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14 maggio 2014 3 14 /05 /maggio /2014 11:02
100 km del Passatore. Meglio da soli e senza il frigo-bar al seguito: ritorna come sempre il problemi dei centisti assistiti
(Maurizio Crispi) Corre il conto alla rovescia per la 42^ edizione della 100 km del Passatore che andrà in scena tra il 24 e il 25 maggio prossimi. E' la Cento più bella del mondo: su questo non ci piove. E' quella a cui ogni anno si presenta un numero elevatissimo di esordienti nella distanza: sotto questo profilo la Cento da Firenze a Faenza è considerata quasi alla stessa stregua della maratona nella Grande Mela - fatte le debite proprozioni - per chi esordisce in Maratona.
"Voglio provare una Cento? Quale vado a fare? Ma non c'è dubbio! Mi iscrivo alla 100 km del Passatore!"
Quella del Passatore anche una delle 100 km di cui si è scritto e si scrive di più, in termini di resoconti, cronache e racconti, perché non solo è una regina tra le Ultra (42 edizione, non sono una cosa da nulla), ma è entrata nel mito e nella leggenda, grazie ai tanti runner di eccellenza che hanno scritto le sue pagine più gloriose, ma anche per via dei tantissimi personaggi che si presentano allo start di ogni nuova edizione (alcuni autentiche icone ed immancabili, volti ricorrenti e, di tanto in tanto volti nuovi che impongono con forza un nuovo personaggio, mentre quelli vecchi si avviano sul viale del tramonto), e le decine di migliaia di uomini e donne che l'hanno corsa (se provate ad immmaginare il numero di tutti i podisti che hanno corso la Cento del passatore, sommati assieme), ciascuno dei quali ha avuto e ha una sua storia da raccontare.
Ma, nel mito e nella leggenda della Cento del Passatore, c'è una piccola imperfezione che anno dopo anno non si riesce ad eliminare.
Ed è la piaga di coloro che partecipano alla 100 km, facendosi accompagnare.
Di mala grazia siamo costretti ad accettare uomini politici e magistrati con scorte ridondanti e - diciamocelo francamente - spesso superflue: e alla 100 del Passatore ecco che, da un'edizione all'altra, si devono "sopportare" coloro che fanno la gara con la loro "scorta" personale. Amici e parenti su auto, su camper, su pulmini, in alcuni casi anche su moto che affollano la strada da Firenze a Faenza, la intasavano, la ammorbano con i loro fumi di scarico, assicurando un'assistenza tanto capillare quanto fastidiosa, chilometro per chilometro, metro per metro, quasi.
Naturalmente, tutto ciò in aperta violazione del regolamento (dove sono date forti limitazioni all'assistenza personalizzata da parte di un auto al singolo podista) che però nessuno si perita di far rispettare (per motivi di opportunità, probabilmente). E così il problema si ripropone in copia carbone, puntualmente ogni anno, forse anche un po' maggiorato ogni volta.
Quella che fanno i podisti con assistenza personalizzata al seguito è un'altra gara, non c'è bisogno di dirlo: il vero centista è colui che affronta la 100 km del Passatore da solo, non solo per quanto concerne la distanza in sè, ma anche per tutte le difficoltà correlate: le crisi, la stanchezza, il desiderio di mollare che, a tratti, può farsi impellente, la solitudine, il buio della notte.
Chi si fa accompagnare, anche se certamente non avrebbe mai la sincerità di ammetterlo apertamente, è un codardo: vuole affrontare una prova "estrema", ma - nello stesso tempo lo fa con tutte le comodità, cercando di trovare delle pie persone che lo coccolano e lo vezzeggiano e lo viziano per tutta la distanza.
Quindi, secondo me, chi opta per questa scelta, innanzitutto, si priva della possibil -ità di fare l'esperienza della cento in tutta la sua integrità, ma nello stesso tempo è causa di fastidio e di nocumento (è capitato qualche volta che dei podisti fossero investiti proprio da auto al seguito) nei confronti di coloro che il passatore se lo fanno da soli.
Del resto, la 100 km del Passatore non è una gara da fare in auto-sufficienza, ma è attrezzato con posti di ristoro, fornitissimi, praticamente ogni 5 km, ma offre anche ai runner la possibilità di ristori personalizzati e di ricambi ai traguardi intermedi di Borgo San Lorenzo,  Colla (50° km, circa) e di Marradi (75°).
E dunque quale è il punto? Qual'è la necessità di farsi accompagnare da ingombranti ed inquinanti auto al seguito?
Nessuna necessità oggettiva, soltanto il desiderio di comodità e la codardia. 
Alcuni dicono, a mo' di giustificazione: "Se non sono accompagnato e assistito, a casa non me lo lasciano fare". 
E, quindi, pur essendo adulti e vaccinati, si fanno tenere a balia: "Caro, hai bisogno di un pannolino asciutto?", "Vuoi una pappina calda, visto che lì fuori fa freddo e che c'è buio?, "Poverino, sei proprio sfinito! Vieni qui a sederti in auto al caldo che ti conforto un po'!". 
Per non parlare poi del fatto che, con tutte queste auto 
di parenti, amici e fiancheggiatori che intasano una strada abbastanza stretta e tortuosa e , le tentazioni di smarrire la retta via e di rispiarmarsi un po' di chilometri si fa molto forte, se non addirittura irresistibile.
E così ci sono anche quelli che, dopo essere stati tenuti a balia diventano finisher di una Cento, avendone percorso soltanto 80 o 90 chilometri, recando così un insulto alla Morale sportiva e alla fatica onesta di quelli che il Passatore se lo fanno tutto e da soli.
Ma anche quelli che i chilometri se li fanno tutti, ma con l'auto al seguito, anche se loro diranno di no, pure loro hanno "frodato", non nel senso della frode sportiva, ma in quello dell'avere ingannato lo Spirito della corsa.
E, in ogni caso, hanno ingannato se stessi, in quanto si proclamano finisher di una gara edulcorata, in cui sì i chilometri percorsi sono stati gli stessi, ma tutto il contesto e l'esperienza che se ne è tratta sono cambiati.
Ecco quello che scrive Enrico Bartolini, grande ultrarunner e rappresentante dell'Italia in diverse competizioni internazionali: Il Passatore è un viaggio che si affronta nudi. Mi chiedo perché più nessuno ha il coraggio di affrontare il Passatore da solo. Sono uno dei pochi che si ferma ai ristori per bere e per mangiare qualcosa, in tanti vanno dritto facendo affidamento sui "frigo-bar" che hanno al loro seguito. Non sanno quello che perdono! Il Passatore è un viaggio che si affronta nudi, profittando dell'ospitalità della gente che si incontra, ospitalità che si trasforma in un bicchiere di acqua, un tozzo di pane con la marmellata o con la mortadella, un uovo sodo (per chi si sente di mangiarlo), anche in un bicchiere di vino. Se non ti fermi, non sei al Passatore; lo stai solo guardando da vicino. 
Enrico Bartolini, il cui commento mi ha ispirato a scrivere questo articolo, mi trova perfettamente d'accordo. Ciò che lui dice è esattamente in linea con quello che penso e che ho detto da sempre (anche alla luce delle mie personali esperienze di centista), scrivendolo anche in miei precedenti articoli, sia in questo magazine sia su podisti.net, la testata di podismo con cui collaboravo in passato.
La 100 del Passatore - qualsiasi 100 e qualsiasi ultra - a meno che il regolamento non dica diversamente, si deve affrontare da soli con le proprie forze e con ciò che offre l'organizzazione!
Una soluzione possibile è quella che ho visto adottata alla 100 km di Belves (in Francia): una rinomata Cento che per i Francesi ha la stessa importanza che la Cento km del Passatore pha per gli Italiani.
Là il regolamento prevede l'assistenza personalizzata, in corso di gara, ma deve essere un'assistenza sportiva. Quindi, niente auto al seguito, ma solo biciclette.
Chi vuole assistere da "ciclomontato" deve regolarmente iscriversi come "assistente", pagando una sua quota d'iscrizione e indossando un pettorale che, in genere, porta lo stesso numero del podista assistito.
Niente inutili e pericolosi affollamenti allo start: le bici partono prima e si portano al 20° km dove, dove lungo un tratto di strada ampia e spaziosa, rimangono a bordo strada, perfettamente allineati, in attesa del passaggio dei podisti: e, quando i runner arrivano, ciascuno si aggrega al suo assistito e lo segue per tutta la durata della gara.
Cibo e bevande, però secondo regolamento, possono essere erogati soltanto in zona ristori.
Ecco, questa potrebbe essere una soluzione valida, perchè si eliminerebbe il problema della auto al seguito e di eventuali trasporti clandestini, ma - a mio parere - la 100 fatta con un'assistenza - anche sportiva, ciclomontata come in questo caso - assume indubbiamente delle caratteristiche diverse e il podista assistito - da finisher - dovrebbe rientrare , in realtà, in una classifica a parte.
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12 aprile 2014 6 12 /04 /aprile /2014 15:54

Il Cammino nei sogni, il Cammino del sogno, il cammino come incubatore di sogniGuido Ulula alla Luna, come abbiamo accennato più volte, è un medico e psicoterapeuta, nella vita professionale, ma nella sua esistenza di uomo è un camminatore, nonché guida de "La Compagnia dei Cammini".
La sua esperienza del "Camminare" che è spesso un cammino "profondo" spesso la può importare nella sua esperienza professionale e nel rapporto con i suoi pazienti, visto che il camminare offre degli spunti di riflessioni ed un'esperienza assolutamente fuori dall'ordinario.
Spesso, nei nostri sogni, c'è di mezzo un "cammino", in quanto il camminare è da sempre un'esperienza primordiale dell'Uomo  e rimanda ad un passato ancestrale che la tecnologia moderna tende a farci dimenticare, ma non può cancellare del tutto.

Il mettersi nella lunghezza d'onda del Cammino è utile per attivare riflessioni e cambiamenti interiori: basandosi sull'esperienza del cammino che procede un passo dopo l'altro e che comporta il confronto con diffcioltà di vario tipo e nello stesso tempo un contatto  vivificante con la natura, vissuta senza filtri e senza mediazioni.

Il cammino può essere individuale e solitario oppure può essere fatto in gruppo e divenire un'esperienza condivisa.

Una particolare esperienza che Guido Ulula alla Luna potrebbe essere quella del camminare in gruppo per alcuni giorni, vivere l'esprienza del cammino individualmente, avendo l'opportunità di condividerla (la sera quando si sosta e magari se c'è la possibilità di farlo si accende un fuoco o ci si raccoglie attorno ad un camino acceso), e scambiarsi il racconto dei sogni fatti a partire dai residui diurni del cammino.
Il Cammino così inteso può diventare una situazione terapeutica e trasformativa del sé, a somiglianza di quello che accadev anella Grecia classica in cui gli ammalati (nel corpo e nell'anima) si recavano in speciali santuari, dove in un contesto particolare (dominato dalla sacralità), "incubavano" sogni che poi i sacerdoti interpretavano, come racconta il retore Elio Aristide nella sua opera "Discorsi sacri" (Adelphi, 1984), parlando di un suo personale percorso di guarigione nel santuario di Asclepio a Pergamo(1).

Quindi, come sottolinea Guido Ulula alla Luna, il Cammino - se fatto in un certo modo - può essere terreno fertile per l'"incubazione" di sogni che portano ad una forma di guarigione dai mali della modernità che ci affliggono.

 

(Guido Ulula alla Luna) Mi ha fatto molto piacere di recente raccogliere il sogno di una mia paziente, in cui il simbolo centrale era “il cammino”. Veniva nominato proprio così, letteralmente. È stato molto interessante riflettere con questa persona sul significato positivo che esso rappresentava, come proposta evolutiva rispetto ai suoi problemi.
Del tutto evidente lo stallo esistenziale in cui si ritrovava, il cammino incarnava la concreta possibilità di rimettersi in movimento, di ripartire, di  sapere che 
comunque nella vita è sempre possibile fare un passo avanti, anche se la direzione non è sempre ben chiara.
Portandole la mia esperienza di camminatore, abbiamo allargato il discorso sulla filosofia dell’etica del viandante, che è una vera e propria strategia per non rimanere bloccati di fronte a situazioni complesse e difficili.
È fondamentale accettare le nostre fragilità e insicurezze, abbandonare la pretesa d’aver tutto chiaro in testa, sapere che il modo corretto di aiutarci è azzardare un primo passo, a cui sarà poi facile farne seguire un altro, e un altro ancora.
Il cammino è una metafora molto potente e profonda della specie umana, radicata nelle esperienze ancestrali di quei primati che fummo, che seguirono la spinta della loro curiosità e… si incamminarono.

I sogni sono pieni di saggezza e di energia. Spesso come commento a un sogno che mi viene riferito suggerisco un semplice… esegui. In questo caso in particolare, ma anche in tanti altri, ho constatato che dare l’input di dare spazio al corpo, di cui il camminare è l’esemplificazione più elementare ed alla portata di tutti, fa uscire dai cortocircuiti in cui la troppa razionalità ci costringe.
Resta poi tutta da pensare l’idea di mettere assieme la potenza del cammino con quella del sogno. Ad esempio fare un viaggio di gruppo in cui ci siano momenti di condivisione e approfondimento dei sogni che i vari partecipanti producono.
Nell’antica Grecia esisteva una forma terapeutica che consisteva nel recarsi ad un tempio in cui si “incubavano i sogni”.
Cioè si restava in quel luogo sacro finché non emergevano sogni, che poi venivano interpretati dai sacerdoti esperti nel campo.
Io credo che la sacralità da ritrovare nella nostra epoca tecnologica sia nel mondo della Natura. Fare scaturire i nostri sogni in un ambiente naturale, durante un viaggio a piedi, che già di per sé significa voglia di ricerca, può aprire la strada ad un modo innovativo di intendere la nostra crescita.

Scritto da Guido Ulula alla Luna (che propone un cammino nei sogni dal 28 giugno al 1 luglio)

 


Note

Il Cammino nei sogni, il Cammino del sogno, il cammino come incubatore di sogni(1) "Discorsi Sacri" di Elio Aristide è «la prima e unica autobiografia religiosa che il mondo pagano ci ha lasciato» (Dodds), ma anche in certo modo il primo caso clinico che conosciamo, documentato dal paziente stesso. Tutta la vita di Elio Aristide ruota infatti intorno a un male psichico, mutevole e insidioso. E al tempo stesso intorno alla divinità che salva dal male: Asclepio. Nel santuario del dio, a Pergamo, si compiva il rito dell’incubazione: il paziente andava in quel luogo a sognare, e l’intervento guaritore del dio avveniva appunto nel sogno. Si creava così una sacra intimità fra il paziente e Asclepio. Da essa è dominata tutta la vita di Aristide: questo abile e fecondo retore, sempre oscillante fra la minuziosa ossessività nevrotica e la maestà sciamanica, ha scelto, per raccontare la storia della sua anima, una forma tortuosa, in un perpetuo intreccio fra sogni risanatori ed eventi perturbanti: intreccio di cui è superfluo sottolineare la sconcertante modernità. E un’altra sensazione ci colpisce subito in questo testo: mai avevamo avuto l’impressione di calarci così profondamente nella vita quotidiana di uno scrittore dell’antichità classica. A lungo trascurati per la loro eccessiva stranezza, questi Discorsi sacri, che risalgono al secondo secolo dopo Cristo, epoca della suprema fioritura dell’Asclepieo di Pergamo, vengono oggi riscoperti e rivendicati quale «documento unico, e uno dei più notevoli del mondo antico»

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8 aprile 2014 2 08 /04 /aprile /2014 12:22

Non è sempre tutto rose e fiori. Anche in UK una gara può essere sospesa senza preavviso per mancanza di scorte d'acqua

Questa piccola news serve a sottolineare che la perfezione non è di questa terra e che non è sempre tutto rose e fiori.
Anche in UK, dove tutti gli eventi sportivi si svolgono in genere in maniera lineare e con una buona e capillare organizzazione, può succedere che una gara possa essere sospesa senza preavviso: e per un motivo tutto sommato banale, ma insormontabile come può essere la mancanza di scorte d'acqua.

E' successo a Sheffield, dove lo scorso 6 aprile 2014 si sarebbe dovuta correre una Mezza maratona.
All'ultimo momento, gli organizzatori si sono resi conto che - rispetto all'afflusso di partecipanti del tutto imprevisto - non avevano da mettere in campo sufficienti quantità d'acqua per i ristori.

Invano, hanno tentato di acquistarne ulteriori quantitativi dai rivenditori al dettaglio, ma non sono riusciti nell'intento: non ce n'era comunque a sufficienza.
I podisti, del tutto disorientati, sono rimasti in attesa allo start, prima di sapere una parola definitiva sull'esito della faccenda.
E, alla fine, la gara non si è fatta: l'evento è stato cancellato dagli organizzatori, quando già era stato dato il segnale di partenza: totale disorganizzazione e caos e molti runner hanno deciso di continuare egualmente la loro corsa.
Come si dice: "Nessuno è perfetto". 

 

Sheffield Half Marathon water shortage causes chaos. Chaotic scenes surrounded Sheffield's Half Marathon after organisers cancelled the event due to a lack of water for runners.

There was confusion at the starting line as many of the 4,100 runners decided to carry on running anyway.

South Yorkshire Police said it had initially tried to set up road blocks, but later decided it was safer to let them complete the run.

Organisers said they had been "let down" by their water supplier.

Insp Neil Mutch, of South Yorkshire Police, said: "We attempted to convince runners not to carry on, but decided it was a lesser risk to let them run the race."

Runner Lisa Steers: "We heard boos, then everybody just set off"

Margaret Lilley, chair of the race organisers, said: "We had a problem with the supply of water. The company we had asked to supply bowsers for the route did not arrive this morning".

Runners stopped

"We have scoured supermarkets around the city, but unfortunately we have not been able to secure enough water for the medical-and-safety officers of the race to say it is safe to go ahead. We therefore took the very reluctant decision to cancel the race."

Ms Lilley added: "Runners had waited half an hour or more to start. When we made the announcement the runners decided that they wanted to race anyway, and all of them set off."

Many runners stopped when they realised the race had been cancelled, but a large number decided to carry on.

Margaret Lilley, organiser of the Sheffield Half Marathon, explains why her event was cancelled

Jenny Chambers, from Sheffield, who was near the starting line, said she was angry at organisers for "mismanaging" the event.

She said: "I was looking forward to running as it's my local race; in fact I won the very first Sheffield MarathonIt's not good enough to say the race was cancelled but then let runners carry on. I feel very let down. [It's] appalling mismanagement, that's why I am cross; not the fact that the race was cancelled, but how it was done."

Another runner, identified only as John from Huddersfield, said: "We just heard that it had been cancelled and then everyone set off, and as you got running people were saying it was because there was no water on the course.

There was a limited supply of water for the runners along the route

"But once you got out onto the course there were people handing out bottles."

Peter Novodvorsky, of Sheffield, who was there to watch the race, said there were chaotic scenes.

He said: "The organisers announced the cancellation through a loudspeaker, which was not loud enough at all. When people started running anyway, I suppose many people at the back thought the race had started."

Toby Spencer, from Solihull, was the first person to cross the finish line at Don Valley Bowl, BBC Radio Sheffield reported. He said it was his "first and last race here".

 

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3 aprile 2014 4 03 /04 /aprile /2014 18:40
Le parole date si mantengono: onore agli organizzatori che rispettano le promesse!
(Elena Cifali) Cosa hanno in comune gli organizzatori della Maratona di Siracusa e gli organizzatori della Maratonina d’Agrigento?

Sono persone d’onore!

La “parola d’Onore” non tutti ce l’hanno, alcuni non sanno neppure cosa significhi.

Lo scorso gennaio partecipai alla soffertissima Maratona di Siracusa. Quando tagliai il traguardo - con le amiche Inge ed Anna- non ricevetti la T-shirt commemorativa dell'evento perché quelle a disposizione non bastarono a causa di un numero inaspettato di iscritti.

Stessa scena si verificò al temine della Maratonina d’Agrigento, quando superato il gonfiabile dell’arrivo con sommo dispiacere non potei indossare la tanto sudata medaglia. Anche in questa occasione un'elevata partecipazione di concorrenti aveva svuotato le riserve.

In entrambi i casi mi fu promesso che avrei ricevuto maglietta e medaglia non appena possibile.

Con immenso piacere, e grandissima sorpresa mi sono state consegnate proprio in questi ultimi giorni.

Questi due premi - per quanto piccoli -  rappresentano la soddisfazione per lo sforzo sostenuto, sono regali di momenti indimenticabili, sono la dimostrazione che la piccola volontà di ognuno di noi sa fare miracoli.

Ma hanno anche il sapore della determinazione, e hanno il pregio di insegnare a leggere nella propria mente per studiare i segnali di amicizia, lealtà e giustizia che spesso si nascondono dentro quel cumulo di spazzatura che fermenta dentro ognuno di noi.

Con i gesti e con le parole accumuliamo esperienza e dalla sua maturazione nascono grandi gesta, poesie, racconti e Parole d’Onore.

Bene, sia che andiate a correre la Maratona di Siracusa, sia che andiate a correre la Maratonina d’Agrigento, in entrambi i casi, al vostro arrivo troverete delle Persone d’Onore ad aspettarvi: e questo fatto è sicuramente una garanzia!

Ancora una volta grazie!

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2 aprile 2014 3 02 /04 /aprile /2014 14:27

Corsa, fatalità e senso di responsabilità(Maurizio Crispi) La tragedia della morte di Carmelo Neri, spirato mentre portava a termine la Maratonina Blu Jonio, lo scorso 30 marzo a Riposto (CT), ha colpito profondamente il mondo del running siciliano, suscitando assieme ai sentimenti di cordoglio, al lutto, al dispiacere, le solite polemiche trite e ritrite, in una ridda di opinioni contrastanti e spesso formulate solo con il senno di poi e sulla spinta di pregiudizi stupidi: "Del tipo aveva 68 anni e non avrebbe dovuto correre".
Oppure: "Correva cntro il parere del medico... non avrebbe dovuto farlo!"
Personalmente, non desidero entrare nel merito di queste polemiche, né voglio alimentarle, dal momento che esse - con il loro clamore - possono soltanto disturbare la pace di un'Anima che forse si è involata via felice dal luogo del proprio decesso, perchè il suo trapasso è stato talmente repentino da  passare per lei inosservato: un'Anima che, forse, adesso, seguendo la sua passione, si trova nei verdi campi di corsa di un Altrove che non ci è dato di conoscere, finchè saremo in questa vita.

Nella mia carriera podistica, prima da semplice podista; poi, da podista e giornalista; poi, ancora, da giornalista e fotografo, ma sempre da medico che si occupa di psicologia, di casi come quello di Carmelo ne ho visti a bizzeffe.

E, tra coloro che ho personalmente conosciuto, posso - e voglio - ricordare il grandissimo Roberto Gherardi, presidente della Società podistica che organizza la Mugello Marathon, la decana tra le maratone tricolori, che si è involato come rapito da un soffio di vento, mentre si accingeva a tagliare il traguardo della Maratona di Calderara di Reno, ormai più di dieci anni addietro.
Fu una morte repentina la sua e tutti noi fummo commossi e turbati all'inverosimile.
Cadde proprio davanti ai nostri occhi, per non rialzarsi più.

Non avrebbe più dovuto correre Roberto, proprio lui che era uno dei super-maratoneti italiani più quotati e che si era dedicato con successo, spinto da una passione irrefrenabile anche alle ultramaratone: un anno, ad esempio, disputò la Nove Colli Running (allora su di una distanza dichiarata di 202 km) e il sabato successivo ero pronto allo start della 100 km del Passatore, che quell'anno concluse con un crono di poco superiore alle 10 ore.
Poi il verdetto medico: Il tuo cuore non funziona bene e dovrai astenerti dal correre e dal disputare le gare che ami tanto.
E Roberto per qualche tempo se ne stette buono buono, ma non era più lo stesso, senza la sua corsa.
In barba alle prescrizioni mediche, riprese a correre e a partecipare alle gare (gare che per lui furono le maratone: almeno rinunciò a correre le Ultra che amava tanto), dicendo a tutti che il problema che lo aveva costretto al fermo si era risolto. Ma, invece no, non lo era affatto e lui, egualmente volle correre l'azzardo, consapevole di eventuali conseguenze.
Ma per lui era più importante correre.
La figlia, profondamente addolorata, intervenne nel dibattito che, dopo il cordoglio, si accese alla sua morte: dicendo che sì, il suo dolore era grandissimo, che ne era straziata, ma che nello stesso tempo tempo si rendeva conto che il padre senza la corsa non sarebbe più stato lo stesso e allora, Perchè no?  Perchè non avrebbe dovuto farlo?, finì con l'argomentare lei stessa, pur con lo strazio nel cuore.

Non andarono meglio le cose a William Govi, altro notissimo personaggio del popolo delle lunghe, sempre all'inseguimento di Giuseppe Togni per la conquista dell'ambito riconoscimento di maratoneta italiano con ilmaggior numero di maratone corse in carriera. Al termine di una gara, William Govi si accascò colto da Ictus; ricoverato, pur lottando per poter ritornare a stare sulle proprie gambe, non recuperò mai più il pieno controllo della sua motricità ed è morto dopo lunghe sofferenze - soprattutto psicologiche - nella seconda metà del 2013. 

Ma ci sono anche di casi di gente morta o incorsa in incidenti cardiaci, mentre si stava allenando molto tranquillamente.
Come non ricordare il caso del compianto Mario Ferrara (Palermo), colpito da una sincope mentre si allenava nella Villa dello Stadio di Palermo e rimasto a terra senza soccorsi per almeno cinque minuti, prima di essere portato in Ospedale per le necessarie cure intensive. Ma non ci fu molto da fare, rimase in coma per circa un mese e poi se ne andò per sopravvenute complicanze. 

In altri casi, altrettanto tragici, ci sono podisti che muoiono per fatalità e non mentre stanno correndo, come fu il caso tristissimo di Alfio Balloni, nel lontano 2003 (vedi il ricordo di lui riportato in calce al presente articolo), a causa di un traggico e beffardo incidente che non c'entrava niente con la corsa: un cinghiale gli taglioò la streada, mentre eprcorreva sul ciclomotore lo sterrato cheusciva da casa sua. Per evitare la bestia, paratasi davanti all'improvviso, andò a sbattere lievemente contro il muretto di pietre che costeggiava la via. Un urto lieve, senza apparenti lesioni. Un po' scosso, tuttavia, se ne tornò a casa: nel corso della notte morì, in silenzio, a causa di un'emorraggia interna, provacata dall'urto del manubrio contro la parte addominale. 
Oppure, come fu il caso di una altro grande super-maratoneta, Antonino Morisi un ingegnere quasi ottantenne che, essendo ancora attivo rappresentante del popolo delle lunghe (con oltre 300 maratone concluse nel suo curriculum sportio), morì - appena pochi giorni dopo aver corso la sua ultima maratona - colto da infarto, mentre tranquillamente pedalava sulla sua bici. 

E ci sono casi di persone colpite da morte improvvisa, mentre non facevano proprio nulla, se non vivere tranquillamente la propria vita.
E dunque? Sia che facciamo sport, sia che non lo pratichiamo, quel momento - se deve arrivare imprevisto - arriverà: è come nei preamboli della storia della Bella Addormetata nel Bosco. Per quanto si cerchi di evitare di pungerti con il fuso letale, ce ne sarà sempre uno - nascosto chissà dove - che, pungendoti il dito, ti dispenserà il Sonno Eterno.

E cos'è preferibile, morire di una morte rapida ed improvvisa, oppure a causa di malattia che progredisce in maniera lenta ed inabilitante, o ancora nella consuzione d'una vecchiaia immobile, in cui tutto ti viene proibito - delle cose che più ti piacevano - perché indulgere in esse ti farebbe "male?
Vale il detto in questa materia: "E' meglio vivere un giorno da leoni che cent'anni da pecora".


Mio padre, dalla forte personalià, attivo e vigoroso, mi confidò una volta, quando ero ancora un bambino di poco meno di dieci anni, parlandomi di un suo collega giornalista, morto d'infarto, mentre a notte inoltrata lavorava alla sua scrivania: "Ecco, questo è il modo in cui mi piacerebbe morire!".
Ed ebbe, in effetti, una morte rapida e - suppongo - indolore, anche se in un modo che non avrebbe mai potuto prevedere. 

Io credo molto in due cose:

Uno, nella fatalità e nel fatto che se una cosa deve capiterà, capiterà comunque. 
Ci sono cose che non si possono prevenire: capiteranno, per quanto uno sia stato scrupolosamente controllato sotto il profilo sanitario. 

Due, nel fatto che uno, sapendo incontro a quali rischi corre, può liberamente scegliere di andare incontro all'eventualità della propria morte.

In Gran Bretagna (e molti sanno come sono meticolosi e attenti alle cose che riguardano la salute i Britannici) vale il principio pragmatico della responsabilità individuale: per la partecipazione alle gare podistiche, anche quelle competitive, anchea quelle più estreme (come sono quelle di 100 miglia. ovvero 161 km) non è richiesto alcun certificato medico di idoneità.

Il principio da applicare tuttavia è "conosci te stesso", affrontando cioè le cose con senso di responsabilità e cercando di mantenere sopraa tutto un valido equilibrio somato-psichico e in una condizione di armonia interiore; e se le cose vanno storte per un proprio errore di autovalutazione o per un azzardo deliberatamente intrapresoallora la responsabilità è solo ed esclusivamente tua.

Due domeniche fa, ad una mezza maratona a cui sono andato mentre mi trovavo a Londra, ad esempio, un runner è morto tagliando il traguardo.

Di fronte a simili casi, si può esprimere il proprio cordoglio, ma nello stesso tempo si può anche argomentare sul fatto che ciascuno possa prendersi la libertà di scegliere cosa fare o non fare, sulla base del proprio senso di responsabilità.

Per fare un riferimento personale, nel 1987 ebbi una grave forma di glomerulonefrite e, se mi fossi attenuto al parere prudenziale del nefrologo - una volta avvenuto il recupero completo dopo circa un anno - avrei dovuto rimanere a riposoper il resto della mia vita. Ad un certo punto, però, mi stufai di vivere da "ammalato" in regime di astensione da qualcosa che solo in potenza poteva essere pericoloso (ma senza alcuna certezza che lo sarebbe stato davvero) e decisi di intraprendere le esperienze delle maratone e delle ultramaratone (e ne ho corse in carriera più di duecento, come il podista catanese che se ne è andato pochi giorni fa).

Mi sono avventurato in un terreno di rischio, e ne ero consapevole, eppure non potei fare diversamente. Ne andava della mia salute mentale.
Certo, per lungo tempo, continuai a controllare scrupolosamente il funzionamento renale, attenendomi ad alcune prescrizioni, prudenziali, ma non accadde nulla di grave. E capii che avevo preso la decisione giusta. 

Del resto, morire fa parte del vivere: non si può prendere la vita, senza accettare anche la morte, per come essa sopraggiungerà.
E allora ben venga che si possa morire, mentre si sta facendo ciò che piace di più.
Questa affermazione non vuole essere un'incitazione all'autolesionismo, per carità! Ma piuttosto un'esortazione a non lasciarsi condizionare dal Verbo della Medicina scientista che spesso promana da professionisti che, per quanto impeccabili, di sport praticato per passione non sanno nulla o quasi.
Poter prevenire l'evento morte e allontanarlo il più possibile fa parte della legacy di grandi illusioni fomentate dalla Medicina contemporanea.
L'illusione della prevenzione, in particolare, è concepita in modo tale da diventare una gigantesca gabbia nella quale finiamo con il vivere impriogionati per sfuggire alla Morte, ma nel frattempo nella condizione mentale di chi letteralmente "muore di paura" per le molteplici causa di morte e di eventi patogeni che ci assediano da molte parti.
E una volta che si accetta questo registro di pensiero, è ben difficile uscirne perchè tutte le nostre pratiche quotidiane ne sono profondamente influenzate. 

Se non si accogliesse questo principio, allora non ci sarebbero personaggi come Giuseppe Ottaviani che ai recenti Campionati del Mondo di Atletica Leggera Indoor che si sono tenuti in Bulgaria, ha mietuto ben 10 Ori, oppure come Fajua Singh, il maratoneta centenenario che, dopo aver conquistato dei titoli unici ed ineguagliabili, a 102 anni si limita a fare delle corsettine salutistiche con i suoi connanzionali nell'East End londinese dove vive.

 

 

 


(Quello che segue è ciò che scrissi, quando appresi della morte imporovvisa del toscano Alfio Balloni, con il quale avevo corso fianco a fianco una maratona pochi giorni prima).

Alle 18.00 del 19 Giugno 2003  ho aperto la homepage di podisti.net e ho visto che erano stati inseriti tanti brevi testi in cui si parlava di Alfio Balloni: leggendoli, ho capito.

Nelle loro note, gli amici runner delle lunghe distanze ne piangevano la morte sopraggiunta all’improvviso per un tragico caso, proprio il giorno dopo il 2° Super-Marathoner Meeting di Vicchio cui anche lui aveva partecipato (il 14 giugno 2003), allietando tutti con la sua presenza allegra.

Una morte improvvisa dovuta ad un destino crudele che, di colpo, quando se ne è avuta notizia ha reso mesto il ricordo dell’atmosfera della festa appena vissuta...

Io purtroppo sono un po’ distante dalla maggior parte dei rappresentanti del popolo delle lunghe: per questo motivo sono rimasto escluso dalla possibilità di ricevere una comunicazione diretta della triste notizia.

Ma, sino a al momento in cui ho appreso della sua morte, per me Alfio è stato vivo, così come l’ho conosciuto in tanti campi di gara.

Mi dolgo comunque della mia mancanza di tempestività nel partecipare al cordoglio per questa morte.

Leggendo i brevi, commossi, articoli degli altri amici runner, sono rimasto profondamente costernato, anzi addoloratissimo.

Nel corso degli anni, incontrando Alfio nei più diverse maratone, sempre sono rimasto colpito dalla grande simpatia e cordialità che da lui promanavano come una sorta di aura.

Il ricordo della giornata podistica di Vicchio ora sarà per sempre suggellato da questo triste evento, che si è verificato subito dopo, in compimento di un imperscrutabile e tragico destino, tracciato dalla mano di un demiurgo che, di tanto in tanto, esige anzitempo il pagamento di un caro tributo proprio da parte di quelli che uno vorrebbe trattenere più a lungo accanto a sé.

Il berrettino con i finti coni gelato semiliquefatti che Alfio sino a qualche anno portava nelle maratone, assieme a pochi altri amici “eletti”, mi è sempre piaciuto tantissimo: e diverse volte, sino a che lo ha portato, quando lo incontravo gli dicevo: Dai Alfio, fammi entrare nel tuo club! Già! Il club dei gelatai…

Mi sono chiesto se potesse avere un senso continuare a lavorare a questo secondo articolo in cui tanto insisto nel parlare dell’atmosfera di festa a Vicchio.

Ma poi ho pensato che Alfio era stato lì con noi e che sicuramente avrebbe desiderato che lo ricordassimo assieme a noi in questi momenti.

Quindi a te, Alfio, runner gentile, voglio dedicare questo mio scritto.

Caro Alfio, con il tuo sorriso e con la tua simpatia, rimarrai a lungo nei nostri cuori e nel nostro ricordo.

 

 

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29 marzo 2014 6 29 /03 /marzo /2014 21:19

Whole Foods Breakfast Run 2014. Il runner-rinoceronte per la causa ambientalista di Save The Rhino

(Maurizio Crispi) Alla Whole Foods Breakfast Run che si è corsa a Kingston-Upon-Thames lo scorso 23 marzo 2014, ho "avvistato", tra i tanti eccentrici del running rappresentati (cosa che in UK capita di vedere con maggiore frequenza che in Italia, forse per via di un atteggiamento più rilassato nei confronti della "performance" nuda e cruda), un guerriero mascherato da Rinoceronte ("Rhino" in Inglese)
Probabilmente, quel podista che portava il pettorale 3520 (unico elemento che consentisse di ricondurlo ad un'identità) si sta allenando per la Virgin Money London Marathon 2014, dove non è infrequente vedere runner totalmente mascherati - al punto da trasfigurarsi e trasformarsi in icona ambulante) che corrono per raccogliere fondi per una causa benefica.
In questo caso, il mascheramento da rinoceronte era davvero perfetto...
E' come se il podista stesse correndo all'interno di un carro blindato o come un antico guerriero vestito di tutto punto con una massiccia armatura (e, d'altra parte, il Rinoceronte viene considerato un'animale in qualche modo "preistorico", con quelle piastre cornee - quasi ossificate - che lo ricoprono) e, in effetti, il suo sguardo poteva spaziare libero attraverso una stretta feritoia che si apriva tra la grossa testa del "Rhino" e il collo o dorso che fosse.
Del suo corpo si vedevano soltanto le gambette che sembrano essere esilissime in confronto ad un ingombrante corpaccione e le mani che reggevano la testa nella corretta posizione.

Il runner-rinoceronte ha fatto tutta la sua gara, anche se in uno dei gruppi delle retrovie...
Del resto con questa poderosa massa addosso (solo per la resistenza che oppone all'aria) non si può correre molto veloci, anche avendone le possibilità.

La mascherata da rinoceronte non era fine a se stessa, ma portava avanti la causa della salvezza dei rinoceronti dall'estinzione ed anche altre specie in pericolo di esserlo.

(www.savetherhino.org). Save the Rhino International works to conserve viable populations of critically endangered rhinos in Africa and Asia. 
We recognise that the future of wildlife is inextricably linked to the communities that share its habitat.
 
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19 marzo 2014 3 19 /03 /marzo /2014 22:49

Cane al guinzaglio... corridore al guinzaglio. Certe pratiche smodate della corsa ci portano ad essere così: lavoratori a tempo pieno del runningUn'interessante riflessione di "Guido Ulula alla Luna", medico nella vita, camminatore e Guida per La Compagnia dei Cammini.
Questa riflessione si può applicare a tanti campi diversi, e non solo al nostro "inquadramento" dentro schemi di vita rigidi e assillanti, ma anche al modo in cui viviamo hobby e passatempi, nel senso che - anche se ci illudiamo di fare scelte di vita e di libertà - è poi l'invisibile prigione che ci avvince ad averla vinta e quella scelta che doveva essere di libertà e di affrancamento finisce con il diventare ulteriore e ben più forte - e odiosa - prigione, perchè ci imprigiona subdolamente (anche se noi siamo allo stesso tempo prigionieri e carcerieri, segregati e secondini.
Se pensiamo alla corsa, ad esempio, e al modo in cui la interpretano, facendone un'ossessione che condiziona le loro vite e che mette tutto il resto in subordine, ecco che questa scelta (forse all'inizio all'insegna del divertimento) ci porta ad essere "cani al guinzaglio" nel senso proposto e descritto da Guido Ulula alla Luna. 

Sono nato in una casa di campagna ed ho ricordi bellissimi della natura e dei cani e gatti liberi di muoversi a loro piacimento.

Di recente ho letto sulla rubrica di un quotidiano nazionale una lettera in cui si contestava appassionatamente la sorte da reclusi dei nostri amici animali d’appartamento.
Nutriti e accuditi come esseri umani in miniatura, usati per le loro eccezionali doti empatiche per colmare le nostre solitudini, ma… deprivati della loro libertà e quindi snaturati ed infelici.
Da lì è stato un attimo collegare un’altra riflessione, ben più amara.

Cane al guinzaglio lo sono anch’io.

Lo è la gran parte dell’umanità che vive in cattività (e incattivita… forse per questo?) nei nostri centri urbani.
Probabilmente è destinata a diventarlo la totalità della razza umana, visto la complessità dei problemi generati dal sovraffollamento della Terra.
Io ho la piena consapevolezza che le tante catene che castrano la mia istintualità mi rendono triste e depresso, che questa è la radice vera di tanti malesseri e malattie, anche se in cambio ho presunte sicurezze.
Sono certo di non essere l’unico a provare insopportabilità verso tutti questi ingranaggi, che ci stanno riducendo a poco più di macchine intelligenti.
Per altro, abbiamo la presunzione di controllarle noi queste macchine intelligenti, perdendo di vista la drammatica realtà che sono loro a condizionare la nostra intera esistenza.

Se ho chiaro questo meccanismo infernale, che fare?
So di non avere alternative immediate e convincenti.
So però che voglio dire basta.
So che così non ce la faccio più.
So che voglio togliermi il guinzaglio.
So che la spinta che mi porta a tornare a camminare, appena posso e sempre più spesso, viene da questo bisogno di selvaticità.
So che il lupo che è latente in me vuole riprendere a ululare alla Luna.

Guido   Ulula alla Luna

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13 marzo 2014 4 13 /03 /marzo /2014 12:23
I mille e uno modi di raccontare una gara podistica, secondo Filippo CastigliaNel Blog di Filippo Castiglia "Corsa y Mucho Mas" è stato di recente pubblicato il post (12 marzo 2014) con il titolo "E dei mille modi di raccontare una gara...".
Ecco un piccolo estratto del post:

"(...) ci sono quelli che sono specialisti nella toponomastica, nel senso che i loro racconti sono ricchi di dettagli sui nomi dei luoghi attraversati, spesso l'attenzione ai nomi travalica i luoghi stessi, come se il nome ne contenesse la descrizione o la suggestione. Il ponte x, il colle y, la piazza z forse rievocheranno qualcosa in chi li vive o li ha vissuti, ben diverso se non ci si è mai stati" (ib.).
E' una riflessione cogente (ma fortemente ironica) sui mille e uno modi di raccontare una gara.
Tante volte il racconto rimane soltanto come una mera elencazione di luoghi, di posti di ristoro, di alimentazione ed integrazione, di aspetti performativi.
Di rado, tuttavia diventa espressione dell'autentica elaborazione di un'esperienza "di viaggio" che, alla fine, ci può far sentire diversi.

Ma, ovviamente, ogni modo possiede un suo intrinseco valore che deve essere rispettato, restando fermo il fatto che il rimanere ancorati al puro ed essenziale evento performativo, rende il racconto fruibile soltanto ad altri runner che possono utilizzare quel racconto (o altri simili) come personale Baedeker di viaggio nel mondo della corsa.

Il racconto di una corsa, come elaborazione dell'esperienza, rende invece quel racconto "universale" e fruibile a tanti altri che, pur non essendo interessati alla corsa in sé, possono avere un'interesse nel vedere come la corsa possa diventare metafora della vita che, anche se in un arco temporale ristretto, si presenta con le sue gioie, i suoi momenti di meraviglia, i suoi dolori e le sue pene e che implica anche il contatto profondo con le proprie esperienze emozionali antecedenti che, emergendo via via durante la performance della corsa, sono come le nuvole che arrivano senza un ordine prestabilito, passano e vanno via oltre l'orizzonte o, a volte, stanno, accompagnandoci nel cammino per un tratto più o meno lungo (Murakami Haruki ci insegna qualcosa, al riguardo...).

Di Filippo Castiglia, di argomento affine, si può anche leggere il seguente post: Delle cronache fredde, di quelle marziali, e dei mille modi di raccontare una gara 
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28 febbraio 2014 5 28 /02 /febbraio /2014 20:48

Il lungo Cammino di chi non ha un lavoro. Diritto al lavoro o Diritto alla felicità?Fa sempre piacere proporre le riflessioni di Guido Ulula alla Luna, medico nella vita e guida de La Compagnia dei Cammini.
Questa lunga riflessione riguarda il "Cammino" di chi non ha un lavoro... 

(Guido Ulula alla Luna) Strana Costituzione quella italiana. Al primo punto afferma che la nostra è una repubblica basata sul lavoro.

Ma solo il 30% dell’intera popolazione lavora.
Ma il 40% dei nostri giovani è attualmente senza lavoro.
Ma nella fascia in età lavorativa ci sono 3 milioni di disoccupati, altrettanti di demotivati che non lo cercano più il lavoro, centinaia di migliaia di esodati, un numero crescente di cassaintegrati.
E i milioni di precari?
Per non parlare del fatto che la stragrande maggioranza di noi non fa un lavoro che gli piace, ma è obbligato per mangiare a fare quello che trova.
Per non parlare del fatto - come sostiene Jeremy Rifkin nel libro “La fine del lavoro” -che, per il semplice ed inarrestabile progredire dell’automazione, lavoreremo sempre meno ore al giorno.
E allora?
Forse è meglio riflettiamo tutti quanti su quali basi rifondare il nostro stare al mondo.
Se continuiamo a legare la nostra dignità di esseri umani all’avere o non avere un lavoro, ci condanniamo con le nostre stesse mani a frustrazione, rabbia, depressione.
Occorre che a dare un senso alla nostra esistenza siano fattori diversi, profondi, universalmente riconosciuti, possibili da realizzare.
Ad esempio, la Costituzione americana parla di diritto alla felicità.
La felicità si identifica col denaro che possediamo?
Sappiamo tutti che non è così, anche se il benessere economico può darci sicurezza e quant’altro.
E se mettessimo al primo posto la conservazione della salute, nostra e del pianeta che ci ospita?
Se dessimo il giusto valore agli affetti, all’amore, alla collaborazione, alla convivialità, visto che per noi mammiferi questa è la base del nostro essere?
E se capissimo finalmente che non si vive per lavorare, ma che lavorare serve solo a darci i mezzi per esprimere il nostro talento e perseguire le nostre curiosità?
C’è un cammino da fare collettivamente per cambiare mentalità molto radicate.
Ed è un cammino non solo metaforico o di valori.
Da qualche anno sto capendo che il praticare il camminare, l’andare a piedi, non è solo un qualcosa di piacevole e che porta salute.
Ne comprendo via via una ricchezza ben più sostanziale, che mi aiuta a concepire una filosofia di vita diversa da quella in cui mi sono trovato a crescere.
Al contrario dei miti della velocità, della forza, del raggiungere una meta ad ogni costo, miti portanti della civiltà consumista e competitiva che ci caratterizza, il viandante sperimenta coi suoi passi lenti un rapporto con la natura e con i suoi sensi ben più equilibrato e soddisfacente.
La complessità di problemi che abbiamo davanti non ci permette di immaginare una bacchetta magica per risolvere le crisi economiche ed ambientali che ci sovrastano.
Anche su questo il viandante impara che è con un passo dopo l’altro che si costruisce un nuovo percorso.

Un’ultima cosa, piccola piccola ma concreta concreta.
Ho un amico cassaintegrato da un anno che mi ha raccontato d’aver utilizzato il tanto tempo libero andando a camminare nella natura.
Gli è servito a non impazzire dalle preoccupazioni, a non chiudersi in se stesso, a socializzare.
Dobbiamo imparare che il nostro benessere è la cosa più importante.

Guido   Ulula alla Luna

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17 febbraio 2014 1 17 /02 /febbraio /2014 19:58

Giulietta and Romeo Half Marathon 2014 (7^ ed.). Collisione tra una podista ed un'anziana signora che, nella caduta, rimane ferita

Nel corso della Giulietta&Romeo Half Marathon, disputata - alla sua 7^ edizione - lo scorso 16 febbraio 2014, si è veirificato un piccolo incidente che si spera possa rimanere senza gravi conseguenze (anche se una prognosi di 60 giorni non è certamente una conseguenza lieve).
Una podista ha travolto un'anziana signora (72 anni) che - nella caduta - ha riportato delle ferite, a causa delle quali si è reso necessario il suo trasporto in ospedale.

Adesso la Polizia municpale di Verona cerca di identificare la podista ritenuta responsabile della caduta della donna per accertare eventuali responsabilità.
E' una notizia al limite della curiosità che, tuttavia, spinge a delle riflessioni.
Innanzitutto, al fatto che - anche in una gara - non si può correre alla cieca, come un bisonte in carica, ma che bisogna mantenere sempre un certo livello di vigilanza per evitare di travolgere chicchessia, per la tutela di se stesso e di chiunque altro, runner o soggetto ad altro titolo presente.
In secondo luogo, sul fatto che se un runner travolge qualcuno durante la sua corsa, dovrebbe quanto meno fermarsi per essere il primo a dare soccorso, laddove occorra: esattamente come un automobilista che travolge un pedone o un ciclista secondo le norme del codice stradale (ma, ancora prima,per dovere morale) è tenuto a prestare soccorso e a non fuggire via "perché tanto non mi riguarda".
In terzo luogo, c'è da riflettere sul fatto che quando gli eventi podistici diventano così numerosi e partecipati, soprattutto lungo le strade cittadine, occorrerebbe mettere in piedi una transennatura ben più efficace e garantire il presidio costante di alcuni attraversamenti da parte di un servizio d'ordine cospicuo e appostamente istruito.

 

 


Questo di seguito l'articolo comparso su L'Arena.it, con il titolo: La polizia municipale ricerca la podista che ha travolto l'anziana alla maratona

 

La Polizia municipale invita la podista che ieri, durante l’Half Marathon Giulietta&Romeo, ha travolto un’anziana signora in via IV Novembre, a presentarsi al Comando di via del Pontiere per accertare la propria responsabilità. A seguito dell’incidente, avvenuto attorno alle 11.15 all’altezza di via Carlo Ederle, la 72enne veronese è rimasta seriamente ferita e trasportata al pronto soccorso dell’ospedale di Borgo Trento, dove i sanitari hanno stilato una prognosi iniziale di 60 giorni. Secondo le testimonianze raccolte dalla Polizia municipale, la podista indossava una maglia di colore rosso. In queste ore sono in fase di acquisizione le immagini delle telecamere di videosorveglianza di un istituto di credito della zona, che potrebbero aver ripreso elementi utili alle indagini. Chiunque avesse informazioni o notizie utili può riferirle al Nucleo Infortunistica Stradale, al numero 045-8078462 in orario d’ufficio.

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Presentazione

  • : Ultramaratone, maratone e dintorni
  • : Una pagina web per parlare di podismo agonistico - di lunga durata e non - ma anche di pratica dello sport sostenibile e non competitivo
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  • Ultramaratone, maratone e dintorni
  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.
  • Mi chiamo Maurizio Crispi. Sono un runner con oltre 200 tra maratone e ultra: ancora praticante per leisure, non gareggio più. Da giornalista pubblicista, oltre ad alimentare questa pagina collaboro anche con altre testate non solo sportive.



Etnatrail 2013 - si svolgerà il 4 agosto 2013


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Il perchè di questo titolo

DSC04695.jpegPerchè ho dato alla mia pagina questo titolo?

Volevo mettere assieme deio temi diversi eppure affini: prioritariamente le ultramaratone (l'interesse per le quali porta con sè ad un interesse altrettanto grande per imprese di endurance di altro tipo, riguardanti per esempio il nuoto o le camminate prolungate), in secondo luogo le maratone.

Ma poi ho pensato che non si poteva prescindere dal dare altri riferimenti come il podismo su altre distanze, il trail e l'ultratrail, ma anche a tutto ciò che fa da "alone" allo sport agonistico e che lo sostanzia: cioè, ho sentito l'esigenza di dare spazio a tutto ciò che fa parte di un approccio soft alle pratiche sportive di lunga durata, facendoci rientrare anche il camminare lento e la pratica della bici sostenibile. Secondo me, non c'è possibilità di uno sport agonistico che esprima grandi campioni, se non c'è a fare da contorno una pratica delle sue diverse forme diffusa e sostenibile. 

Nei "dintorni" della mia testata c'è dunque un po' di tutto questo: insomma, tutto il resto.

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Come nasce questa pagina?

DSC04709.jpeg_R.jpegL'idea motrice di questo nuovo web site è scaturita da una pagina Facebook che ho creato, con titolo simile ("Ultramaratone, maratone e dintorni"), avviata dall'ottobre 2010, con il proposito di dare spazio e visibilità  ad una serie di materiali sul podismo agonistico e non, ma anche su altri sport, che mi pervenivano dalle fonti più disparate e nello stesso tempo per avere un "contenitore" per i numerosi servizi fotografici che mi capitava di realizzare.

La pagina ha avuto un notevole successo, essendo di accesso libero per tutti: dalla data di creazione ad oggi, sono stati più di 64.000 i contatti e le visite.

L'unico limite di quella pagina era nel fatto che i suoi contenuti non vengono indicizzati su Google e in altri motori di ricerca e che, di conseguenza, non risultava agevole la ricerca degli articoli sinora pubblicati (circa 340 alla data - metà aprile 2011 circa - in cui ho dato vita a Ultrasport Maratone e dintorni).

Ho tuttavia lasciato attiva la pagina FB come contenitore dei link degli articoli pubblicati su questa pagina web e come luogo in cui continuerò ad aprire le gallerie fotografiche relative agli eventi sportivi - non solo podistici - che mi trovo a seguire.

L'idea, in ogni caso, è quella di dare massimo spazio e visibilità non solo ad eventi di sport agonistico ma anche a quelli di sport "sostenibile" e non competitivo...

Il mio curriculum: sport e non solo

 

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