevere Acqua Acetosa (25K) | 25000 | 7276 | 673 | 7268 | 02:27:03 | 02:25:05 | 00:23:10 | 5.52 | Via Reni (30K) | 30000 | 7207 | 687 | 7199 | 02:58:37 | 02:56:39 | 00:31:34 | 5.57 | Corso Vittorio Emanuele II (35K) | 35000 | 6860 | 677 | 6852 | 03:29:27 | 03:27:29 | 00:30:50 | 5.59 | Via Petroselli (40K) | 40000 | 6548 | 675 | 6540 | 04:01:38 | 03:59:39 | 00:32:10 | 6.02 | Via dei Fori Imperiali (FINISH) | 42195 | 6396 | 668 | 6387 | 04:15:37 | 04:13:39 | 00:13:59 | 6.03 | |
Foto di Maurizio Crispi